L'equilibrio della natura umana e spirituale

Estratti dall’opera: Meditation on the Tarot: A Journey Into Christian Hermeticism, London 1982 – Trad. dall’inglese, adattamento e note di Daniele Duretto

Lettera VIII

Il Figlio e lo Spirito – questo è tutto ciò che ci è accordato. Per quanto riguarda l’unità assoluta o il Padre, nessuno è stato in grado di vederlo né lo vedrà in questo mondo, se questo non è all’interno dell’ottonario – che è, in realtà, il solo modo per cui lo si potrebbe raggiungere.

louis claude de saint-martin – des nombres – Paris 1861, p. 55

Quis custodiet ipsos custodes?

decimus junius juvenalis – Satires VI, 347-348

Caro Amico Sconosciuto,

Il settimo Arcano ci ha insegnato come conseguire l’equilibrio interiore; l’insegnamento dell’ottavo Arcano è su come mantenere questo equilibrio una volta raggiunto; e il nono Arcano ci mostra il metodo o la via che si apre a colui che sa come conseguire e mantenere l’equilibrio. Il altre parole, il settimo Arcano ci dice come conseguire l’equilibrio (o salute), l’ottavo Arcano ci mostra il “meccanismo” dell’equilibrio microcosmico e macrocosmico e il nono Arcano ci insegna la “via della pace” o la “via di mezzo” – quella dello sviluppo spirituale bilanciato – propria dell’ermetismo inteso come sintesi di misticismo, gnosi, magia e scienza.

La carta dell’ottavo Arcano rappresenta una donna seduta su un seggio giallo tra due colonne, vestita di una tunica rossa e avvolta in un mantello blu. Tra le mani tiene una spada e una bilancia gialle. Sulla testa indossa una tiara tripartita sormontata da una corona.

Ora, l’insieme della Carta evoca l’idea di una legge interposta tra la libera azione dell’individuo e l’essenza dell’essere. L’uomo può agire con il suo libero arbitrio – la legge reagisce alla sua azione attraverso effetti palesi e invisibili. Ma dietro questa reazione si trova la base primordiale della realtà ultima (l’ens realissimum di San Tommaso d’Aquino), che conferisce universalità, regolarità e immutabilità alle reazioni della legge. La legge è interposta tra la libertà dell’uomo e la libertà di Dio. Ella è seduta tra due colonne: quella della volontà (Jakin) e quella della provvidenza (Boaz). Non agisce; può solo reagire. Questo è il motivo per cui è rappresentata come donna e non come uomo. La corona che indossa indica che trae la sua dignità e la sua missione dall’alto – dall’Essere supremo, dalla provvidenza. La bilancia e la spada che tiene tra le mani indicano che protegge l’equilibrio e come lo salvaguarda (la sanzione dell’equilibrio) nel dominio del libero arbitrio degli individui. Quindi ella dice: “Sono seduta sul seggio situato tra la volontà degli esseri individuali e la volontà dell’Essere supremo. Sono il guardiano dell’equilibrio tra l’individuale e l’universale. Ho il potere di ristabilirlo ogni volta che è violato. Sono l’ordine, la salute, l’armonia, la giustizia”.

È la bilancia a indicare l’equilibrio – o l’ordine, l’armonia e la giustizia – ed è la spada a significare il potere di ristabilirlo ogni volta che l’individuo peccherà contro la volontà universale.


Questo è il significato generale della Carta che, per così dire, cattura la nostra attenzione dal primo istante della nostra meditazione sull’ottavo Arcano. Ciò nonostante, il significato generale – sebbene molti lo considerino come l’obiettivo dei loro sforzi verso la conoscenza – è solo l’anticamera del suo significato ermetico. Poiché quest’ultimo non sta nella generalizzazione ottenuta attraverso il metodo dell’astrazione, ma piuttosto nella profondità ottenuta con il metodo della penetrazione. Le risposte generali ottenute per mezzo dell’astrazione sono, in realtà, solo tante domande e compiti destinati alla penetrazione. Perché più un’idea è generale, più è superficiale. L’idea più generale e astratta che esiste in filosofia è quella dell’”Assoluto” (cfr. Hegel), ma è allo stesso tempo l’idea più superficiale che esista al mondo. Significando tutto, non esprime nulla. Potete certamente morire – ed anche vivere – per Dio, ma non potreste mai morire come martire per l’Assoluto. Perché morire per l’Assoluto equivale a morire per nulla. L’idea dell’Assoluto è soltanto un’ombra tra le ombre, mentre il Dio vivente è il prototipo dei prototipi … il prototipo dei prototipi, vale a dire: il Padre universale.

Uno dei significati del primo comandamento,

Non avere altri dèi al mio cospetto

esodo 20:3

è che non si dovrebbe sostituire la realtà spirituale di Dio con un’astrazione intellettuale di Dio. Si pecca quindi contro il primo comandamento quando si sostituisce all’ardente, luminoso e vibrante Essere di vita l’astrazione di un “principio” o “idea” – che sia la “Causa Prima” o l’”Assoluto” – che sono, a onor del vero, solo “immagini scolpite” mentalmente o idoli mentali creati dall’intelletto umano.

Quindi, non pecchiamo contro il primo comandamento e non sostituiamo la realtà della giustizia con “immagini scolpite” solo con la mente o con idee astratte. Ma d’altro canto, non abbracciamo la causa degli iconoclasti intellettuali che vogliono vedere solo idoli in ogni idea o concetto astratti. Perché tutti i concetti e le idee astratte possono diventare icone o “immagini sacre” quando le si considera non alla fine, ma piuttosto all’inizio della via verso la conoscenza della realtà spirituale. Nel dominio della vita intellettuale, le ipotesi non giocano il ruolo di idoli, ma quello di immagini sacre. Perché nessuno accetta un’ipotesi come realtà assoluta, proprio come nessuno venera un’immagine sacra come realtà assoluta. E ancora, le ipotesi sono fruttuose in quanto ci conducono alla verità, guidandoci ad essa entro la totalità della nostra esperienza – proprio come anche le icone o le immagini sacre sono profittevoli guidandoci verso l’esperienza della realtà spirituale che rappresentano. Un’icona è l’inizio della via alla realtà spirituale; essa non la rimpiazza – come nell’idolatria – ma dà una direzione e un impulso verso di essa. Similmente, un concetto o un’idea astratta non sostituiscono la realtà spirituale, ma forniscono piuttosto un impulso verso di essa. Evitiamo quindi lo Scilla dell’idolatria e la Cariddi dell’attitudine intellettuale iconoclasta, e prendiamo le idee astratte come ipotesi che portano alla verità, e le immagini o i simboli come nostre guide verso la realtà. Non commettiamo dunque l’errore di voler “spiegare” un simbolo riducendolo a poche e astratte idee generali. Eviriamo anche l’errore di voler “concretizzare un’idea astratta rivestendola in forma allegorica. Piuttosto cerchiamo un’esperienza pratica della realtà spirituale e della verità per mezzo di immagini concrete e di idee astratte. Perché il Tarocco è un sistema o organismo di esercizi spirituali, che in primo luogo è pratico. Se così non fosse, non varrebbe veramente la pena occuparsene.

Consideriamo quindi l’Arcano “La Giustizia” come un tentativo per portare la coscienza all’esperienza della realtà che esso rappresenta e alla comprensione della verità che esso esprime. Prima di tutto, si deve enunciare il fatto che la realtà e la verità della giustizia si manifestano nel dominio del giudizio. Perché pronunciare un giudizio in merito a qualcosa equivale a un’azione che ha come scopo la ricerca della giustizia. Non sono solo i giudici del tribunale a giudicare; chiunque giudica dal momento in cui pensa. Tutti noi, in quanto esseri pensanti, siamo giudici. Perché ogni problema, ogni questione che cerchiamo di risolvere, apre la strada in realtà a una sessione del nostro tribunale interiore, dove i “pro e contro” sono confrontati e soppesati prima di pronunciare un giudizio. Siamo tutti giudici, nel bene o nel male; lo siamo, e esercitiamo le funzioni di giudice quasi incessantemente, dal mattino alla sera. Il comandamento

Non giudicate affinché non siate giudicati

matteo 7:1

equivarrebbe dunque alla rinuncia a pensare. Perché pensare è giudicare. “Vero” e “falso”, “bello” e “brutto”, “buono” e “cattivo” sono giudizi che pronunciamo molte volte al giorno. Nondimeno, una cosa è giudicare e un’altra è condannare. Si giudicano fenomeni e azioni, ma si possono giudicare anche gli esseri umani in quanto tali. Ma così facendo si andrebbe oltre la competenza del giudizio del pensiero. Quindi non si dovrebbero giudicare gli esseri umani, perché essi sono inaccessibili al giudizio del pensiero basato solo sull’esperienza fenomenica. Per cui, un giudizio negativo riguardante gli esseri umani, o una loro condanna, è in realtà impossibile. Ed è in questo senso che si può comprendere il comandamento cristiano: “Non giudicate” – cioè non giudicate gli esseri umani, non condannateli. Perché chi condanna assume una funzione che non è in grado di attribuirsi. Egli mente presentando come verità e giustizia un giudizio che è privo di ogni fondamento. È quindi meglio dire al proprio vicino, “Stai agendo come un pazzo”, perché chiunque dica  “Tu sei pazzo” merita di essere punito dal fuoco dell’inferno (cfr. Matteo 5:22 [1]).

Quindi, si deve conoscere l’estensione della propria conoscenza e ignoranza quando si emette un giudizio. Questo è il motivo per cui nessun giudizio umano dev’essere attinente all’anima.

E allora l’intuizione, è lì per niente? Esiste, certo, ed è lì per qualcosa. Nondimeno, essendo l’intuizione la percezione che scaturisce dalla comprensione e dall’amore, essa non accusa mai. Gioca sempre il ruolo della difesa, del sostenitore. Siccome percepisce l’anima degli esseri umani, vede in loro solamente l’immagine di Dio. Vedendo e sapendo che l’anima del colpevole è sempre la prima vittima di tutti i peccati o crimini che ha commesso, l’intuizione non può giocare altro ruolo di quello del sostenitore. Il detto “sapere tutto è perdonare tutto” si riferisce alla comprensione “dal di dentro” – vale a dire “intuitiva” – e non alla comprensione esteriore, cioè alla comprensione fenomenica e discorsiva. Una formula toccante sul ruolo dell’intuizione nell’esercizio della giustizia ci è data nella preghiera del Maestro al momento della sua crocifissione:

E Gesù diceva, Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno.

luca 23:34

Questa formula indica tre fatti:

  • quello che stanno facendo, da un punto di vista fenomenico, è criminale;
  • il giudizio è consegnato al Padre;
  • questo è accompagnato dalla supplica “perdona loro”, basato sulla certezza data dalla percezione intuitiva che “non sanno quello che fanno”.

È grazie al riconoscimento del ruolo dell’intuizione intellettiva, come distinta dal ruolo di ricerca e di stabilirsi dei fatti per conoscenza, che la giustizia rigorosa è stata integrata con l’equità (equity) nell’esercizio della giustizia nei paesi che hanno accettato i principi del diritto romano e anglosassone. La common law è ciò che nasce attraverso la conoscenza dopo che questa ha comparato i fatti con la lettera della legge [2]. L’equità è ciò che l’intelligenza trova necessario modificare nell’ambito della common law dopo averla comparata con i risultati o gli sforzi per giungere a una percezione intuitiva dell’essere umano la cui sorte è al palo. È per amore dell’equità, o del giudizio dell’intuizione nella cornice dell’intelligenza, che vennero istituite le giurie nell’esercizio della giustizia nell’ambito della civiltà cristiana. Prima del Cristianesimo l’istituto della giuria non esisteva. Né la moglie di Pilato, né

… la gran moltitudine di popolo e di donne che facean cordoglio e lamento per lui

luca 23:27

avevano voce nel tribunale di Pilato. La “giuria” (le donne di Gerusalemme) potevano solo piangere o conversare in segreto con il “giudice” (la moglie di Pilato). Poi fu l’equità che gridò nelle strade di Gerusalemme e fu l’intuizione assieme all’intelligenza che sussurrò gli avvertimenti alle orecchie di Pilato attraverso la bocca di sua moglie. E fu l’assenza di una giuria quale organo giudiziario di equità che forzò il giudice, Pilato, a ricorrere a un orrendo atto di giustizia – abdicando alla funzione di giudice, lavandosene le mani e trasferendo la decisione all’esecutore.

Ora, la giustizia si compie solo nel caso in cui tutti i fatti pertinenti a favore e contro l’accusato siano stabiliti, poi soppesati attraverso la conoscenza e quindi sottoposti al giudizio dell’intelligenza. Le tre funzioni giudiziarie – istruzione della causa, dibattito e decisione – corrispondono ai tre gradi della conoscenza – ipotetica, argomentativa e intuitiva – designati da Platone come “δόξα”  (doxa) o “opinione ipotetica”, “διάνοια” (dianoia) o “conclusione basata sugli argomenti” e “ἐπιστήμη” (episteme) o “percezione intuitiva [3]”. In effetti, i fatti stabiliti e presentati  attraverso l’investigazione servono come basi sia per l’accusa che per la difesa nelle rispettive ipotesi: “colpevole” e “innocente”. I dibattiti a seguire conseguono lo scopo di giungere a una conclusione basata su argomenti portati a favore dell’una o dell’altra ipotesi. La decisione presa dalla giuria è intesa all’inizio come il risultato di uno sforzo di coscienza per ergersi sopra l’apparenza dei fatti e del formalismo degli argomenti logici in vista di una percezione intuitiva della materia da un punto di vista umano. È quindi l’equità ad avere l’ultima parola.

Si può dire, quindi, che il processo per l’esercizio della giustizia umana consista nel grande sforzo richiesto alle tre facoltà cognitive dell’essere umano: la facoltà di formare ipotesi sulla base dei dati forniti dai sensi (doxa), la facoltà della discussione logica o dell’impegno intellettuale a favore o contro queste ipotesi (dianoia) e, infine, la facoltà dell’intuizione (episteme).


Ora, la struttura di una “giustizia umana equa” è solo – e può solo essere – una “immagine” o analogia della struttura della giustizia cosmica divina. La Cabala ebraica lo mette in risalto molto più chiaramente di ogni altra corrente della tradizione di cui sono a conoscenza.

Qui, il sistema noto come “Albero delle Sephirot” consiste di tre colonne: la destra, la sinistra e la mediana. La colonna di destra o della Grazia include le Sephirot Chokmah (Saggezza), Chesed o Gedulah (Grazia o Magnificenza) e Netzach (Vittoria o Trionfo). La colonna di sinistra o della Severità è composta dalle Sephirot Binah (Intelligenza), Geburah o Pachad (Severità o Paura) e Hod (Gloria o Onore). Le Sephirot del pilastro centrale sono Kether (Corona), Tiphereth (Bellezza), Yesod (Fondamento) e Malkuth (Il Regno).

La colonna di destra è spesso designata come la “colonna della Grazia”, mentre la colonna di sinistra porta il nome di “colonna della Severità”. Ora queste due colonne (che lo Zohar considera quelle del BENE e del MALE metafisico) corrispondono, dal punto di vista della giustizia, alla difesa e all’accusa, mentre la colonna centrale corrisponde all’equità. Il sistema delle Sephirot è basato su di un equilibrio dinamico, con la tendenza a ristabilirsi in un’istanza quando si produce una disimmetria temporanea. È un sistema di bilanciamento.

Nella sua forma più semplice una bilancia consiste di un asse fisso (una colonna nel mezzo) generalmente verticale, un’asta che forma una T o una + (croce) con quest’asse e, infine, due piatti sospesi alle estremità dell’asta. La bilancia origina tre relazioni fondamentali: (i) l’equilibrio tra i due piatti stabilisce un rapporto di correlazione; (ii) la normale sospensione dei piatti in un punto di equilibrio e il sostegno dell’intero sistema attraverso un supporto evoca un rapporto di subordinazione; e (iii) il ruolo differente dei due piatti nella pesatura introduce tra le estremità opposte una differenziazione in virtù della quale si produce un orientamento o una corrente.

francis warrain – La Théodicée de la Kabbale – paris 1949, p. 50

Nel sistema delle Sephirot abbiamo a che fare con un sistema di equilibrio fondato simultaneamente su quattro mondi, o quattro piani: il mondo delle emanazioni (olam ha-atziluth), il mondo della creazione (olam ha-briah), il mondo della formazione (olam ha-yetzirah) e il mondo dell’azione (olam ha-asiah), sia in senso verticale, cioè l’equilibrio mantiene e ristabilisce la stabilità tra ciò  che sta in alto e ciò che sta in basso, sia in senso orizzontale, cioè l’equilibrio mantiene la stabilità tra il lato destro e il lato sinistro, le colonne della Grazia e della Severità. Quindi, la pesatura si attua da un lato per mezzo dei piatti destro e sinistro e dall’altro dei piatti superiore e inferiore. Il meccanismo dell’equilibrio “destra-sinistra” è la legge della giustizia che mantiene la stabilità tra la libertà individuale degli esseri umani e l’ordine universale. In ultima analisi è il KARMA, che è la legge che governa gli adattamenti o i debiti reciproci tra gli esseri umani. Ma il meccanismo dell’equilibrio “celeste-terrestre” supera la giustizia del karma; è la giustizia della grazia.


Gratia gratis data[4]” Il sole splende parimenti sul buono e sul malvagio. È moralmente giusto? È la giustizia della grazia più elevata della giustizia protettiva, distributiva e punitiva della legge? È così. C’è la sublime “altra giustizia” della grazia, che è il significato del Nuovo Testamento. Perché il Vecchio Testamento sta al Nuovo Testamento come il karma sta alla grazia. Anche la Grazia utilizza l’equilibrio, cioè la giustizia. È la giustizia in cui un piatto è sulla terra e l’altro in cielo. La preghiera del Signore ci rivela il principio della giustizia della grazia e le operazioni di pesatura per mezzo dell’equilibrio “cielo-terra”. Là è detto:

E rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori.

matteo 6:12

E poi il Maestro aggiunge:

Poiché se voi perdonate agli uomini i loro errori, il Padre vostro celeste perdonerà anche voi; ma se voi non perdonate agli uomini, neppure il Padre celeste perdonerà i vostri errori.

matteo 6:14-15

Il Maestro è esplicito in merito all’equilibrio operante tra la terra e il cielo – “ … se voi non perdonate agli uomini i loro errori, neppure il Padre celeste perdonerà i vostri errori” – questa è la legge, questa è l’opera infallibile e implacabile dell’equilibrio “cielo-terra”. Che questo equilibrio governi non solo il perdono ma anche l’intero dominio dei doni dall’alto, intesi come lo Spirito Santo, è evidente nelle parole del Maestro in merito alla preghiera del Signore nel Vangelo di Luca:

Se voi, dunque, che siete malvagi, sapete dare buoni doni ai vostri figlioli, quanto più il vostro Padre celeste donerà lo Spirito Santo a coloro che glielo domandano!

luca 11:13

Il sole splende parimenti sul buono e sul malvagio. Ma di certo è necessario aprire le finestre di una stanza buia per fare sì che la luce vi entri. La luce del sole non è in alcun modo creata o meritata da noi. È un dono, puro e semplice – gratia gratis data. Nondimeno, è necessario aprire le nostre finestre per permettere ad essa di entrare nella nostra dimora, proprio come è necessario aprire gli occhi per vederla. Il significato pratico dell’equilibrio “cielo-terra” è quello della cooperazione con la grazia. Non per nulla lo sforzo umano è nel dominio del meccanismo della grazia. Né la sola nomina dall’alto (Calvinismo [5]) né la sola fede dal basso (Luteranesimo [6]) sono sufficienti per la realizzazione dell’equilibrio “cielo-terra”. Eletti o non eletti, con o senza fede, è per noi necessario, per esempio, “perdonare coloro che hanno peccato contro di noi” qui in basso affinché siano perdonati dall’alto i nostri errori. Vi è una correlazione – non quantitativa, ma piuttosto in natura – tra il piatto inferiore, lo “sforzo”, e il piatto superiore, il “dono”, dell’equilibrio “cielo-terra”. La correlazione tra lo sforzo dal basso e il dono dall’alto non è, ripeto, di misura o quantità, ma piuttosto di sostanza o qualità. Può essere che il perdono da parte mia di una singola offesa subita un altro possa produrre il perdono di migliaia di offese della stessa natura da parte mia. L’equilibrio “cielo-terra” non pesa la quantità; il suo meccanismo appartiene interamente al dominio della qualità. Questo è il motivo per cui non vi è giustizia quantitativa nel rapporto tra sforzi dal basso e doni dall’alto. Questi ultimi superano sempre la misura della giustizia quantitativa. Ciò è importante da capire soprattutto in merito alla palese ingiustizia dell’inferno perpetuo, a quello che può sopportare una vita – o più d’una, non ha importanza – limitata nel tempo. Tuttavia, l’inferno perpetuo è ingiusto solo da un punto di vista puramente quantitativo. Comparando il numero limitato di anni di una vita – o vite – sulla terra con il numero illimitato di anni dell’eternità si giunge alla conclusione che la misura del castigo è sproporzionata rispetto alla misura della trasgressione e che, di conseguenza, non vi è giustizia. Ma consideriamo il problema dell’inferno perpetuo non dal punto di vista della quantità (il che è assurdo, visto che il tempo non esiste nell’eternità), ma piuttosto da quello della qualità.

Come affrontiamo il problema, allora?

Quella che segue è la risposta a cui giungiamo quando abbandoniamo la correlazione quantitativa tra tempo ed eternità: chiunque entra nella regione dell’eternità senza un briciolo di amore, entra nell’inferno perpetuo. Vivere senza amore – questo è l’inferno. E vivere senza amore nella regione dell’eternità – questo è vivere nell’inferno perpetuo.

L’inferno è lo stato dell’anima incapace di uscire da se stessa, è l’implosione assoluta, l’isolamento nel buio e nella malvagità, ovvero la definitiva incapacità di amare.

Nikolai Berdyaev [7]The Destiny of Man – London 1937, p. 351

Lo stato soggettivo dell’anima non è né duraturo né breve – è intenso quanto l’eternità. Similmente, la beatitudine che il santo sperimenta nella visione di Dio è intensa quanto l’eternità – sebbene non permanga così a lungo, dato che qualcuno presente all’estasi di un santo la calcolerebbe della durata di pochi minuti. La “regione” dell’eternità è quella dell’intensità, che supera la misura quantitativa spaziotemporale. L’”eternità” non è una durata di lunghezza infinita; è “l’intensità della qualità” che, comparata con il tempo e quindi tradotta nel linguaggio della quantità, diventa una durata infinita. In merito a questo, Berdyaev dice:

Nella nostra vita terrena ci è dato di subire tormenti che appaiono andare avanti per sempre, che non sono di un momento, di un’ora o di un giorno, ma sembrano durare all’infinito … Oggettivamente questo infinito può durare un momento, un’ora o un giorno, ma esso riceve comunque il nome di inferno senza fine … Quando Origene [8] disse che Cristo rimarrà sulla croce sino a che una singola creatura rimarrà all’inferno, espresse una verità eterna.

ibid., p. 342, 347

Cosa si può aggiungere a questo, se non “amen”? L’inferno perpetuo è lo stato dell’anima imprigionata in se stessa, dove l’anima non ha speranza di uscirne. “Eterno” equivale a dire “senza speranza”. Tutti i suicidi commessi per disperazione testimoniano la realtà dell’inferno perpetuo come stato dell’anima. Prima del suicidio, le persona che lo commette sperimenta uno stato di completa angoscia, cioè l’inferno perpetuo. Questo è il motivo per cui si preferisce il nulla allo stato di angoscia. Il nulla è quindi la sua ultima speranza.

La beatitudine eterna – il “paradiso” – è, al contrario, lo stato dell’anima piena di speranza sconfinata. Questa non è la beatitudine che dura per un numero infinito di anni; è l’intensità della speranza che dà la qualità “eterna”. Similmente, è l’intensità della disperazione che impartisce allo stato dell’anima designato come “inferno” la qualità “eterna”.


Il tormento di Getsemani da cui sorse la traspirazione del sangue [9] fu eterno. Quella notte, la notte di Getsemani, non fu misurata in ore. Fu – è – immisurabile, quindi eterna. Fu per la sua eternità che egli sudò sangue, e non per la prova temporanea, e quindi passeggera. Egli conobbe l’inferno perpetuo per esperienza, e siccome ne uscì, abbiamo la “buona novella” che non solo la morte è sconfitta dalla Resurrezione, ma che anche l’inferno è sconfitto – attraverso Getsemani. La maestà della vittoria sull’inferno annunciata dalle parole “Sono io” fece sì che, tra il manipolo di soldati e di ufficiali e tra i gran sacerdoti e i Farisei che erano venuti ad arrestarlo, molti si prostrarono a terra (Giovanni 18:5-6 [10]). Anche l’anima di Origene si prostrò di fronte alla vittoria sull’inferno eterno e fu mossa dalla rivelazione contenuta nelle parole: “Sono io”, dette da Colui che era appena uscito dall’inferno perpetuo. Questo è il motivo per cui Origene sapeva con certezza che non ci sarebbero stati “dannati” alla fine del mondo, e che anche il diavolo sarebbe stato salvato. Chiunque medita sul sudore di sangue a Getsemani e sulle parole “Sono io” (o “Sono lui”), annunciando l’eterna vittoria sull’inferno eterno, saprà anche con certezza che l’inferno esiste come realtà, ma che sarà vuoto alla fine dei tempi. Il sudore di sangue di Getsemani è la fonte dell’”Origenismo”, la sorgente della sua ispirazione.

Ma la “buona novella” dell’eterna vittoria sull’inferno eterno non è stata compresa dai “Greci” (coloro che cercano la saggezza), né dai “Giudei” (coloro che vogliono i miracoli). Può essere compresa solo dai Cristiani. Perché i “Greci” negano la realtà dell’inferno perpetuo in quanto incompatibile con l’idea di Dio che è uno e allo stesso tempo buono e onnipotente. I “Giudei” si attengono alla dannazione eterna, cioè insistono su un inferno popolato in eterno, perché altrimenti Dio (in quanto giudice) mancherebbe del potere assoluto della punizione. Essi negano l’infinità dell’amore divino. Sono solo i cristiani ad accettare e a comprendere la “follia e la debolezza” della croce (cfr. I Corinzi 1:22-25 [11]), cioè l’opera d’infinito amore conseguita con nessun altro mezzo che l’amore stesso. Essi sanno che l’amore non sarà mai insegnato e compreso attraverso la severità e la paura. Catturano i cuori direttamente con la bontà, la bellezza e la verità, mentre fino a questo momento – e mai lo sarà –  la paura dell’inferno e della dannazione eterna non hanno mai dato nascita all’amore in nessun cuore umano. E non è la severità della giustizia rigorosa che ci insegna l’amore del padre per il figliol prodigo, ma piuttosto il festoso banchetto con cui il figlio è stato accolto a casa da lui.

Nondimeno, i “Greci” direbbero che il padre sapeva in anticipo che il figlio sarebbe tornato, poiché il figlio, di fatto, non aveva altra scelta, e il tutto è solo un dramma apparente. Il modo di agire del padre era solo uno “stratagemma intelligente”. E i “Giudei” direbbero che era il potere del padre che agiva nell’anima del figliol prodigo comandandogli di tornare alla casa paterna, e al cui potere irresistibile egli poteva solo obbedire.

Quindi, la gioia e il banchetto di benvenuto del padre rimangono incomprensibili sia ai veneratori della saggezza di Dio (i “Greci”) che ai veneratori del potere di Dio (i “Giudei”). Il significato di entrambi è comprensibile solo ai veneratori dell’amore di Dio (i “Cristiani”). Essi capiscono che la storia del figliol prodigo è un vero dramma del vero amore e della vera libertà, e che la gioia e la celebrazione del padre sono genuine, come erano genuine la sofferenza del padre e anche quella del figlio che precedeva il loro incontro. In aggiunta, essi capiscono che la storia del figliol prodigo è la storia dell’intera razza umana, e che la storia della razza umana è il vero dramma del vero amore divino e della vera libertà umana.

“Greci”, “Giudei” e “Cristiani” – veneratori della saggezza, del potere e dell’amore di Dio! Vi è sempre abbondanza di “Greci” e “Giudei” nel grembo della Chiesa, e nella cristianità in generale. Sono loro i responsabili di tutte le eresie della fede e di tutte le eresie morali, e sono loro che causano le scissioni e gli scismi nella comunità universale dei cristiani. Pertanto, il fatto centrale dell’amore divino, l’Incarnazione del Verbo nella persona del Dio-Uomo, fu dall’inizio l’oggetto specifico degli sforzi da parte di “Giudei” e “Greci” per trasformarlo in un atto di potere o in un fatto di saggezza. “Gesù Cristo è solo il Messia, lo scelto e l’unto inviato da Dio”, insegnavano i “Giudei” (gli Ebioniti [12] e i seguaci di Cerinthus [13]), che negavano l’incarnazione divina come incompatibile con l’onnipotenza divina. “Il Verbo incarnato non è Dio: è una sua creazione”, insegnavano i “Giudei” del quarto secolo, discepoli di Arius [14], ispirati dall’idea che il potere di Dio è sufficiente per creare un essere di tale perfezione da poter compiere l’opera della salvezza senza bisogno di incarnarsi.

“Ci sono due persone in Gesù Cristo, una divina e una umana,” dicevano i “Greci” conosciuti con il nome di “Nestoriani [15]”, che videro un abisso insuperabile tra la saggezza divina assoluta e la saggezza umana relativa, e che erano incapaci di ammettere che il primo era unito all’ultimo senza diminuzioni e oscuramenti. Al contrario: “C’è solo una singola natura in Gesù Cristo,” insegnavano gli “Ebrei” conosciuti con il nome di “Eutichiani [16]” che – essendo ciechi per ciò che concerneva l’unione delle due nature, divina e umana, attraverso l’amore, senza che l’una perdesse se stessa nell’altra o che entrambe perdessero se stesse nel dare nascita a una terza natura – credevano che l’unione delle due nature potesse solo essere sostanziale, e che l’onnipotenza divina poteva sicuramente compiere il miracolo alchemico della fusione delle due nature in modo sostanziale. In seguito, i “Giudei” conosciuti come “Monofisiti [17]” acquisirono la dottrina di Eutichio e fondarono le loro chiese.

Allo stesso tempo i “Greci”, convinti che vi è solo saggezza o ignoranza – la prima essendo puro spirito e la seconda materia – negarono la realtà delle due nature nel Dio-Uomo, e dunque la stessa Incarnazione, poiché l’incarnazione della saggezza sarebbe equivalsa ad una sua riduzione allo stato di ignoranza. Questo è il motivo per cui i “Doceti [18]” (il nome che a loro è attribuito) insegnavano che la natura umana del Verbo era solo apparente, e che il corpo di Gesù Cristo era solo un fantasma.

Il “Greco” Apollinare [19] (quarto secolo) credeva nella necessità di modificare le proporzioni tra le due nature e di ridurre la presenza della natura umana in Gesù Cristo di un terzo. Egli insegnava che nella sua completezza la natura umana consiste di tre principi: corpo, anima (psiche) e spirito (pneuma), mentre la natura umana di Gesù Cristo consisteva solo di due principi – corpo e anima – essendo il suo spirito umano sostituito dal Verbo divino. Qui si può osservare nuovamente lo scrupolo “Greco” di voler preservare  la saggezza divina intatta e non oscurata dall’elemento umano.

Pertanto, i “Greci”, devoti alla causa della supremazia della saggezza, e i “Giudei”, devoti alla supremazia del potere di Dio, hanno tentato nel corso dei secoli di detronizzare il principio dell’amore in favore del principio della saggezza o di quello del potere.


[1] “Ma io vi dico: chiunque s’adira contro suo fratello, sarà sottoposto al tribunale; e chi avrà detto al suo fratello ‘stupido’, sarà sottoposto al Sinedrio; e chi gli avrà detto ‘pazzo’ sarà condannato al fuoco dell’inferno”.

[2] La common law (legge comune) anglosassone, sviluppatasi in Inghilterra a partire dal 1066, è il sistema legale basato sulle decisioni della corte, sui precedenti (stare decisis) e sulle consuetudini, piuttosto che su leggi scritte. Col tempo le sue norme vennero integrate con quelle della equity o complesso di norme giuridiche, anche se la legge scritta riveste sempre un ruolo secondario.

[3] Intesa da Platone come “vera conoscenza”.

[4] La grazia data liberamente. Nella terminologia cattolica, è la grazia data indipendentemente dalla morale o dal comportamento personale. A questa classe appartengono i doni della grazia come i poteri spirituali (il dono della profezia, dei miracoli, della parola) e i poteri sacerdotali della consacrazione e dell’assoluzione.

[5] Il Calvinismo, una delle forme del Protestantesimo, enfatizza la sovranità di Dio e l’autorità della Bibbia. I teologi della Riforma credono quindi che Dio comunichi la conoscenza di se stesso attraverso la sua stessa Parola; di conseguenza, non sono ammesse conoscenze sulla natura divina che non siano frutto di questa autorivelazione.

[6] Il Luteranesimo abbraccia le premesse generali del Protestantesimo – l’autorità della dottrina affidata alla sola Bibbia e il ripudio dell’autorità papale ed ecclesiastica. Teologicamente, esso insiste sul concetto di riconciliazione con Dio attraverso la sola grazia divina ottenuta per fede (sola fide), in contrasto con l’idea che la salvezza sia possibile solo con la convergenza di sforzi umani e grazia divina.

[7] Nikolai Alexandrovich Berdyaev (russo: Никола́й Алекса́ндрович Бердя́ев, 1874-1948) fu un filosofo, teologo ed esistenzialista cristiano russo, che nei suoi studi enfatizzò il significato esistenziale dell’essere umano e della sua libertà, asserendo che la grandezza dell’uomo sta nel condividere le esperienze di questo mondo con lo spirito divino. Membro della Chiesa Ortodossa russa e critico verso il marxismo ortodosso, fu espulso dal suo paese natale ed emigrò in Francia, dove visse sino alla morte.

[8] Origene di Alessandria (c. 185 – c. 253) fu uno studioso, asceta e teologo del cristianesimo delle origini, che nacque e trascorse parte della sua vita ad Alessandria d’Egitto, per poi trasferirsi a Cesarea, sulla costa mediterranea del regno di Giudea. Nel 250 subì la tortura e l’imprigionamento per due anni da parte dell’imperatore Decio, per il suo rifiuto di abiurare il cristianesimo. Alla morte di Decio in battaglia, fu liberato, ma morì poco dopo per le privazioni subite. Il sistema teologico di Origene enfatizza il Dio trascendente come sorgente di tutta l’esistenza, ma allo stesso tempo non gli nega le qualità dell’onnipotenza, della bontà, della giustizia e della morale, utili nel mondo da lui creato come mezzo di disciplina e di redenzione. Il Dio di Origene è quindi sia trascendente che immanente, e questa immanenza si rivela nella necessità del Figlio, la seconda ipostasi divina, per assicurare l’unione di Dio e dell’uomo nel Cristo, modello per il credente e per tutti gli esseri. Persino il diavolo e l’inferno, secondo Origene, non si possono considerare degli assoluti, perché Dio non può abbandonare nessuna creatura, e l’amore di Dio alla fine trionferà su tutto.

[9] Getsemani è un giardino ai piedi del Monte degli Ulivi a Gerusalemme dove, secondo i Vangeli, Gesù sopportò la sua agonia prima dell’arresto e della sua crocifissione. Secondo Luca 22:44: “ … ed essendo in agonia, egli pregava via via più intensamente; e il suo sudore divenne come grosse gocce di sangue che cadevano in terra”.

[10] “Chi cercate? Gli risposero: Gesù il Nazareno! Gesù disse loro: Sono io. E Giuda, che lo tradiva, era anch’egli là con loro. Come, dunque, ebbe detto loro: ‘Sono io’, indietreggiarono e caddero in terra”.

[11] “Poiché i Giudei chiedono i miracoli, e i Greci cercan sapienza; ma noi predichiamo Cristo crocifisso, che per i Giudei è scandalo, e per i Gentili, pazzia; ma per quelli i quali son chiamati, tanto Giudei quanto Greci, predichiamo Cristo, potenza di Dio e sapienza di Dio; poiché la pazzia di Dio è più savia degli uomini, e la debolezza di Dio è più forte degli uomini”.

[12] Gli Ebioniti (gr. Ἐβιωναῖοι) erano una setta cristiano-giudaica del primo secolo d.C. che predicava la povertà come una benedizione. Essi enfatizzavano l’umanità di Gesù come figlio biologico di Giuseppe e Maria che, in virtù della sua correttezza morale nell’interpretare perfettamente la legge mosaica, fu adottato al battesimo come figlio di Dio per adempiere all’insegnamento delle scritture ebraiche.

[13] Cerinthus (gr. Κήρινθος, c. 50-100 d.C.), fu uno gnostico ed eresiarca greco. Egli negava la divinità di Gesù insegnando che era separato dal Cristo, affermando che Gesù nacque naturalmente, non dalla Vergine, e che il Cristo entrò in Gesù al suo battesimo per abbandonarlo prima della crocifissione.

[14] Arius (gr. Ἄρειος, c. 250-336) fu un presbitero cirenaico, conosciuto per la dottrina dell’Arianismo. I suoi insegnamenti enfatizzavano l’unicità di Dio e la dipendenza del Cristo al Padre, affermando la natura creata e finita del Cristo piuttosto che il suo essere eguale in divinità al Padre. Per queste affermazioni nel 325 il Concilio di Nicea lo bollò come eretico.

[15] Il Nestorianesimo è un termine utilizzato nella teologia cristiana in riferimento agli insegnamenti originali di Nestorio (gr. Νεστόριος, c. 386 – c. 451), Arcivescovo di Costantinopoli dal 428 al 431. I Nestoriani accentuavano l’indipendenza della natura umana e divina di Cristo, considerato come essere due persone a condividere un unico corpo; ciò andava contro la dottrina ortodossa dell’unione ipostatica, che stabiliva che Cristo è pienamente Dio e pienamente uomo in una Persona indivisibile. Il Nestorianesimo fu considerato eretico dal Concilio di Efeso del 431.

[16] Gli Eutichiani erano i seguaci di Eutichio di Costantinopoli (gr. Εὐτυχής , c. 380 – c. 456), presbitero e archimandrita noto per la sua veemente opposizione agli insegnamenti di Nestorio. Eutichio predicava una forma di monofisismo, cioè la credenza che Cristo avesse una natura unica, divina, che prevaleva sulla natura umana, prestando così il fianco agli avversari che lo accusavano di ridurre l’incarnazione di Gesù a un fantasma. L’Eutichianesimo fu considerato eretico dal Concilio ecumenico di Calcedonia nel 451.

[17] V. nota precedente.

[18] I Doceti o seguaci del Docetismo (dal gr. δοκεῖν, ‘apparire’), sostenevano che l’esistenza storica e corporea di Gesù era solo apparenza senza alcuna realtà, un puro corpo illusorio, perché la sua divinità non avrebbe sopportato un corpo materiale. Il Docetismo fu rigettato dal Primo Concilio di Nicea nel 325 e considerato eretico dalla Chiesa cattolica, dalle Chiese copte e ortodosse e dalla maggior parte delle Riforme protestanti.

[19] Apollinare il Giovane (c. 310 – c. 390), vescovo di Laodicea, sviluppò una posizione in merito alla natura di Cristo opposta a quella dell’Arianismo. L’Apollinarismo enfatizzava la divinità di Gesù, portando a negare l’esistenza di un’anima razionale nella natura umana del Cristo. Per le sue vedute Apollinare fu scomunicato due volte dalla chiesa, e l’Apollinarismo fu condannato dal Primo Concilio di Costantinopoli nel 381.

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