Il seggio dell’Imperatore non appartiene più a chi lo desidera o alla scelta del popolo. La scelta spetta solo al Cielo.

Estratti dall’opera: Meditation on the Tarot: A Journey Into Christian Hermeticism, London 1982 – Trad. dall’inglese, adattamento e note di Daniele Duretto

Il riflesso dell’idea di abbandono divino e di crocifissione divina si trova, come abbiamo visto, nel quarto Arcano del Tarocco, l’Imperatore. L’Imperatore regna per mezzo della pura autorità; regna su esseri liberi, cioè non per mezzo della spada, ma per mezzo dello scettro. Lo scettro monta un globo sormontato da una croce. Esso, quindi, esprime nel modo più chiaro possibile l’idea centrale dell’Arcano: come il mondo (il globo) è governato dalla croce, così il potere dell’Imperatore sul globo terrestre è soggetto al segno della croce. Il potere dell’Imperatore riflette il potere divino. E proprio come quest’ultimo è attuato per il tramite della contrazione divina (tzimtzum) e per l’impotenza divina volontaria (la crocifissione), così il potere dell’Imperatore si attua attraverso la contrazione delle sue energie personali (la cintura legata stretta) e l’immobilità volontaria (le gambe incrociate) alla sua sede (il seggio o trono).

Il seggio dell’Imperatore … che abbondanza di idee in merito al seggio dell’Imperatore della Cristianità si possono trovare tra gli autori medievali. – la sua missione storica, la sua funzione alla luce del diritto naturale, e il suo ruolo alla luce del progetto divino.

Così come è giusto che la fondazione di una città o di un regno sia fatta secondo il modello della fondazione del mondo, allo stesso modo è necessario trarre dal governo divino l’ordine (ratio) del governo di una città – questa è la tesi fondamentale avanzata su questo soggetto da San Tommaso d’Aquino (De Regno, XIV, 1). È il motivo per cui gli autori del Medioevo non potevano immaginare la Cristianità senza un Imperatore, proprio come non potevano immaginare la Chiesa Universale senza un papa. Perché se il mondo è governato gerarchicamente, non si può fare a meno della Cristianità o del Sanctum Imperium. La gerarchia è una piramide che esiste solo quando è completa. Ed è l’Imperatore ad essere in cima. Poi vengono i re, i duchi, i nobili, i cittadini e i contadini. Ma è la corona dell’Imperatore che conferisce la regalità alle corone reali da cui derivano le corone ducali, e a turno tutte le altre corone acquisiscono autorità.

Il seggio dell’Imperatore è nondimeno non solo quello dell’ultima (o piuttosto prima) istanza dell’unica legittimità. È anche magico, se per magico intendiamo l’azione di corrispondenza tra ciò che è sotto e ciò che è sopra. Il seggio era il principio stesso dell’autorità da cui tutte le autorità inferiori derivavano non solo la loro legittimità ma anche la loro presa sulla coscienza dei popoli. Ecco il motivo per cui le corone reali persero il loro lustro una dopo l’altra e furono eclissate dopo che la stessa corona imperiale fu eclissata. Le monarchie sono incapaci di resistere a lungo senza la Monarchia; i re non possono attribuirsi tra loro la corona e lo scettro dell’Imperatore e atteggiarsi a imperatori nei loro paesi d’origine, perché l’ombra dell’Imperatore è sempre presente. E se nel passato era l’Imperatore a dare lustro alle corone reali, in seguito fu l’ombra dell’Imperatore scomparso a oscurare le corone reali e, di conseguenza, tutte le altre corone – quelle dei principi, duchi, conti, ecc. Una piramide è incompleta senza la sua sommità; la gerarchia non esiste quando è incompleta. Senza un Imperatore, presto o tardi non vi saranno più re. Quando non ci sono più re, prima o poi non ci sarà più la nobiltà. Quando non c’è nobiltà, presto o tardi non vi saranno più la borghesia e i contadini. Questo è il motivo per cui si giunge alla dittatura del proletariato, la classe ostile al principio gerarchico, dove quest’ultimo, peraltro, è il riflesso dell’ordine divino. È questo il motivo per cui il proletariato professa l’ateismo.

L’Europa è infestata dall’ombra dell’Imperatore. Si percepisce vividamente la sua assenza così come in passato se ne percepiva la presenza. Perché il vuoto della ferita parla, ciò che ci manca sa come farsi sentire.

Napoleone, testimone oculare della Rivoluzione Francese, comprese la direzione presa dall’Europa – la direzione verso la distruzione completa della gerarchia. Egli percepì l’ombra dell’Imperatore. Seppe cosa andava restaurato in Europa, non il trono reale di Francia – perché i re non esistono a lungo senza l’Imperatore – ma piuttosto il trono imperiale europeo. Così decise di colmare il divario da sé. Si proclamò imperatore e fece re i suoi fratelli. Ma fece ricorso alla spada. Invece di regnare con lo scettro – il globo sormontato dalla croce – prese la decisione di governare con la spada. Ma “chi di spada ferisce di spada perisce” (Matteo 25:52). Anche Hitler ebbe il delirio di desiderare l’occupazione dello spazio vuoto dell’Imperatore. Credette di poter stabilire un “impero millenario” attraverso la spada. Ma ancora, “chi di spada ferisce di spada perisce”.

No, il seggio dell’Imperatore non appartiene più a chi lo desidera o alla scelta del popolo. La sua scelta spetta solo al cielo. È divenuto occulto. E la corona, lo scettro, il trono, l’emblema dell’Imperatore devono essere cercati nelle catacombe … nelle catacombe – come a dire: totalmente protetti.

Ora, l’Imperatore della quarta Carta è solo, senza corte o seguito. Il suo trono non è in una stanza del palazzo imperiale, ma all’aperto – in un campo incolto, al di fuori della città. Un misero ciuffo d’erba ai suoi piedi è lì come corte imperiale – come testimone del suo splendore imperiale. Ma sopra di lui si stende un limpido cielo. Egli è una sagoma sullo sfondo del cielo. Solo alla presenza del cielo – questo è l’Imperatore.

Ci si potrebbe chiedere: Perché tanti autori sul Tarocco esaltano il fatto che l’Imperatore è all’aria aperta (o sotto il cielo stellato, se preferite)? Perché non esprimono il fatto che l’Imperatore è solo, senza corte o seguito? Credo che sia così perché raramente si lascia che il simbolo, l’immagine del simbolo, dica tutto quello che ha da dire in base al contesto. Si lascia che dica un poco, e si è d’improvviso più interessati ai propri pensieri, cioè a quello che si ha da dire, piuttosto che a ciò che ha da dire il simbolo.

Tuttavia la Carta è specifica: l’Imperatore è solo all’aria aperta in un campo incolto con una zolla erbosa come unica compagnia – fatti salvi il cielo e la terra. La Carta ci insegna l’arcano dell’autorità dell’Imperatore, benché tale arcano sia ignoto, occulto, sconosciuto e sottovalutato. È una questione che riguarda la corona, lo scettro, il trono e l’emblema difesi, senza altri testimoni che il cielo e la terra, da un uomo solitario appoggiato sul trono, le gambe incrociate, con indosso una corona, che tiene lo scettro e si afferra la cintura. È l’autorità fatta persona e qui si esprime il seggio dell’autorità in quanto tale.

L’autorità è la magia della profondità spirituale rivestita di saggezza. O, in altre parole, è il risultato della magia basata sulla gnosi occasionata dall’esperienza mistica. l’autorità è la seconda HE del nome divino IHVH. Ma non è la seconda HE presa separatamente; è autorità solo quando il nome divino si manifesta per intero. Per tale ragione è più corretto dire che l’autorità è il nome divino che si manifesta nella sua interezza. Il nome divino totalmente manifesto significa allo stesso tempo un seggio, il seggio dell’Imperatore, o lo stato di coscienza dell’iniziazione quale sintesi completa di misticismo, gnosi e magia sacra. Ed è questo stato di coscienza di sintesi totale ad essere iniziazione. Iniziazione intesa non nel senso rituale né nel senso di possesso di informazioni segrete, ma piuttosto nel senso di uno stato di coscienza dove l’eternità e il momento presente sono uno. È la visione simultanea del temporale e dell’eterno, di ciò che è sotto e di ciò che è sopra.

La formula dell’iniziazione rimane sempre la stessa:

Verum sine mendacio, certum, et verissimum: Quod est inferius, est sicut quod est superius, et quod est superius, est sicut quod est inferius, ad perpetranda miracula rei unius. (Tabula Smaragdina, 1-2 – Versione di Norimberga, 1541)

Questa unità attualizzata, contemplata, praticata e compresa è l’iniziazione o “santificazione del nome divino nell’uomo”, che è il significato ultimo della prima mozione del Pater Noster: SANCTIFICETUR NOMEN TUUM.

L’Imperatore rappresenta l’autorità dell’iniziazione o dell’iniziato. Lo è per via del nome divino completo dal punto di vista cabalistico, del “grande arcano magico” dal punto di vista magico, e della “pietra filosofale” secondo le vedute dell’alchimia. È, in altre parole, l’unità e la sintesi di misticismo, gnosi e magia. Questa unità o sintesi, che nella seconda Lettera abbiamo designato come “filosofia ermetica” – è necessario ripeterlo – non significa una filosofia derivata o staccatasi dall’organismo formato dall’unità di misticismo, gnosi e magia. È precisamente questa unità manifestata. La filosofia ermetica è inseparabile dall’unità di misticismo-gnosi-magia quanto la seconda HE dal nome divino. È l’autorità o la manifestazione dell’unità mistico-gnostico-magica.

Nella formula epistemologica della Tavola di Smeraldo la filosofia ermetica corrisponde allo stadio del verissimum (“del tutto vero”) in ciò che è verum, sine mendacio, et certum (“vero, senza menzogna e certo”). Perché questa è la somma di tutta l’esperienza mistica, della rivelazione gnostica e della magia pratica. È l’esperienza mistica spontanea che diventa “vera” (verum) o riflessa nella coscienza (gnosi), e che poi diventa “certa” (certum) attraverso la sua realizzazione magica – e che in seguito è riflessa una seconda volta (la seconda HE, o la “seconda gnosi”, del nome divino) nel dominio del puro pensiero basato sulla pura esperienza, dove viene esaminato e infine riassunto per diventare “del tutto vero” (verissimum).

La formula: verum, sine mendacio, certum et verissimum stabilisce quindi, con il suo triplo punto di riferimento, il principio epistemologico (o “gnoseologico”) della filosofia ermetica. Questo principio può essere formulato in vari modi. Eccone uno: “Ciò che è del tutto soggettivo (la pura esperienza mistica) deve oggettivarsi nella coscienza ed esservi accettato come vero (rivelazione gnostica), poi provato come certo grazie ai suoi frutti obiettivi (magia sacra), e infine provato come essere del tutto vero alla luce del puro pensiero basato sulla pura esperienza soggettiva ed oggettiva (filosofia ermetica). Si tratta di una questione, pertanto, relativa a quattro sensi differenti: il senso mistico o tocco spirituale, il senso gnostico o ascolto spirituale, il senso magico o senso della visione spirituale e, infine, del senso ermetico-filosofico o senso della comprensione spirituale. Il triplo punto di riferimento della filosofia ermetica è, di conseguenza, il valore intrinseco di una rivelazione (verum, sine mendacio), la sua utilità costruttiva (certum) e la sua concordanza con le rivelazioni precedenti, con le leggi del pensiero e con tutta l’esperienza fruibile (verissimum). Pertanto, nella filosofia ermetica qualcosa è assolutamente vero solo quando è di origine divina e porta frutti conformi alla sua origine, ed è in accordo con le necessità categoriche della mente e dell’esperienza.

L’ermetista è quindi una persona che è allo stesso tempo un mistico, uno gnostico, un mago e un filosofo “realista-idealista”. È un filosofo realista-idealista perché fa affidamento tanto sull’esperienza quanto sul pensiero speculativo, tanto sui fatti quanto sulle idee, perché fatti e idee sono per lui solo due aspetti della stessa realtà-ideale, ovvero la stessa verità.

La filosofia ermetica, essendo la somma e la sintesi di misticismo, gnosi e magia sacra, non è una fra le tante filosofie, o un sistema filosofico particolare tra altri sistemi filosofici. Proprio come la Chiesa Cattolica, essendo cattolica e universale, non può considerarsi una chiesa particolare fra le altre chiese, né considerare i suoi dogmi come opinioni religiose tra le altre religioni o confessioni religiose, così la filosofia ermetica, essendo la sintesi di tutto ciò che è essenziale nella vita spirituale dell’umanità, non può considerarsi come una fra le tante filosofie. Presunzione? Potrebbe essere, senza alcun dubbio, una presunzione mostruosa se fosse un’invenzione umana invece che rivelazione dall’alto. In realtà, se si avesse una verità rivelata dall’alto, se l’accettazione di tale verità portasse a miracoli di guarigione, di pace e di nuova vita e se, infine, chiarisse le migliaia di cose inspiegate – che senza di essa sarebbero inspiegabili – la si potrebbe considerare un’opinione tra le tante?

Dogmatismo? Sì, se per “dogma” si intende la certezza portata dalle rivelazioni del valore divino che si mostra proficuo e costruttivo, e dalla conferma che le rivelazioni ricevono sia dalla ragione che dall’esperienza. Quando si ha una certezza basata sulla concordanza tra rivelazione divina, opera umana-divina e comprensione umana, si potrebbe agire come se non la si avesse? È davvero necessario “negare tre volte prima che il gallo canti” [1] per essere accettati nella compagine degli “spiriti liberi” e “non dogmatici”, ed essere guidati insieme a loro dal fuoco delle cose relative alla creazione umana? Eresia? Sì, se per “eresia” si intende il primato della rivelazione universale, delle opere di bene universalmente riconosciute come tali, e dell’ideale di universalità tra le filosofie.

La filosofia ermetica non è una filosofia particolare tra le tante esistenti. Non è così anche solo per il motivo che essa non opera con concetti univoci e con le definizioni verbali corrispondenti, come è per le filosofie, ma piuttosto con gli arcani e le loro definizioni simboliche. Confrontate la Tavola di Smeraldo e la Critica della Ragion Pura di Kant e vedrete la differenza. La Tavola di Smeraldo enuncia gli arcani fondamentali dell’opera mistico-gnostico-magico-filosofica; la Critica della Ragion Pura elabora un edificio composto di concetti univoci (come le categorie di quantità, qualità, relazione e modalità) che, tutte insieme, ritraggono il metodo trascendentale di Kant, cioè il metodo di “pensare all’atto del pensiero” o al “riflesso attraverso il riflesso”. Questo metodo, peraltro, è un aspetto del diciottesimo Arcano del Tarocco (La Luna), come vedremo, e questo Arcano ci insegna attraverso la via ermetica l’essenza di quello che Kant insegnò con la via filosofica sul metodo trascendentale.

Ma allora, la filosofia ermetica è solamente un puro e semplice simbolismo che non ha nulla a che fare con i metodi del ragionamento scientifico e filosofico?

Sì e no. Sì, in quanto come filosofia ermetica è di natura esoterica, ovvero consiste di arcani orientati verso il mistero ed espressi in simboli. No, in quanto esercita un effetto di stimolo sul ragionamento scientifico e filosofico dei suoi sostenitori. Essa è avvolta, per così dire, in una penombra intellettuale scientifica e filosofica, dovuta all’attività dei sostenitori che perseguono lo scopo di tradurre, per quanto possibile, gli arcani e i simboli della filosofia ermetica in concetti e definizioni verbali univoci. È un processo di cristallizzazione, perché la traduzione di concetti simbolici o arcani in concetti univoci è comparabile alla transizione da uno stato di vita organica a uno stato minerale. È così che le scienze occulte – come la Cabala, l’Alchimia e l’Astrologia – sono derivate dalla filosofia ermetica. Queste scienze possiedono i propri segreti, ma gli arcani che vi sono riflessi appartengono al dominio della filosofia ermetica [2]. Nella misura in cui l’ intellettualizzazione della filosofia ermetica è della natura dei commentari e dei corollari, essa è legittima ed anche indispensabile. Perché così si può tradurre ciascun arcano secondo molti concetti univoci – ad esempio tre – e, proprio per questo, si abitua l’intelletto a pensare ermeticamente, cioè in concetti simbolici o arcani. Ma quando l’intellettualizzazione della filosofia ermetica persegue lo scopo di creare un sistema autonomo di concetti univoci senza alcuna contraddizione formale tra di essi, essa commette un abuso. Perché invece di sostenere l’elevazione della ragione umana, creerebbe solo un grande ostacolo. La incanterebbe invece di liberarla.

Le scienze occulte sono quindi derivate dalla filosofia ermetica per mezzo della loro intellettualizzazione. Questo è il motivo per cui non si dovrebbero considerare i simboli – gli Arcani Maggiori del Tarocco, per esempio – come espressioni allegoriche di teorie o concetti di queste scienze. Perché è vero l’opposto: sono le dottrine delle scienze occulte che sono derivate dai simboli – del Tarocco o da altri simboli – e sono loro a dover essere considerate come espressioni “allegoriche” intellettuali di simboli ed arcani dell’esoterismo ermetico. Per cui non si dovrebbe dire: la quarta Carta, l’Imperatore, è un simbolo della dottrina astrologica relativa a Giove. Si dovrebbe invece dire: l’Arcano della quarta Carta, l’Imperatore, si rivela anche nella dottrina astrologica relativa a Giove. La corrispondenza come tale rimane intatta, ma c’è un mondo di differenza tra le due affermazioni. Perché nel caso della prima affermazione, si rimane “astrologi” e nulla più che astrologi; mentre nel caso della seconda affermazione, si pensa da ermetisti, anche se si rimane astrologi, se lo si è.

La filosofia ermetica non è composta di Cabala, astrologia, magia e alchimia. Questi quattro rami che crescono dal tronco non fanno il tronco, ma vivono grazie al tronco. Il tronco è l’unità manifesta di misticismo, gnosi e magia sacra. Non vi sono teorie; vi è solo esperienza, inclusa l’esperienza intellettuale degli arcani e dei simboli. L’esperienza mistica è la radice, l’esperienza gnostica della rivelazione è la sua linfa e l’esperienza o pratica della magia sacra è il legno. Per tale ragione il suo insegnamento – o corpo della sua tradizione – consiste di esercizi spirituali e tutti i suoi arcani (inclusi gli Arcani del Tarocco) sono esercizi spirituali pratici, il cui scopo è di destare dal sonno gli strati profondi della coscienza. I commentari e i corollari necessari accompagnano la pratica e costituiscono la “corteccia” del tronco [3]. Quindi, la chiave dell’Apocalisse di San Giovanni non va cercata da nessuna parte … perché non è per nulla una questione di interpretarla estraendone un sistema storico, filosofico o metafisico. La chiave dell’Apocalisse è praticarla, cioè utilizzarla come un libro di esercizi spirituali che risvegliano dal sonno gli strati profondi della coscienza [4]. Le sette lettere alle chiese [5], i sette sigilli che chiudono il libro [6] e le sette trombe [7] significano, tutti assieme, un percorso di esercizi spirituali composti di 28 esercizi. Perché siccome l’Apocalisse è una rivelazione messa per iscritto, è necessario, al fine di comprenderla, stabilire in se stessi uno stato di coscienza adatto a ricevere le rivelazioni. È lo stato di concentrazione senza sforzo (appresa nel primo Arcano), seguita da un vigile silenzio interiore (appreso con il secondo Arcano), che diventa un’ispirata attività di immaginazione e di pensiero, dove il sé cosciente agisce di concerto al super conscio (insegnamento del terzo Arcano). Infine, il sé consapevole arresta la sua attività creativa e contempla – passando in rivista – tutto ciò che è preceduto, facendone una sintesi (insegnamento pratico del quarto Arcano).

La padronanza di queste quattro operazioni psicurgiche, simboleggiate dal Mago, dalla Papessa, dall’Imperatrice e dall’Imperatore, è la chiave dell’Apocalisse. Sarebbe vano cercarne un’altra.

Analogamente, i Vangeli sono esercizi spirituali, ossia non sono solo da leggere e da rileggere, ma bisogna immergersi interamente nei suoi elementi, respirarne l’aria, parteciparvi come testimoni oculari, per così dire, degli eventi che vi sono descritti – e tutto ciò non per scrutinare, ma come “ammiratori”, con un’ammirazione sempre crescente.

Anche il Vecchio testamento contiene parti che sono esercizi spirituali. I Cabalisti ebrei – l’autore o gli autori dello Zohar, per esempio – ne hanno fatto questo uso, ed è così che la Cabala ha avuto origine e vive. La differenza tra i Cabalisti e gli altri fedeli dipende solo dal fatto che i primi traggono gli esercizi spirituali dalle Scritture, mentre gli ultimi le hanno studiate e vi hanno creduto.

Lo scopo degli esercizi spirituali è la “profondità” È necessario diventare profondi per essere in grado di conseguire l’esperienza e la conoscenza delle cose abissali. Ed è questo un simbolismo che è linguaggio della profondità – quindi gli arcani, espressi attraverso i simboli, sono sia i mezzi che la finalità degli esercizi spirituali di cui è composta la tradizione vivente della filosofia ermetica.

Gli esercizi spirituali formano il legame che accomuna gli ermetisti. Non è la comune conoscenza che li unisce, ma piuttosto gli esercizi spirituali e l’esperienza che li accompagna. Se si incontrassero tre persone di contrade diverse, ma che avessero fatto del libro di Genesi di Mosè, del Vangelo di San Giovanni e della visione di Ezechiele un soggetto di esercizi spirituali per molti anni, essi sarebbero come fratelli, quand’anche uno fosse stato un conoscitore della storia spirituale dell’umanità, un altro avesse posseduto la scienza della guarigione e il terzo fosse stato un dotto Cabalista. Ciò che uno sa è il risultato dell’esperienza e degli orientamenti personali, mentre la profondità, il niveau che si consegue – trascurando l’aspetto e l’estensione del sapere guadagnato – è ciò che si ha in comune. L’ermetismo, la tradizione ermetica, è al primo prima di tutto un certo grado di profondità, un certo livello di coscienza. Ed è la pratica degli esercizi spirituali che vi si pone a salvaguardia.

Per quanto riguarda la conoscenza dei singoli ermetisti – e ciò vale anche per gli iniziati – essa dipende dalla vocazione individuale di ciascuno di loro. Il lavoro che si persegue determina la natura e l’estensione non solo della conoscenza, ma anche dell’esperienza personale su cui si basa la conoscenza stessa. Si ha l’esperienza e si guadagna la conoscenza di ciò che è necessario per il compimento dell’opera che procede dalla propria vocazione individuale. In altre parole, si conosce ciò che è necessario per essere informati ed essere in grado di orientarsi nel dominio pertinente alla propria vocazione individuale. Quindi un ermetista con la vocazione del guaritore dovrebbe conoscere le relazioni esistenti tra la coscienza, il sistema dei “fiori di loto” o cakra, il sistema nervoso e il sistema ghiandolare endocrino, cose che un altro ermetista con la vocazione per la storia spirituale dell’umanità non ha bisogno di conoscere. Ma quest’ultimo, a sua volta, conoscerebbe cose ignorate dal guaritore – fatti del passato e del presente sulle relazioni tra le gerarchie spirituali e l’umanità, tra ciò che è successo o succede in alto o ciò che è successo o succede sotto.

Ma questa conoscenza, per quanto non sia materia di arcani, consiste di fatti – sebbene spesso di natura spirituale – e non di teorie. Quindi, per esempio, la reincarnazione non è in alcun modo una teoria a cui si crede o non si crede. Nell’ermetismo nessuno si sognerebbe di montare un caso per persuadere o dissuadere la gente sulla verità della “teoria reincarnazionista”. Per l’ermetista è un fatto che o si conosce per esperienza o si ignora. Proprio come non si fa propaganda a favore o contro il fatto che dormiamo di notte e ci svegliamo nuovamente ogni mattino – perché ciò è materia di esperienza – così è materia di esperienza il fatto che moriamo e di nuovo nasciamo, ovvero o si ha la certezza o non la si ha. Ma coloro che sono certi dovrebbero sapere che l’ignoranza sulla reincarnazione spesso ha ragioni molto profonde associate con la vocazione della persona in questione. Quando, per esempio, una persona ha una vocazione che richiede il massimo della concentrazione nel presente, può rinunciare a tutte le memorie spirituali del passato. Perché il risveglio delle memorie non è sempre benefico; spesso è un onere. È così soprattutto quando si tratta di una vocazione che richiede un’attitudine interamente libera da tutti i pregiudizi, come nel caso delle vocazioni talari, dei medici e dei giudici. Il prete, il medico e il giudice devono concentrarsi a un grado tale sull’attività presente da non poter essere distratti dalle memorie delle esistenze precedenti.

Anche i miracoli si possono compiere senza la memoria di vite precedenti, come fu il caso del santo vicario di Ars – e si possono compiere miracoli anche con il pieno possesso di questa memoria, come fu il caso di Philippe de Lyon. Perché la reincarnazione non è un dogma, cioè una verità necessaria alla salvezza, né un’eresia, ovvero il contrario di una verità necessaria alla salvezza. È semplicemente un fatto di esperienza, proprio come lo sono il sonno e l’ereditarietà. In quanto tale, è neutrale. Tutto dipende da come la si interpreta. La si può interpretare come fosse un inno alla gloria di Dio – e la si può interpretare come se fosse una blasfemia. Quando si dice: perdonare è concedere l’opportunità di un nuovo inizio, ebbene, Dio perdona più di settanta volte sette, sempre accordandoci ulteriori opportunità – bontà infinita di Dio! Questa è un’interpretazione della gloria di Dio.

Ma quando si dice: esiste un meccanismo infinito dell’evoluzione e si è moralmente determinati dalle vite precedenti, non c’è grazia, c’è solo la legge di causa ed effetto – allora questa è un’interpretazione blasfema. Essa riduce Dio alla funzione di un ingegnere di una macchina morale. La reincarnazione non è in alcun modo un’eccezione a ciò che è passibile di doppia interpretazione. Infatti, ogni fatto pertinente è soggetto ad essa. Pertanto, ad esempio, l’ereditarietà può essere interpretata nel senso di un completo determinismo, escludendo quindi sia la libertà che la moralità. O piuttosto può essere interpretata come la possibilità di un miglioramento graduale dell’organismo al fine di renderlo lo strumento perfetto al “servizio dei posteri”. Abramo non ricevette la promessa che il Messia sarebbe disceso dalla sua stirpe? Non fu fatta anche a Davide la stessa promessa?

Ciò nonostante, qualunque sia possa essere l’interpretazione personale di un fatto, un fatto rimane tale ed è necessario conoscerlo quando ci si vuole orientare nel dominio a cui appartiene. Perciò, gli ermetisti sono a conoscenza di fatti diversi, in base alle loro inclinazioni personali; ciononostante la filosofia ermetica non è la somma totale delle conoscenze acquisite dagli individui. È un organismo composto di arcani espressi in simboli che sono allo stesso tempo esercizi spirituali e le attitudini che ne derivano. Un arcano praticato come esercizio spirituale per un lasso di tempo sufficiente diventa un’attitudine. Non dà all’allievo la conoscenza di nuovi fatti, ma lo predispone ad acquisire una simile conoscenza quando ne ha bisogno. L’iniziazione è la capacità di orientare se stessi in un qualunque dominio e di acquisire la conoscenza di fatti rilevanti – i “fatti chiave”. L’iniziato è colui che sa come conseguire la conoscenza, ovvero che sa come chiedere, cercare e mettere in pratica i sistemi appropriati per avere successo. Solo gli esercizi spirituali gli hanno fornito un insegnamento – nessuna teoria o dottrina, per quanto luminosa, può in ogni caso averlo reso in grado di “capire come fare”. Gli esercizi spirituali gli hanno insegnato il senso pratico (e nella filosofia ermetica non vi è altro senso che la pratica) e l’efficacia infallibile dell’arcano delle tre opere unite che sono alla base di qualunque esercizio spirituale e di ogni arcano, cioè:

Chiedete, e vi sarà dato; cercate, e troverete; bussate, e vi sarà aperto. (Luca 11:9)

Perciò, la filosofia ermetica non insegna cosa si dovrebbe credere riguardo a Dio, l’uomo e la Natura, ma insegna piuttosto come chiedere, cercare e bussare al fine di giungere all’esperienza mistica, all’illuminazione gnostica e al risultato magico di ciò che uno cerca di conoscere su Dio, l’uomo e la Natura. Ed è dopo aver chiesto, cercato e bussato – e dopo che si è ricevuto, trovato e guadagnato l’accesso – che si sa. Questo tipo di conoscenza – la certezza della comprensione sintetica dell’esperienza mistica, della rivelazione gnostica e del risultato magico – è l’Imperatore, questo è l’insegnamento pratico della quarta Carta del Tarocco.

Si tratta qui dello sviluppo e dell’utilizzo del quarto senso spirituale, cioè del senso ermetico-filosofico, che segue allo sviluppo ed utilizzo dei sensi mistico, gnostico e magico. La capacità di “sapere come conoscere” è il tratto essenziale caratteristico di questo senso. L’abbiamo già definito (seconda Lettera) come “senso di sintesi”. Ora siamo in grado di avanzare in profondità definendolo come “senso iniziatico” o senso di orientamento e di acquisizione della conoscenza delle verità essenziali in ogni dominio.

Come funziona questo senso? In primo luogo vi è motivo di dire che esso non è identico a quello definiamo ordinariamente come “senso metafisico”, poiché il senso metafisico dei metafisici è il gusto e la capacità di vivere nelle teorie astratte, il piacere dell’astratto, mentre il senso ermetico-filosofico è al contrario orientato verso il concreto – spirituale, psichico e fisico. Mentre il senso metafisico opera con il “concetto di Dio”, il senso ermetico-filosofico è orientato verso il Dio vivente – il fatto concreto e spirituale di Dio. Il Padre Celeste cristiano e l’Antico dei Giorni dei cabalisti non è un concetto astratto; non è una nozione, ma piuttosto un essere.

Il senso metafisico funziona come per dedurre – attraverso l’astrazione – le leggi dei fatti e i principi delle leggi. Il senso ermetico-filosofico (o il senso iniziatico), per contro, percepisce attraverso i fatti le entità delle gerarchie spirituali, e attraverso di esse il Dio vivente. Per il senso iniziatico lo spazio tra il “Principio supremo” e il dominio dei fatti non è popolato di “leggi” e “principi”, ma piuttosto di esseri spirituali viventi, ciascuno dotato di atteggiamenti, aspetti, voci, modi di parlare e nomi. Per il senso iniziatico l’Arcangelo Michele non è una legge o un principio. È un essere vivente il cui volto è invisibile perché ha dato spazio al volto di Dio. È questo il motivo per cui è chiamato MI-CHA-EL, ovvero “Colui che (MI) è come (CHA) Dio (EL), cioè “pari a Dio”.

Il senso ermetico-filosofico (o senso iniziatico) è quello delle realtà spirituali tangibili. L’ermetista spiega i fatti non attraverso le leggi ottenute per astrazione, ma piuttosto procedendo da verità astratte a esseri effettivi, sin a giungere a ciò che è più tangibile, il solo esistente che è del tutto vero, cioè Dio. Perché per il senso iniziatico Dio è ciò che vi è di più reale, e quindi più concreto. Infatti, tra tutto ciò che esiste, Dio è il solo ad essere completamente reale e concreto; mentre gli esseri creati sono solo relativamente reali e concreti; e ciò che designiamo come “fatto concreto” è in realtà solo un’astrazione della realtà divina.

Questo non significa dire che l’ermetista è incapace di astrazione e che deve per forza rifiutare leggi e principi. È un essere umano e quindi possiede anche il senso metafisico. Possedendolo ne fa uso come chiunque altro, ma ciò che fa di lui un ermetista – nel senso dell’Imperatore del Tarocco – è il senso ermetico-filosofico. Egli è tanto più ermetista quanto più dotato di senso ermetico-filosofico di cui fa uso, mentre il solo senso metafisico non ne farebbe mai un ermetista nel senso proprio della parola.

Non è questa la tragedia di René Guénon che, essendo dotato di un senso metafisico sviluppato e tuttavia carente di senso ermetico-filosofico, cercò, sempre e ovunque, l’autentica spiritualità? E che alla fine, stanco del mondo delle astrazioni, sperò di trovare la liberazione dall’intellettualismo immergendosi nell’elemento di fervore delle masse musulmane in preghiera alla moschea del Cairo? L’ultima speranza di un’anima assetata di esperienza mistica che langue nella prigionia dell’intelletto? Se è così, possa la grazia divina concedergli quello che ha cercato per così tanto tempo [8].

C’è ancora spazio per segnalare che l’ultimo orientamento di René Guénon, verso la fede di gente semplice che aderisce a una religione semplice, non è senza ragione. Perché il senso ermetico-filosofico ha più in comune con la fede schietta e sincera di gente semplice di quanto ne abbia con la metafisica astratta. Per il credente comune, Dio vive; in modo analogo per l’ermetista. Il credente si rivolge ai santi e agli Angeli; per l’ermetista questi sono reali; Il credente crede nei miracoli; l’ermetista vive in presenza dei miracoli. Il credente prega per i vivi e per i morti; l’ermetista dedica tutti i suoi sforzi nel dominio della magia sacra per il bene dei vivi e dei morti. Il credente ha in grande considerazione tutto ciò che è tradizionale; per l’ermetista è lo stesso. Cosa c’è ancora da aggiungere? … forse che l’Imperatore deve la sua autorità non al suo potere – visibile o invisibile – sugli esseri umani, ma piuttosto perché li rappresenta di fronte a Dio. Egli ha l’autorità non perché è un superuomo, ma piuttosto perché è molto umano, perché rappresenta tutto quello che è umano. Re Davide era più umano di tutti gli uomini del suo tempo. È questo il motivo per cui fu unto per ordine divino dal profeta Samuele, ed è per questo motivo che l’Eterno gli fece solenne promessa che il suo trono sarebbe durato per sempre [9]. Il trono, il seggio del rappresentante dell’umanità, mai perirà. È questo il seggio dell’Imperatore; questa è la vera autorità.

La filosofia ermetica ha pure un ideale umano a cui aspirare. I suoi esercizi spirituali, i suoi arcani, seguono lo scopo pratico di realizzare l’uomo autorevole, il “padre-uomo”. È l’uomo più umano di tutti … l’uomo che merita il “trono di Davide”.

L’ideale umano dell’ermetismo pratico non è il superuomo di Nietzsche, né il superuomo indiano immerso nella contemplazione per l’eternità, né il superuomo-gerofante di Gurdjieff [10], né il superuomo-filosofo della filosofia Stoica [11] o del Vedānta [12] – no, il suo ideale umano è l’uomo che è umano a un grado tale da contenere e portare in sé tutto ciò che è umano, quello può essere il guardiano del trono di Davide [13].

E il divino? Cosa c’è qui che concerne la manifestazione del divino?

L’ermetismo pratico è alchimia. L’ideale dell’ermetismo è essenzialmente e fondamentalmente l’ideale alchemico. È come dire: più si diventa veramente umani, più si manifesta l’elemento divino sottostante la natura umana, che è l’”immagine a somiglianza di Dio” (Genesi 1:26). L’ideale dell’astrazione invita alla fuga degli esseri umani dalla natura umana, alla disumanizzazione. Per contro, l’ideale della trasformazione alchemica dell’ermetismo offre agli esseri umani una via per la realizzazione della vera natura umana, che è l’immagine a somiglianza di Dio. L’ermetismo è la ri-umanizzazione di tutti gli elementi della natura umana; è il ritorno alla loro vera essenza. Proprio come tutti i metalli comuni possono essere trasformati in oro e argento, così tutte le forze della natura umana sono suscettibili di essere trasformate in “oro” e “argento”, ovvero in ciò che sono quando prendono parte all’immagine che è a somiglianza di Dio.

Ma per ridiventare ciò che erano in essenza, gli individui devono sottomettersi all’opera di sublimazione. Ora quest’operazione crocifigge ciò che in loro è vile e, allo stesso tempo, porta a fioritura quella che è la loro vera essenza. La rosa e la croce, la ROSA-CROCE, è il simbolo dell’operazione di realizzazione del vero essere umano. Pertanto, l’Imperatore del Tarocco rinuncia alle quattro libertà arbitrarie della natura umana. Egli è, in questo senso, crocifisso. E poiché il vero simbolo del vuoto che si è stabilito con la rinuncia è la ferita, si potrebbe dire che l’Imperatore è colui che ha quattro ferite. È attraverso queste quattro ferite che si compie in lui la manifestazione dell’immagine divina a somiglianza della natura umana.

Il divino nella natura umana … e che dire del divino che la trascende?

Affinché quest’ultimo si manifesti, è necessario avere ancora una ferita. È necessario avere cinque ferite. Ora, è la carta a seguire del “Papa” che ci insegnerà l’Arcano della manifestazione del divino che trascende la natura umana per mezzo delle cinque ferite.


[1] È un riferimento a Luca 22:34: “E Gesù: Pietro, io ti dico che oggi il gallo non canterà, prima che tu abbia negato tre volte di conoscermi”. Si tratta della predizione di Gesù all’Ultima Cena. Dopo l’arresto di Gesù, Pietro nega due volte di averlo conosciuto; al terzo diniego, sentendo il canto del gallo, egli si ricorda della predizione pentendosi amaramente del suo comportamento. Dopo la Resurrezione, Gesù parla a Pietro riabilitandolo. Quello che probabilmente vuole intendere VT in questo paragrafo, è che non è necessario negare la propria fede per essere accettati a livello del pensiero agnostico predominante, perché una volta ottenuta la conoscenza della rivelazione, questa permette di agire in qualunque condizione.

[2] Qui e di seguito VT applica una differenziazione tra quella che viene definita come filosofia ermetica e le sue “vesti” nella forma di scienze occulte, che a suo dire tradiscono il messaggio originario in quanto divenuti strumenti intellettuali mutuamente esclusivi. Non è esattamente così. Ciascun sistema assume una forma motivata da circostanze immanenti quali la cultura particolare di un popolo, le vicende storiche, ecc.; ma il fondamento spirituale è ancora unico. Evitare pericolosi sincretismi è utile, perché si tratta pur sempre di organismi simbolici dotati di una loro intima coerenza strutturale. Tuttavia la comprensione spirituale di un simbolo, avvicinando alla fonte, consente di cogliere le similitudini tra le sue diverse rappresentazioni storico-culturali, facendo ridurre il divario tra i vari corpi della dottrina ermetica. Del resto anche la visione di VT è pur sempre una struttura veicolata in questo caso dal misticismo cristiano, integrato in un sistema gnostico che fa capo al Tarocco, esso stesso parte di un insieme simbolico.

[3] L’idea di considerare Cabala, astrologia ecc. come sorelle minori del tronco della spiritualità mistica, non valuta il fatto che qualunque dottrina esoterica, se applicata correttamente, non è che un viatico alla vera conoscenza, adattata alle circostanze storico-culturali di contorno e alle disposizioni individuali. Il simbolo ‘parla’, ovvero diventa univoco secondo le parole di VT, quando passa dalla sembianza all’essenza; e giunti a tale livello che importanza può avere la strada che si è percorsa? Qualunque strada porta al ‘tronco’, e non si comprende il motivo che porta ad assegnare al Tarocco una posizione centrale privilegiata. Come nell’esempio di Giove citato da VT, che differenza può darsi con l’Imperatore quando le discrepanze iniziali tra i due simbolismi diventano similitudini, come quando due rami si uniscono?

[4] Essendo un testo prevalentemente visionario e profetico l’Apocalisse di Giovanni, l’ultimo libro del Nuovo Testamento, si è sempre prestato a un’interpretazione simbolica e a un utilizzo come percorso spirituale.

[5] Le lettere che Giovanni indirizza ai vescovi delle chiese asiatiche per informarli sulle rivelazioni ricevute da Gesù.

[6] Sono i sette sigilli che suggellano il libro delle profezie dell’Apocalisse, e che può essere aperto solo dal leone della tribù di Giuda, cioè da Gesù.

[7] Le sette trombe suonate dai sette angeli che inneggiano al regno di dio all’apertura del settimo sigillo.

[8] L’analisi che VT fa di Guénon è incredibilmente superficiale. Guénon non ha mai cercato rifugio nelle “masse musulmane”, per il semplice fatto che aderì agli insegnamenti dell’esoterismo sufi, che non ha nulla a che vedere con il sentimento popolare religioso come immaginato da VT. I motivi per cui Guénon optò per questa scelta sono spiegati nella sua biografia, e non sono certamente imputabili a una “sete mistica”.

[9] Secondo il Vecchio Testamento Dio scelse Davide come unto della grazia divina perché “l’uomo guarda all’apparenza, ma l’Eterno guarda al cuore” (Samuele 16:7).

[10] George Ivanovich Gurdjieff (1866-1877 – 1949, russo Гео́ргий Ива́нович Гурджи́ев), fu un filosofo, mistico e maestro spirituale russo di discendenza armena e greca. Il suo insegnamento, chiamato “La Quarta Via”, lavora su varie forme di attenzione e di energia per minimizzare lo stato semi-ipnotico dell’attuale coscienza dormiente portandola ad un livello più elevato; le pratiche coinvolgono simultaneamente i centri intellettivo, emotivo e fisico piuttosto che focalizzarsi su di essi singolarmente.

[11] Lo stoicismo è una scuola della filosofia ellenistica fondata nel II sec. a.C. da Zenone di Cizio. Gli stoici erano noti per l’insegnamento della via dell’eudemonia (gr. εὐδαιμονία), della felicità, attraverso l’accettazione del momento presente, il controllo dei desideri e del dolore, e l’uso del pensiero per fare la propria parte nel piano della natura, cercando di trattare gli altri con gentilezza ed equità. Nella logica stoica sono presenti quattro categorie della realtà: sostanza (la materia informe), qualità (il modo in cui la materia è organizzata), disposizione particolare (come forma, dimensione, ecc.) e disposizione relativa (la disposizione spaziotemporale di un oggetto rispetto agli altri oggetti). Secondo gli Stoici, l’universo è una sostanza pensante (logos) che nella sua fase passiva si manifesta come materia, e nella sua fase di sostanza attiva è l’etere intelligente che agisce sulla materia.

[12] Il Vedānta, o “fine dei Veda” (sanscrito वेदान्त) è uno dei sei sistemi (darśana) della filosofia induista. Le basi del Vedānta sono i testi delle Upaniṣad, la Bhagavad Gītā e i Brahma sūtra. Tutte le scuole Vedanta perseguono il conseguimento della conoscenza del Brahman e dell’Ātman, dell’Assoluto e dell’essenza auto-esistente dell’essere umano (il Sé) come distinta dall’ego empirico. È lo stato di pura autoconsapevolezza oltre l’identificazione con i fenomeni.

[13] Qui, come altrove nella sua opera, VT sembra particolarmente interessato a privilegiare l’etica del suo “ermetismo cristiano” rispetto ad altre forme di pensiero e di insegnamenti tradizionali, che a prescindere dalla veste che hanno assunto, hanno nella loro essenza tutti un fondo comune.

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