Il libero arbitrio tra scienza e coscienza

Estratti dall’opera: Meditation on the Tarot: A Journey Into Christian Hermeticism, London 1982 – Trad. dall’inglese, adattamento e note di Daniele Duretto


La sfida al principio dell’amore iniziò nell’antichità, e continuò durante il Medioevo e oltre; continua ancora adesso in seno alla Chiesa, nel cuore della Chiesa, e nell’intimo di ogni cristiano. Perché cosa fu la sfida tra i “realisti” estremi e i “nominalisti” [1] estremi nel cuore della Scolastica medievale e moderna, se non la sfida tra i “Greci” (“realisti”) e i “Giudei” (“nominalisti”)? … e la sfida tra i “razionalisti” (“ratio nobilior potestas”) e i “volontaristi” (“voluntas nobilior potestas”) [2] sempre nel cuore della stessa Scolastica? Per i “realisti” e i “razionalisti”, le idee erano realtà oggettive e la ragione di Dio era superiore alla sua volontà, mentre per i “nominalisti” e i “volontaristi” le idee erano solo nomi con cui classificare i fenomeni – astrazioni utili alla classificazione dei fenomeni – e in Dio era la volontà ad essere più elevata della ragione. Per questi ultimi Dio è, in primo luogo, volontà onnipotente, mentre per i primi egli è, sopra tutto, ragione – saggezza infinita.

E l’amore di Dio? È questo terzo principio, fondamentalmente cristiano, che ha consentito di equilibrare le cose nel corso dei secoli, e che ancora oggi previene la completa scissione e disintegrazione del Cristianesimo. Se vi è pace nel cuore della cristianità, ciò è solamente dovuto alla supremazia dell’amore.

Perché la vittoria totale del “realismo”, con la sua fede in ciò che è generale a spese di quello che è individuale, avrebbe affossato il Cristianesimo nella severità e nella crudeltà. Ciò si è manifestato con sufficiente certezza nel fatto storico dell’inquisizione – essendo questa la conclusione pratica del dogma fondamentale del realismo: “il generale è superiore all’individuale”, sulla cui base si agì di conseguenza.

E la vittoria totale del “nominalismo” avrebbe affossato il Cristianesimo nell’elemento relativista delle opinioni individuali e personali, di credenze e rivelazioni tali da ridurla in polvere. Le centinaia di sette protestanti e il credo al cuore di queste sette lo prova con una certezza assoluta.

No, nella misura in cui per il Cristianesimo vi è unità nello spazio (la Chiesa) e nel tempo (la tradizione), ciò non è dovuto né alla severità “realista” né all’indulgenza “nominalista”, ma piuttosto alla pace equilibrata tra le tendenze “greche” e “giudaiche” che la tendenza “cristiana” all’amore è riuscita ad affermare e a mantenere. Se così non fosse, la totalità del mondo cristiano si sarebbe diviso in due sfere: una sfera dove il mondo soffoca sotto la “severità puritana”, l’“inedia ugonotta” [3] e una specie di Calvinismo (lo stesso Calvino era un “realista”); e una sfera dove ogni famiglia o persino ogni persona avrebbe una piccola religione e una piccola chiesa privata (lo stesso Lutero era un “nominalista”), di modo che il Cristianesimo sarebbe solo un’astrazione, solo un nome o una parola (flatus vocis).

Per cui, queste sono le forze in opera quando si evoca il problema dell’equilibrio.


Generalmente, le stesse cose che sono nel Cristianesimo si incontrano anche nel cuore della tradizione ermetica o nei “movimenti occulti”. Anche qui ci sono i “Greci”, i “Giudei” e i “Cristiani”. I “Giudei” cercano i miracoli, cioè gli atti della realizzazione magica, e i “Greci” aspirano a una teoria assoluta che starebbe alle filosofie esoteriche come l’algebra sta all’aritmetica. Martinez de Pasqually [4] e il  cerchio dei suoi discepoli praticarono la magia cerimoniale con l’intenzione di condurre l’evocazione dello stesso Altissimo. Hoene-Wroński, per contro, elaborò il sistema assoluto della “filosofia delle filosofie”, il cui scopo era quello di comprendere e sistematizzare ogni filosofia del passato, presente e futuro all’interno della sua cornice di riferimento.

Fabre d’Olivet (autore della Storia Filosofica della Razza Umana) e Saint-Yves d’Alveydre (autore de L’Archeometria o il Sistema di Principi e dei Criteri per tutte le Dottrine Filosofiche, Religiose e Scientifiche di Passato, Presente e Futuro) rappresentano la tendenza “greca” par excellence entro la struttura del movimento ermetico o occulto. Éliphas Lévi e gli autori di magia e di Cabala pratica che hanno proseguito il suo lavoro dal diciannovesimo e ventesimo secolo sino ai giorni attuali rappresentano, per contro, la tendenza “giudaica”.

Louis Claude de Saint-Martin [5] , dopo aver collaborato con il circolo interno dei discepoli di Martinez de Pasqually, si dissociò dal circolo e dai lavori del suo maestro. Lo fece come amico, non come avversario, e in nessun modo dubitò della realtà della magia praticata in questo circolo. Lo fece perché aveva trovato la “via interiore”, le cui esperienze e realizzazioni superavano in valore le esperienze e le realizzazioni della magia, della teurgia, della necromanzia e del finto magnetismo:

Questa specie di chiarezza (fornita dalla pratica dei riti di alta teurgia) appartiene a coloro che sono chiamati direttamente a farne uso, per ordine di Dio e per manifestare la sua gloria. E quando sono chiamati in questo modo, non c’è bisogno di preoccuparsi della loro educazione, perché allora ricevono, senza alcuna oscurità, mille volte più nozioni, e nozioni mille volte più sicure, di quelle che un semplice principiante quale io sono potrebbe dar loro su questi principi fondamentali.

Volerne parlare ad altri, e in special modo al pubblico (attraverso i libri) è volere – senza scopo alcuno – stimolare ed eccitare una vana curiosità, più per la vanità dello scrittore che a beneficio del lettore. Ora, se io ho fatto questo tipo di errori nei miei primi scritti, non sarei avvantaggiato se insistessi a percorrere gli stessi passi. Per cui, i miei scritti recenti parlano molto più di questa “iniziazione fondamentale”, che, attraverso la nostra unione con Dio, ci insegna tutto ciò che dobbiamo sapere, e molto poco riguardo l’anatomia descrittiva di  questi punti delicati sui quali vorreste che rivelassi il mio punto di vista.

Robert Ambelain – Le Martinisme (da una lettera di Saint-Martin datata 1797) – Paris 1946, p. 113.

Egli trovò la “vera teurgia” nel dominio della vita spirituale interiore, abbandonando di conseguenza la teurgia cerimoniale o esteriore. Peraltro, Saint-Martin non appoggiò la via “greca”, la grandiosa avventura intellettuale volta a creare un sistema filosofico assoluto. Egli rimase pratico; cambiò solamente la forma della pratica, vale a dire la pratica della magia cerimoniale con quella della magia sacra o divina, che è fondata sull’esperienza mistica e sulla rivelazione gnostica, Quindi Saint-Martin rappresenta la terza tendenza del movimento ermetico occidentale – la tendenza cristiana.


Proprio come in generale per il Cristianesimo, l’Ermetismo non si è completamente disintegrato – grazie ai “cristiani” all’interno suo nucleo, che mantengono l’equilibrio tra i “Giudei” e i “Greci”. Se così non fosse stato, avremmo ora due letterature e movimenti divergenti, con in comune solo poche vestigia di una terminologia un tempo comune. Una corrente, quella “greca”, sarebbe forse giunta dopo qualche tempo alla “Archeometria [6] delle Archeometrie passate, presenti e future” e l’altra corrente, quella “giudaica”, che avrebbe forse conseguito l’”operazione zodiacale di evocazione dei dodici Troni”.

Comunque, la sorgente della vita e dell’attuabilità dell’intera corrente ermetica nel corso dei secoli non si trova né nella teoria intellettuale né nella magia pratica. Ermete Trismegisto, il saggio precristiano, afferma in modo piuttosto netto nel suo dialogo Asclepio:

Ora ti parlerò come un profeta: dopo di noi nessuno avrà quell’amore semplice, che è la natura della filosofia. Questa consiste nella contemplazione frequente e nella reverente venerazione che sole consentono di conoscere la divinità. Molti distruggono la filosofia con i loro vari ragionamenti …  la mescoleranno con diversi tipi di studi incomprensibili: aritmetica, musica e geometria … Venerare Dio con purezza di cuore e di spirito e riverire quella che è la sua sostanza, rendere grazie alla volontà divina, rendere grazie alla volontà divina, infinitamente piena di Bene: questa è una filosofia  che non è stata disonorata dalla perversa curiosità della mente.

Asclepius – trad. Clement Salaman – London 2007

Collochiamo ora quest’affermazione dell’Ermetismo precristiano nell’epoca cristiana, con tutte le implicazioni che il trasferimento comporta, ed abbiamo il fondamento eterno dell’Ermetismo – la sorgente della sua vita e possibilità di sopravvivenza.

Il testo citato, considerato dal punto di vista del suo valore nell’avanzamento della conoscenza, appare piuttosto banale; sembra la banalità stessa. Qualunque pio monaco cistercense del dodicesimo secolo – orgoglioso della sua pia ignoranza – sarebbe potuto essere l’autore di questo testo. Ma consideriamolo dal punto di vista della volontà, assumendolo come programma di azione – azione attraverso i millenni, dal passato al futuro. Cosa ci dice allora?

Dapprima ci dice che ci sono tre differenti impulsi elementari che sottostanno a questo tipo di sforzo umano (lo sforzo di aspirare alla conoscenza) che mira a edificare il corpo della filosofia e della scienza. Questi sono: la curiosità, dove si vuole conoscere per amore della conoscenza, secondo il principio dell’”arte per amore dell’arte”; l’utilità, dove si è portati a un lavoro di ricerca, sperimentazione e invenzione per i bisogni umani, così da rendere la fatica più produttiva, preservare la salute e prolungare la vita; infine, la gloria di Dio, dove non vi è né curiosità né utilità pratica ma, come disse il grande paleontologo dei nostri tempi Pierre Teilhard de Chardin:

… il tremendo potere dell’attrazione divina … il cui effetto specifico è … di santificare l’impresa umana.

Pierre Teilhard de Chardin – Le Milieu Divin. An Essay on the Interior Life – London 1964, p. 65

Vi è quindi una conoscenza per amore della conoscenza, una conoscenza per servire meglio il prossimo, e una conoscenza per amare meglio Dio. La conoscenza per amore della conoscenza discende in ultima analisi dalla promessa del serpente in paradiso:

Sarete come Dio, avendo la conoscenza del bene e del male.

Genesi 3:5

Quindi, è per la sua propria gloria che l’uomo prende questa strada. Questo è il motivo per cui l’antico Ermetismo, l’Ermetismo cabalistico giudaico e l’Ermetismo cristiano condannano unanimemente la curiosità o la conoscenza per amore della conoscenza come vane, avventate e nocive. È detto pertanto in un estratto del libro sacro di Ermete Trismegisto intitolato Kore Kosmou (“La Vergine del Mondo” o  “L’Occhio del Mondo”):

[Momos, lo Spirito che sorge dalla terra]: Ermete, è un lavoro avventato fare l’uomo con occhi così penetranti, con una lingua così sottile, con un orecchio così delicato da poter ascoltare cose che non lo riguardano, con un olfatto così fine, e nelle sue mani un senso del tatto in grado di afferrare ogni cosa. O Spirito che lo hai generato, pensi sia bene che egli debba essere libero da ogni preoccupazione – questo futuro investigatore degli stupendi misteri della Natura? … Gli esseri umani sradicheranno le piante, studieranno le proprietà degli umori naturali, osserveranno la natura delle pietre, dissezioneranno non solo gli animali ma anche loro stessi, desiderando conoscere come sono formati. Perseguiranno i segreti più profondi della Natura nei luoghi più elevati, e studieranno i moti del cielo. Né questo è sufficiente; quando non rimarrà più nulla da conoscere eccetto i più remoti confini della terra, cercheranno là le ultime propaggini della notte. Se non conoscono ostacoli, se vivono dispensati dalle difficoltà, oltre ogni paura e ansietà, nemmeno il cielo fermerà la loro audacia. Insegna loro, quindi, desiderio e speranza, a tal guisa che loro possano conoscere similmente il timore della disgrazia e delle difficoltà, e la fitta dolorosa delle aspettative tradite.

Kore Kosmou – trad. Anna Kingsford e Edward Maitland – London 1880, p. 8

Tale è l’accusa del demone Momos,

… uno Spirito possente, libero da ogni viluppo corporeo, grande in saggezza, ma selvaggio e spaventevole

ibid., p. 7

lo spirito inquisitore della razza umana citato nel Kore Kosmou. Ma poi segue la difesa da parte di Ermete delle facoltà cognitive dell’uomo nel discorso dedicato a suo figlio Tat, dal titolo La Chiave:

Perché l’uomo è un essere divino; l’uomo non è commisurabile al resto delle vite sulla terra, bensì alle vite celesti, chiamate dèi. Meglio ancora, se vogliamo dire arditamente la verità, l’uomo vero è ancora più in alto degli dèi, o quantomeno dèi e uomini si equivalgono in potenza. Perché nessun dio dei cieli discenderà sulla terra, varcando i limiti del paradiso; laddove l’uomo sale al paradiso misurandolo; egli sa quali cose di esso sono alte, quali sono basse, e impara esattamente tutto il resto. E, cosa più grande di tutte, ascende al cielo senza lasciare la terra. Di così vasta portata è la sua estasi. Per questo motivo osiamo dire che l’uomo sulla terra è un dio soggetto alla morte, mentre un dio in cielo è un uomo immune alla morte.

Corpus Hermeticum – trad. G. R. S. Mead – London 1906, pp. 55-56

Qui abbiamo l’accusa (l’azione giudiziaria) e la difesa. Il giudizio che ne segue è che la conoscenza per amore della conoscenza, che Momos, l’accusatore, ha in mente, è da condannare, nella misura in cui la sua accusa è applicata all’impulso che aspira alla conoscenza per amore della conoscenza. D’altro canto, la difesa avanzata da Ermete Trismegisto, quando è applicata all’uso della facoltà cognitiva sia per la gloria di Dio che per l’aiuto ai propri simili, è fondata e giusta. Vi è, quindi, una conoscenza legittima – persino gloriosa – ed una illegittima, vana, indiscreta e avventata.


Ora, l’Ermetismo è – nel corpo e nell’anima – la corrente millenaria nella storia umana della conoscenza per amore della gloria di Dio, mentre il corpo delle scienze ufficiali odierne è destinato sia all’utilità che al desiderio di conoscenza per amore della conoscenza (curiosità).  

Noi ermetisti siamo i teologi di quella Sacra Scrittura che rivela il Dio chiamato “il mondo”; similmente, i teologi delle Sacre Scritture che rivelano Dio sono ermetisti nella misura in cui dedicano i loro sforzi alla gloria di Dio. E proprio come il mondo non è solo un corpo materiale ma è anche anima e spirito, così la Sacra Scrittura non è semplicemente “lettera morta” ma è anche anima e spirito. Questo è il motivo per cui la nostra triplice conoscenza (mistica-gnostica-magica) del mondo si è dedicata nel corso dei secoli alla gloria della Santa Trinità, proprio come fa la triplice conoscenza della rivelazione divina attraverso le Sacre Scritture (il Vecchio Testamento, il Nuovo Testamento e l’Apocalisse). Non siamo forse chiamati, noi teologi del mondo, e voi, teologi delle Sacre Scritture, a badare allo stesso altare e a svolgere la stessa opera di non permettere che la lampada accesa alla gloria di Dio si estingua nel mondo? Non è nostro dovere comune provvedervi, procurare il sacro olio dello sforzo umano così che la sua fiamma non sia mai estinta, così che porti sempre la testimonianza a Dio per il solo fatto della sua stessa esistenza, e così che continui ad ardere nei secoli dei secoli? Non è forse giunto il tempo per noi ermetisti di prendere in considerazione il fatto incontestabile che è grazie alla Chiesa se abbiamo aria per respirare e un rifugio sicuro in questo mondo di materialismo, imperialismo, nazionalismi, tecnicismi, biologismi e psicologismi? Noi viviamo nella misura in cui la Chiesa vive. Se le campane delle chiese sono ridotte al silenzio, anche tutte le voci desiderose di servire la gloria di Dio sono ridotte al silenzio. Viviamo e moriamo con la Chiesa. Perché per vivere, abbiamo bisogno di aria da respirare; abbiamo bisogno dell’atmosfera della pietà, del sacrificio, e del riconoscimento dell’invisibile quale realtà superiore. Quest’aria, quest’atmosfera nel mondo, esiste solo per grazia della Chiesa. Senza di essa l’Ermetismo – anzi, qualunque filosofia idealistica e tutti gli idealismi metafisici – sprofonderebbero nell’utilitarismo, nel materialismo, nell’industrialismo, nei tecnicismi, nei biologismi e negli psicologismi. Caro Amico Sconosciuto, immagina un mondo senza la Chiesa. Immagina un mondo di fabbriche, club, eventi sportivi, incontri politici, università funzionali, arti funzionali, attività ricreative – in cui non sentiresti una singola parola o lode per la Santa Trinità o una benedizione in suo nome. Immagina un mondo in cui non udresti mai una voce umana dire: “Gloria Patri, et Filio, et Spiritui Sancto, sicut erat in principio, et nunc, et semper, et in sæcula sæculorum”, o “Benedicat vos omnipotent Deus, Pater, Filius et Spiritus Sanctus”. Un mondo senza venerazione e senza benedizione … come sarebbe allora l’atmosfera psichica e spirituale privata dell’ozono, quanto fredda e vuota sarebbe! Pensi che l’Ermetismo potrebbe esistere e vivere anche per un solo giorno?

Utilizza quindi la bilancia della Giustizia per giudicare in modo imparziale. Una volta fatto, dirai senza alcun dubbio: Non getterò più pietre – col pensiero, con le parole o gli atti – contro la Chiesa, perché è lei che rende possibile, e stimola e protegge, lo sforzo umano rivolto alla gloria di Dio. E siccome l’Ermetismo è un’impresa difficile, non può esistere senza la Chiesa. Noi ermetisti abbiamo una sola scelta: vivere come parassiti (perché è grazie alla Chiesa che siamo in grado di vivere) se vi siamo estranei, oppure ostili; o viverla come suoi amici e servi fedeli, se capiamo che le siamo debitori e iniziare così ad amarla.

È tempo che il movimento ermetico faccia pace con la Chiesa e cessi di essere il suo figlio semi-illegittimo, conducendo un’esistenza più o meno tollerata all’ombra della Chiesa – e divenire infine un figlio adottivo, se non un figlio legittimamente riconosciuto. Ma “per amare bisogna essere in due”. E molti presumono di essere abbandonati tentando di realizzarlo. Tuttavia, è certo che se le due parti in questione hanno a cuore solo la gloria di Dio, tutti gli ostacoli a questa pace svaniranno come fumo.

Possa la presunzione di certi ermetisti evaporare come fumo – vale a dire di avere l’autorità di fondare piccole chiese sotto la loro stessa direzione e disporre altare contro altare e gerarchia contro gerarchia.

Sull’altro versante, possa la presunzione di certi teologi evaporare come fumo – ossia di essere un tribunale supremo, senza ricorso a un ulteriore appello, in relazione a tutti i piani di esistenza che vadano oltre i cinque sensi. La lezione appresa con Copernico e Galileo da teologi che si arrogavano l’autorità di un tribunale supremo per il mondo sensibile può anche ripetersi a livelli mondani più elevati – nel caso di una ricaduta nello spirito arrogante dei giudici di Galileo riguardo agli altri piani di esistenza. Le verità rivelate, e quindi assolute, della salvezza – queste sì sono affidate al magistero della Chiesa, e quindi all’opera di interpretazione, spiegazione e presentazione di teologi competenti. Ma l’immenso dominio in cui opera la salvezza – i mondi fisico, vitale, psichico e spirituale, la loro struttura, le forze, gli esseri, le loro relazioni reciproche, le loro trasformazioni e la storia di queste trasformazioni – non sono tutti questi aspetti del macrocosmo e del microcosmo, il campo d’azione delle attività da portare a termine per la gloria di Dio e a beneficio del proprio simile, per tutti quelli che vogliono farlo e che non vogliono seppellire i talenti dati loro dal Maestro (cfr. Matteo 25:14-30 [7]) ed essere quindi servi inutili?

Appelliamoci dunque alla bilancia della Giustizia – che è allo stesso tempo la bilancia della pace – facciamovi ricorso, dedichiamoci ad essa, serviamola! Poi potremo operare con l’eterna e universale magia della Giustizia, per il bene universale e generale. Poiché colui che invoca la bilancia della Giustizia – chi la considera come un metodo di addestramento pratico del pensiero, dei sentimenti e della volontà – costui, posso dire, rientra nel titolo della quarta beatitudine del Sermone della Montagna:

Beati quelli che sono affamati e assetati di giustizia, perché essi saranno saziati.

Matteo 5:6

“Saziati” – che è come dire: giustizia sarà fatta.

Cerchiamo quindi di essere giusti verso i teologi, ed essi saranno giusti verso di noi. Riconosciamo i nostri debiti verso la Chiesa, e lei riconoscerà i nostri giusti diritti. E vi sarà pace, ovvero l’opera della bilancia della Giustizia.

Noi che siamo impegnati nella via dell’esercizio spirituale della bilancia della Giustizia (perché tutti gli Arcani del Tarocco sono, in primo luogo, esercizi spirituali) dobbiamo farlo in modo completo e totale – e non sarebbe così se fallissimo nell’operare con la bilancia della Giustizia nei nostri pensieri e nei nostri cuori rispetto a un altro dominio dove non c’è pace, e dove la giustizia deve ancora stabilirsi: questa è la sfera delle relazioni esistenti tra l’Ermetismo e la scienza ufficiale.   

Proprio come è ora che l’Ermetismo faccia pace con la Chiesa e trovi il suo posto legittimo nel suo cuore, così è ora che vi sia una vera pace con il mondo accademico, e che l’Ermetismo trovi il suo posto legittimo anche lì. Perché, sino ad ora, agli occhi del mondo accademico, l’Ermetismo è solo un figlio illegittimo: il frutto di un legame oscuro tra una religione infedele alla sua vocazione e una scienza che analogamente è menzognera rispetto alla sua vocazione. In altre parole, l’Ermetismo è una lega difettosa di falsa religiosità con un falso spirito scientifico. Agli occhi del mondo accademico, gli ermetisti sono solo una combriccola che fa le sue reclute tra credenti in errore e scienziati fuorviati.


Facciamo ancora uso della bilancia della Giustizia. La critica appena menzionata è valida? – Sì, lo è.

È fondata, perché il mondo accademico, così come la Chiesa, si basa sui tre giuramenti sacri – obbedienza, povertà e castità – mentre noi ermetisti ci comportiamo come pontefici, senza i sacramenti e la disciplina che ciò comporta, e come accademici, senza la dovuta esperienza e disciplina. Noi non vogliamo obbedire né alla disciplina religiosa né a quella scientifica. Allo stesso tempo, è l’obbedienza o la disciplina che sta alla base della grandezza morale della Chiesa e alla grandezza intellettuale del mondo accademico.

L’”ascetismo” del mondo accademico comporta, così come l’obbedienza all’autorità dei fatti, strette regole per le prove e le collaborazioni, e la castità sotto forma di completa sobrietà, ed anche la povertà sotto forma di ignoranza, postulata come base per tutti i lavori di ricerca. Il vero scienziato è un uomo obiettivo – sobrio e aperto a tutte le esperienze o ai nuovi concetti.

Il fatto che i veri scienziati siano rari come i santi nella Chiesa non altera per nulla il fatto che sono loro a rappresentare la scienza. Perché non è il malato o il deforme che rappresenta una famiglia, ma piuttosto i suoi membri sani.

Ora, la vera scienza è la disciplina dell’obiettività, della sobrietà e della diligenza o, in altre parole, la disciplina dei voti di obbedienza, castità e povertà. Perché non si può essere diligenti se non si è poveri; la ricchezza comporta sempre indolenza. Si può essere sobri senza avere un’avversione per tutto ciò che intossica; e così è per la castità. Infine, non si può essere obiettivi senza obbedire all’esperienza e alle rigide regole della ricerca.

È in virtù della pratica di questi tre voti sacri che la scienza fa veri progressi. Grazie a questa pratica essa avanza nella direzione della profondità, cioè nello stesso dominio dell’Ermetismo. La scienza ha fatto tre grandi scoperte nel dominio della profondità: è penetrata nelle profondità della sfera biologica per scoprire la legge dell’evoluzione; è penetrata nella profondità della materia ed ha trovato la pura energia; ha osato penetrare nel regno delle profondità psichiche, per scoprire il mondo della consapevolezza occulta. Le tre grandi scoperte della scienza – evoluzione, energia nucleare e inconscio – hanno certamente fatto della scienza una collaboratrice, quando non una rivale, dell’Ermetismo, per il fatto di essere penetrata nel dominio che è proprio all’Ermetismo, il dominio della profondità.

Quindi l’Ermetismo condivide ora il suo dominio ereditario con la scienza … ma come sorella o come rivale? Questa è la domanda da cui tutto dipende.

Tutto dipende dalla decisione, da parte di noi ermetisti odierni, di considerare la parte di scienza che tenta di esplorare il regno della profondità o quella della rivalità con la scienza stessa. La decisione di servire implica e comporta la rinuncia al ruolo di rappresentanti della scienza sacra ed esoterica, diversa da quella profana ed essoterica. È questione di rinunciare al desiderio di mettere “cattedra contro cattedra”, proprio come riguardo alla Chiesa è questione di rinunciare al desiderio di erigere “altare contro altare”. L’Ermetismo, fingendo di essere una scienza – cioè un corpo di dottrine di validità generale, e dimostrabili generalmente – può solo ritagliarsi un ruolo scadente. Perché, essendo essenzialmente esoterico, cioè intimo e personale, non può interpretare il ruolo di una scienza dalla validità generale dimostrabile a chiunque con un successo apprezzabile. Il carattere esoterico dell’Ermetismo e la validità generale della scienza sono mutuamente esclusivi. Non si può – e non si deve – presentare ciò che è intimo e personale, vale a dire esoterico, come qualcosa di avente validità generale, vale a dire scientifico.

Sì, sono certo al cento per cento che vi sono grandi verità nell’Ermetismo, ma queste verità non sono scientifiche, cioè di validità generale. Hanno valore soltanto per le personalità, ciascuna considerata individualmente, che hanno la mia stessa fame e sete, il mio stesso ideale, e probabilmente le mie stesse memorie dei ricordi passati. Hanno valore solo per i membri della “mia famiglia” – quelli che chiamo i miei “Amici Sconosciuti” a cui indirizzo queste Lettere.

L’Ermetismo non è una scienza che differisce dalle altre scienze oppure che vi si oppone. Né è una religione. È l’unione – nella tribuna interiore della coscienza intima e personale – delle verità rivelate acquisite attraverso i tentativi. Essendo una sintesi – intima e personale di ciascun individuo – di religione e scienza, non può rivaleggiare né con l’una né con l’altra. Un trattino non ha la funzione di sostituire i due termini che unisce. Vero ermetista è dunque chi applica a se stesso una doppia disciplina – quella della Chiesa e quella del mondo accademico. Egli prega e pensa. E lo fa, per quanto riguarda la preghiera, con il fervore e la sincerità di un figlio della Chiesa, e per il pensare, con la disciplina e la diligenza di un accademico. “Ora et labora” è certamente la sua formula, dove “et” è il luogo legittimo dell’Ermetismo. È una porta aperta, è la tribuna interiore della sua coscienza, tra l’oratorio e il laboratorio. È la porta tra i due – e non un altro oratorio o un altro laboratorio.

Ora et labora … oratorio e laboratorio uniti nella tribuna interiore della personalità … cos’è, in ultima analisi, se non la pratica dell’equilibrio della giustizia?


L’Ermetismo, inteso come l’equilibrio tra ora et labora, implica un grande riorientamento delle abitudini di pensiero che si sono radicate tra gli ermetisti sin dalla seconda metà del diciannovesimo secolo. Quello che segue è un esempio che ho scelto per il suo grande valore spirituale.

Gli ermetisti cristiani sono unanimi sulla preminenza della missione e della persona di Gesù Cristo nella storia spirituale dell’umanità. Per loro, Gesù Cristo sta agli altri maestri spirituali (Kṛṣṇa, Buddha, Mosè, Orfeo [8], ecc.) come il sole agli altri pianeti visibili in cielo. In ciò di distinguono dai teosofisti moderni della scuola della Blavatsky e dagli occultisti ed esoteristi orientali (facenti capo allo Yoga, al Vedanta, ai Sufi, al Mazdaznan [9], alla scuola di Gurdjieff, ecc. Gli ermetisti sono cristiani, quindi, nel senso che riconoscono l’unicità dell’Incarnazione divina in Gesù Cristo.

Allo stesso tempo, tra gli ermetisti contemporanei è sicuramente accentuata, se non prevalente, la tendenza ad occuparsi più del “Cristo cosmico” o del “Logos” rispetto alla persona umana del “Figlio dell’Uomo”, Gesù di Nazareth. Si attribuisce più importanza all’aspetto astratto e divino del Dio-Uomo che al suo aspetto umano e concreto.

Ricorriamo quindi ancora una volta alla bilancia della Giustizia e soppesiamo le alternative: “principio cosmico” e “personalità umana del Maestro”.

In primo luogo, guardiamo ai risultati o ai frutti di chi aspira alla conoscenza del Logos, e a quelli di chi aspira al contatto con Gesù Cristo, il Maestro.

Si deve far notare che non fu la rivelazione o conoscenza del Logos cosmico a originare il nuovo impulso spirituale che si manifestò negli apostoli, nei martiri e nei santi – che noi chiamiamo “Cristianesimo” – ma piuttosto la vita, morte e resurrezione di Gesù Cristo. Non fu in nome del Logos che i demoni furono esorcizzati, gli infermi guariti, e i morti riportati in vita, ma fu in nome di Gesù (cfr. Atti 4:12 [10]; Efesini 1:21 [11].

Ed è perciò che Dio lo ha sovranamente esaltato e gli ha dato il nome che è al disopra d’ogni nome, affinché nel nome di Gesù si pieghi ogni ginocchio nei cieli, sulla terra e sotto la terra, ed ogni lingua confessi che Gesù Cristo è il Signore, alla gloria di Dio Padre.

Filippesi 2:9-11

Fu il contatto con la persona di Gesù Cristo a far fluire la corrente dei miracoli e delle conversioni. Ed è così ancora oggi.


In merito al Logos cosmico, l’idea non fu né nuova né concepita all’inizio del Cristianesimo. Gli ermetisti greci (cfr. Il Divino Pimandro di Ermete Trismegisto [12]), gli Stoici e Filone di Alessandria [13] ne avevano detto quasi tutto quello che si poteva dire  in termini filosofici, gnostici e mistici. Di conseguenza, San Giovanni non ebbe in mente di promuovere una nuova dottrina del Logos nel suo Vangelo, ma piuttosto di testimoniare il fatto che il Logos “è stato fatto carne ed ha abitato per un tempo fra noi” (Giovanni 1:14).

Ora, fu Gesù Cristo che diede all’idea del Logos la vita e il calore che crearono il Cristianesimo vivente, mentre l’idea di Logos sostenuta dai saggi dell’antichità, per quanto vera, mancava della vita e del calore. Aveva la luce, ma mancava di magia. Ed è lo stesso ancora oggi.

Philippe de Lyon, il Taumaturgo, attribuì tutte le sue guarigioni miracolose ed altri prodigi a un amico: “Tutto quello che faccio è chiedergli a vostro nome, questo è tutto”. Ora, l’amico di Philippe era Gesù Cristo.

Philippe de Lyon era il “maestro spirituale” di Papus. Papus aveva anche un altro maestro, che era il suo “maestro intellettuale”. Questi era il marchese Saint-Yves d’Alveydre,  autore de Mission des Juifs e L’ Archéomètre. Quest’ultimo si dedicò interamente allo sforzo di capire, e di rendere comprensibile, il Logos o il Cristo cosmico. Allo stesso tempo, Philippe de Lyon, il “padre dei poveri”, fu al servizio di Gesù Cristo nel guarire, confortare e illuminare le genti di tutte le classi (per esempio sia la famiglia imperiale russa che i lavoratori lionesi), facendosi strumento di Gesù Cristo. Il primo (Saint-Yves) propiziò l’invenzione di uno strumento intellettuale – l’archeometria – che usò per comprendere ed esprimere la logica cosmica dell’attività del Logos nella storia dell’umanità; il secondo (Philippe de Lyon) fece di se stesso uno strumento della magia divina di Gesù Cristo allo scopo di servire il prossimo.

Papus si trovò a metà strada tra l’essere un maestro della logica universale e un maestro della magia divina. Si trovò di fronte alla scelta tra la via della logica come esemplificata da Fabre d’Olivet, Hoene-Wroński e Saint-Yves d’Alveydre, e la via della magia divina – del contatto individuale con Gesù Cristo – rappresentato da Éliphas Lévi (nella sua maturità), Philippe de Lyon e da tutti i santi cristiani. Fece una scelta tra queste due vie? Sì e no. , ne fece una nel senso di aver compreso la superiorità della via dell’amore sulla magia cerimoniale, e la superiorità del contatto con il Maestro rispetto a tutta la conoscenza teorica del Logos cosmico e del contatto con ogni “catena magica”. No, nel senso che egli non voltò le spalle a Saint-Yves e al suo lavoro, ma gli rimase fedele fino alla sua morte e anche in seguito. Nondimeno, l’attitudine assunta da Papus, a confronto con due vie e due maestri, non fu solo nobile in senso umano. Essa divulga qualcosa di più.

Essa rivela la fedeltà di Papus all’Ermetismo. Perché l’Ermetismo è un athanor (una “fornace alchemica”) eretta nella coscienza umana individuale, dove il mercurio dell’intellettualità è sottoposto alla trasmutazione nell’oro della spiritualità. Sant’Agostino agì come un ermetista trasmutando il platonismo in pensiero cristiano. Similmente, San Tommaso d’Aquino agì come un ermetista facendo la stessa cosa con l’aristotelismo. Entrambi portarono a compimento il battesimo con riguardo all’eredità intellettuale greca.

Ora, è precisamente quello che fece Papus – o fu in procinto di fare – in merito alla logica di Saint-Yves d’Alveydre e ai suoi precursori dopo aver incontrato il suo maestro spirituale, Philippe de Lyon. Non vi fu né compromesso né esitazione, ma piuttosto la speranza ermetica di conseguire una sintesi di spiritualità e di intellettualità. Papus si assunse la responsabilità di questo lavoro interiore, che all’inizio è un lacerante conflitto tra due contrari. Non possiamo dire con certezza se, o fino a che punto, il suo sforzo fu coronato da successo – una morte prematura ci ha privati della possibilità di testimoniare i frutti della vita spirituale di Papus. In merito ai suoi sforzi mondani di fungere da legame tra Philippe de Lyon e Saint-Yves d’Alveydre, Papus non ebbe successo. La prova ne è il fatto che Saint-Yves non volle vedere Philippe de Lyon, né lo invitò a incontrarlo. Ebbe però successo con altre persone: in particolare, Papus procurò a Philippe de Lyon un circolo di individui preparati – principalmente medici e occultisti – e le parti trassero vantaggio reciproco da questi incontri.

Il lavoro di Papus è rimasto irrealizzato, almeno sul piano visibile. Questo lavoro è la sintesi di intellettualità e spiritualità, del Logos cosmico e del Logos fatto carne – o, in modo conciso, l’Ermetismo cristiano in quanto tale. Perché l’Ermetismo cristiano è un compito, non è un fatto storico. Vale a dire che non è questione di “rinascimenti” dell’Ermetismo (come quelli di epoca ellenistica che ebbero luogo nel dodicesimo, quindicesimo, diciassettesimo e diciannovesimo secolo) ma piuttosto di resurrezione dell’Ermetismo. I rinascimenti sono solo reminiscenze del passato che di tanto in tanto salgono in superficie dalle profondità dell’anima umana, mentre la resurrezione è un appello alla vita presente e futura, al compimento di una missione, indirizzata a ciò che aveva un valore eterno nel passato, con la stessa voce che riportò Lazzaro alla vita.

La storia spirituale del Cristianesimo è la storia delle successive resurrezioni dal passato di ciò che ha valore, che è meritevole di eternità. È la storia della magia dell’amore che fa rivivere i morti. Fu così che il platonismo è resuscitato e che vivrà per sempre – grazie al respiro vivificante di colui che è la resurrezione e la vita (“Ego sum resurrectio et vita” – Giovanni 11:25). Ed è così che l’aristotelismo parteciperà alla vita eterna. Ed è così che anche l’Ermetismo vivrà fino alla fine del mondo e, forse, anche oltre.

Mosè e i profeti vivranno per sempre, perché hanno ottenuto il loro posto nella costellazione eterna del Verbo della resurrezione e della vita. La poesia e i canti magici di Orfeo saranno resuscitati e vivranno per tutta l’eternità come suoni e colori del Verbo di vita e resurrezione. La magia dei maghi di Zarathustra rivivrà come l’eterna aspirazione umana verso la luce e la vita. Le verità rivelate di Kṛṣṇa si uniranno al seguito dei “richiamati alla vita eterna”. Le antiche rivelazioni cosmiche dei Ṛṣi [14] vivranno e risveglieranno nuovamente nell’umanità il senso di meraviglia per il “blu, il bianco e il dorato … [15]”.

Tutte queste anime della storia spirituale dell’umanità saranno resuscitate, cioè saranno chiamate ad unirsi all’opera del Verbo che è diventato carne, che è morto e risorto dalla morte – così che la verità della promessa sia compiuta:

Perché son disceso dal cielo per fare non la mia volontà, ma la volontà di Colui che mi ha mandato. E questa è la volontà di Colui che mi ha mandato: che io non perda nulla di tutto quello che Egli mi ha dato, ma che lo resusciti nell’ultimo giorno. Poiché questa è la volontà del Padre mio: che chiunque contempla il Figliolo e crede in lui, abbia vita eterna; e io lo resusciterò nell’ultimo giorno.

Giovanni 6:38-40

Anche l’Ermetismo è chiamato a vivere – non solo come reminiscenza, ma come resurrezione. Ciò avrà luogo quando coloro che gli sono fedeli – e in cui vivono le reminiscenze del suo passato – comprenderanno la verità che l’uomo è la chiave del mondo, e che Gesù Cristo è la chiave dell’uomo, e che il mondo – com’era prima della Caduta e come sarà dopo la Reintegrazione – è il Verbo, e che il Verbo è Gesù Cristo, e che, infine, Gesù Cristo rivela Dio Padre che trascende sia il mondo che l’uomo.

Attraverso Gesù Cristo si giunge al Verbo o Logos; attraverso il Verbo o Logos si comprende il mondo; e attraverso il Verbo del mondo, la cui unità è lo Spirito Santo, si giunge alla conoscenza sempiterna del Padre.


Questo è uno degli insegnamenti della bilancia della Giustizia considerata come esercizio spirituale. Ma essa ci può dare molti altri insegnamenti in relazione a problemi come il karma, o legge dell’equilibrio nella storia dell’umanità e dell’individuo; al problema della relazione tra il fato (storico, biologico e astrologico), la libertà e la provvidenza; al problema delle tre spade (del Cherubino dell’Eden, dell’Arcangelo Michele e dell’Angelo dell’Apocalisse) o problema della sanzione nelle opere della giustizia cosmica [16]; e infine, il problema gnostico dell’Ogdoade (“ottuplicità”). Tutti questi problemi meritano certamente di essere trattati sotto il titolo di – o meglio, per mezzo della – bilancia della Giustizia. A dire la verità, non solo lo meritano, ma ne hanno davvero bisogno. So per certo che è così. Ma devo rinunciare a farlo, perché non posso scrivere un intero volume solo sull’ottavo Arcano, tanto meno ventidue volumi sui ventidue Arcani del Tarocco – essendomi promesso di scrivere solo delle lettere sugli Arcani. Una lettera non può diventare un volume. Devo quindi rinunciare a molte – ebbene sì, la maggioranza – delle cose che avrei voluto davvero mettere per iscritto. Ma spero che il metodo di utilizzo della bilancia della Giustizia (che in questa Lettera voglio solamente illustrare) trovi un’accoglienza attiva e favorevole e che tu, caro Amico Sconosciuto, riuscirai ad operare con discernimento sui problemi che qui non abbiamo trattato, grazie alla bilancia della Giustizia.

Se riesci, non solo avrai, forse, la soddisfazione e la gioia di una nuova comprensione, ma anche quella di respirare l’aria del coraggio morale e dell’onestà di una giustizia imparziale. Forse, per di più, avrai un’esperienza che ti darà la risposta conclusiva alla questione posta alla fine della Lettera precedente, vale a dire: Qual è  l’ottava forza che porta in equilibrio le sette forze del corpo astrale? Perché è questa ottava forza che opera nel giudicare e nel soppesare per mezzo della bilancia della Giustizia, nella tribuna interiore della coscienza. È l’”ottavo pianeta” o fattore sconosciuto da cui tanto dipende l’interpretazione di un oroscopo tradizionale con i suoi sette pianeti, e l’interpretazione della formula caratteriologica tradizionale della composizione e delle proporzioni dell’organismo psichico o “carattere”.

Che si tratti di oroscopo astrologico o di formula caratteriologica non ha importanza, c’è sempre un fattore X dal cui utilizzo dipendono i dati astrologici o caratteriologici. È il fattore del libero arbitrio, che sta alla base della regola astrologica tradizionale: Astra inclinant, non necessitant. La medesima regola è applicabile all’”astrologia microcosmica” o caratteriologia. Anche lì il libero arbitrio è il fattore di indeterminatezza che non consente di stabilire il ruolo che un uomo con un carattere ben definito assumerà in determinate circostanze e di predirlo con certezza. Perché non è il carattere ad essere la sorgente del giudizio e della scelta cosciente, ma piuttosto la forza in noi che soppesa e giudica per mezzo della bilancia della Giustizia. La libertà è un fatto che si sperimenta quando qualcuno giudica non con il proprio temperamento (“corpo eterico”) o con il proprio carattere (“corpo astrale”), ma piuttosto con la bilancia della Giustizia – ovvero per mezzo della sua coscienza. La parola coscienza (“con-scienza”) contiene l’idea di equilibrio, perché implica la “conoscenza simultanea”, cioè la conoscenza dei fatti delle due scale sospese all’estremità dei bracci della bilancia. La coscienza non è né un prodotto né una funzione del carattere. È sopra di esso. Ed è qui – e solo qui – che inizia e si trova il dominio della libertà. Non si è per nulla liberi quando si giudica o si agisce secondo il carattere o il temperamento; ma certamente lo si è quando si giudica e si agisce secondo la bilancia della Giustizia, o coscienza.  Ma la Giustizia, la pratica dell’equilibrio, è solo l’inizio di un lungo cammino verso lo sviluppo della coscienza – e quindi della crescita della libertà [17].

L’Arcano successivo, l’Eremita, ci invita a uno sforzo meditativo dedicato alla via della coscienza.


[1] Il realismo è il punto di vista filosofico che accorda alle cose percepite e conosciute una realtà che è indipendente dal pensiero e dalla percezione dell’osservatore. Platone diede un’interpretazione particolare al realismo filosofico, asserendo, con la teoria degli universali, che entità astratte come la “Bellezza” o la “Giustizia” possedessero anch’esse una loro realtà indipendente dagli oggetti a cui erano collegate (universalia ante res). Per Aristotele questo realismo estremo andava sostituito con il pensiero più moderato che gli universali esistono in dipendenza degli oggetti che li istanziano (universalia in rebus). Nel periodo medievale, alla concezione realista sugli universali si oppose il nominalismo, a sostenere al contrario che l’uso di una generalizzazione (ad es. il concetto di “umanità”) non è altro che un’etichetta arbitraria – sebbene utile – per la classificazione delle similarità..

[2] Il razionalismo è il punto di vista filosofico che sostiene che la realtà possiede una struttura inerentemente logica, e che in quanto tale può essere afferrata dall’intelletto. In ciò si oppone all’empirismo, che al contrario asserisce che tutta la conoscenza deriva dall’esperienza sensoriale. Il volontarismo assegna alla volontà un ruolo predominante rispetto all’intelletto. Per Giovanni Scoto, un tomista medievale, la volontà è totalmente libera e al di sopra di ogni altra volontà; in tempi moderni, Schopenhauer sostiene che la volontà è l’unica forza dietro tutte le idee di realtà. Si tratta chiaramente di una visione totalmente contrapposta a quella del determinismo, secondo cui tutti gli eventi e le azioni umane sono causalmente inevitabili.

[3] Gli Ugonotti furono un gruppo religioso francese di fede protestante del sedicesimo e diciassettesimo secolo. Nati a seguito del movimento di Riforma tedesco del 1517, si diffusero rapidamente in Francia, anche se subirono molto presto numerose persecuzioni; Giovanni Calvino ne fu uno dei membri più in vista. Nel corso delle Guerre di Religione (1562-1598) tra i Protestanti e la Chiesa Cattolica, ebbe luogo il famoso massacro del giorno di San Bartolomeo, a seguito del quale gli Ugonotti parigini e nel resto della Francia furono uccisi a migliaia. Le persecuzioni continuarono, e fu solo con la Rivoluzione francese del 1789 che l’Assemblea Nazionale ripristinò i diritti civili degli Ugonotti e affermò la libertà di religione, garantendo ai Protestanti l’esercizio di tutte le professioni.

[4] Martinez de Pasqually, al secolo Jacques di Livron de la Tour de la Casa Martinez de Pasqually (1727 ?-1774) fu un teosofo e un teurgo di origini incerte, fondatore dell’Ordine dei Cavalieri Massoni Eletti Cohen dell’Universo. Fu l’iniziatore e il tutore di Louis Claude de Saint-Martin. Le sue origini sono ancora oggi materia di discussione; alcuni autori proposero che fosse spagnolo, altri che fosse di probabili origini portoghesi. La dottrina da lui insegnata e praticata, come si può evincere dalla sua opera Trattato sulla Reintegrazione degli Esseri, vede Dio emanare esseri della sua natura, in forma androgina. Adamo, il primo uomo, diviene mortale e schiavo della sua prigione corporea a seguito della sua ambiguità. L’umanità deve quindi riconquistare la sua origine divina attraverso il perfezionamento interiore, che per Martinez deve accompagnarsi ad operazioni teurgiche e rituali in grado di richiamare le entità angeliche. Nel 1774 si imbarcò per Santo Domingo dove doveva ricevere un’eredità, e lì morì. Alla sua morte l’Ordine si disintegrò, ma ancora oggi esistono delle correnti che cercano di ricostruire i riti Cohen originali.

[5] Louis Claude de Saint-Martin (1743-1803), conosciuto come il « Filosofo Incognito” o il “Filosofo Sconosciuto”, fu un mistico influenzato dal Cristianesimo che divenne l’ispiratore nella fondazione dell’Ordine Martinista. Nato in una famiglia della piccola nobiltà francese, durante la sua militanza nell’esercito conobbe Martinez de Pasqually, che lo introdusse al misticismo e ai riti teurgici. Durante la sua esistenza frequentò grandi pensatori ed esoteristi, tra cui Jakob Böhme, che ebbe su di lui una grande influenza, e che in qualche modo lo spinse ad allontanarsi dall’influenza di Pasqually. I suoi insegnamenti e i suoi ideali sociali sono basati sul misticismo cristiano: la creazione è uno straripamento dell’amore divino; l’anima e l’intelletto umani, lo spirito dell’universo e gli elementi materiali sono i quattro stadi dell’emanazione divina. Essendo l’uomo decaduto dal suo stato edenico – laddove la materia è una delle conseguenze di questa caduta – egli deve risollevarsi e rigenerarsi grazie all’amore divino e all’unione dell’umanità con Cristo.

[6] In senso scientifico l’archeometria (la misura di ciò che è antico) è sinonimo di scienza archeologica, nello specifico delle tecniche di analisi, sintesi e interpretazione dei reperti archeologici attraverso metodologie chimiche, di radiodatazione, ecc. Qui Tomberg fa riferimento a un’opera di Saint-Yves d’Alveydre, poi ripresa e ampliata da Guénon (L’Archéomètre), sullo studio di una chiave universale che permette di determinare il valore di ciascun sistema filosofico, scientifico o religioso, al fine di integrarlo nell’albero della tradizione primordiale.

[7] Si tratta della parabola dei talenti: un uomo parte per un viaggio, consegnando i suoi averi ai suoi tre servitori perché li custodiscano e li facciano fruttare. Al suo ritorno, due dei servitori restituiscono al padrone i talenti raddoppiati perché hanno saputo farli fruttare; il terzo, per timore, seppellisce il suo talento sottoterra, e viene successivamente punito per la sua inettitudine.

[8] Nella mitologia greca Orfeo (gr. Ὀρφεύς) è figlio di una Musa (probabilmente Calliope, protettrice della poesia epica) e di Apollo o, secondo altre versioni, di Oeagrus, re di Tracia. Dotato di straordinarie capacità musicali, divenne il protettore del movimento religioso che prese il suo nome (orfismo). Il suo mito è legato soprattutto al salvataggio della sua sposa Euridice, morta a causa di un morso di serpente. Orfeo, grazie alla sua musica, convince Ade il re degli inferi a restituirgli Euridice, alla sola condizione che non volgano lo sguardo all’indietro prima di uscire dalla terra dei morti. Orfeo, alla soglia della terra dei vivi, e vedendo nuovamente il sole, si volta per condividere il momento con Euridice, e in quel momento ella scompare.

[9] Il movimento Mazdaznan fu fondato verso la fine del diciannovesimo secolo da Otto Hanisch (1854-1936), polacco emigrato in Germania, che in seguito assunse il nome di Otoman Zar-Adusht Ha’nish. Esso si richiama fondamentalmente al mazdeismo persiano, ma con un forte accento posto sul sincretismo religioso. Gli aderenti assumono una dieta strettamente vegetariana e praticano esercizi di respirazione cosciente, perché ritengono che attraverso il respiro si inali il principio dell’intelligenza universale, detta Gah-Llama. Il movimento non ebbe mai una grande diffusione e cessò di esistere come organizzazione nel 1980, anche se è possibile che vi siano ancora praticanti e seguaci isolati.

[10] “E in nessun altro è la salvezza; poiché non v’è sotto il cielo alcun altro nome che sia stato dato agli uomini, per i quali noi abbiamo ad essere salvati”.

[11] “Al di sopra di ogni principato e autorità e potestà e signoria, e d’ogni altro nome che si nomina non solo in questo mondo, ma anche in quello a venire”.

[12] Il Divino Pimandro, attribuito ad Ermete Trismegisto, è un testo originariamente scritto in greco che espone i dialoghi tra Ermete e Pimandro, un attributo riferito alla mente di Dio o nous (νοῦς).

[13] Filone di Alessandria (c. 20 a.C. – c. 50 d.C.), detto anche Filone il Giudeo, fu un filosofo greco-giudaico vissuto ad Alessandria d’Egitto. Fu il più importante rappresentante del giudaismo ellenistico, una corrente di pensiero che tentava di sintetizzare la fede rivelata e la ragione filosofica. La sua dottrina è basata sulla Bibbia ebraica considerata quale sorgente di una verità universale, i cui versi vanno però interpretati in senso esoterico e allegorico. La sua nozione di Dio è totalmente trascendente: egli non può avere qualità umane, è al di fuori del tempo e dello spazio e non interviene sul mondo perché già comprende e abbraccia il cosmo intero.   

[14] Nell’Induismo, i Ṛṣi sono i veggenti che hanno il compito di preparare l’umanità al ciclo successivo di esistenza.

[15] Probabilmente Tomberg si riferisce al ruolo fondamentale dei tre colori nell’arte e nella storia dell’umanità: il bianco come colore che incorpora i valori dell’eguaglianza e della ragione, il blu a rappresentare altri mondi oltre il nostro, e il dorato come riflesso di tutto ciò che è sacro.

[16] Ovvero di come conciliare eticamente l’esercizio della grazia e della giustizia.

[17] Il concetto di “bilancia della Giustizia” è molto simile all’idea espressa nel buddhismo tibetano con il termine shes-rab (discriminazione valutativa), cioè la conoscenza del valore non arbitrario delle cose; per un approfondimento si veda il mio articolo su Mercurio. Sul rapporto tra coscienza e libero arbitrio si veda questo post.

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