L'integrazione della natura umana e spirituale

Estratti dall’opera: Meditation on the Tarot: A Journey Into Christian Hermeticism, London 1982 – Trad. dall’inglese, adattamento e note di Daniele Duretto

Lettera IX

Iside: “Presta attenzione, Horus, figlio mio, perché ti insegnerò un mistero. Il nostro antenato Kamephis [1] lo ebbe da Ermete, che dettò la narrazione di tutte le cose; io, a mia volta, l’ho ricevuto dall’antico Kamephis quando egli mi introdusse all’iniziazione del velo nero.”

Kore Kosmou – trad. Anna Kingsford e Edward Maitland – London 1880, p. 6

Poiché Trismegisto, il quale, non so come, finì per scoprire praticamente l’intera verità, ha spesso descritto la forza e la maestà della Parola, dove egli (Ermete) proclama l’esistenza della Parola sacra e ineffabile, la cui pronuncia è oltre il potere dell’uomo.

— Lattanzio – Divinae Institutiones IV, 9,3

Stretta è invece è la porta ed angusta la via che mena alla vita, e pochi son quelli che la trovano.

— Matteo 7:14

Caro Amico Sconosciuto,

L’Eremita! Sono contento di essere giunto, in questa serie di Lettere-Meditazioni, alla figura misteriosa e venerabile di un solitario itinerante che indossa una veste rossa sotto un mantello blu, tenendo con la mano destra una lanterna – alternativamente rossa e gialla – e appoggiandosi a un bastone. È il venerabile e misterioso Eremita, che fu il maestro dei sogni più intimi e amati della mia giovinezza, così come, inoltre, è il maestro dei sogni della gioventù in ogni nazione, di coloro che sono affascinati dal richiamo alla ricerca della porta stretta ed angusta che conduce al Divino.

Nominatemi una nazione o un tempo in cui la gioventù – cioè chi è veramente “giovane” in quanto alla ricerca di un Ideale – non abbia avuto l’immaginazione infestata dalla figura di un padre buono e saggio, un padre spirituale, un eremita passato attraverso la porta angusta e che avanza faticosamente – qualcuno a cui si può credere senza riserva e che si possa venerare ed amare senza limiti. Quale giovane russo, ad esempio, non intraprenderebbe un viaggio, non importa quanto lungo e di quale durata, allo scopo di incontrare uno staretz [2], un padre buono e saggio, un padre spirituale, un eremita? Quale giovane ebreo polacco, lituano, della Russia Bianca [3], ucraino o rumeno non avrebbe fatto altrettanto per incontrare uno tsadik [4] hasidico, cioè un padre buono e saggio, un padre spirituale, un eremita? Quale giovane in India rifiuterebbe di compiere qualunque sforzo pur di incontrare un cēlā [5] o un guru, cioè un padre buono e saggio, un padre spirituale, un eremita?

E non fu così anche per i giovani seguaci di Origene, Clemente Alessandrino [6], San Benedetto, San Domenico, San Francesco di Assisi, Sant’Ignazio di Loyola? E non lo fu altrettanto per la gioventù pagana seguace di Socrate e Platone?

Fu lo stesso nell’antica Persia per Zarathustra, Ostano [7] e altri rappresentanti della dinastia spirituale dei maghi fondata dal grande Zarathustra. Fu così anche in Israele con le scuole dei profeti, con i Nazareni [8] e gli Esseni. E ancora così nell’antico Egitto, dove la figura del fondatore della dinastia dei “padri buoni e saggi” – quella di Ermete Trismegisto – divenne, non solo per l’Egitto ma anche ma anche per l’intero mondo greco-romano, il prototipo del padre buono e saggio, l’eremita.

Éliphas Lévi ha certamente intuito il significato storico universale dell’Eremita. Questo è quanto afferma nell’ammirevole formula:

L’iniziato è colui che ha la lampada di Trismegisto, il mantello d’Apollonio e il bastone dei Patriarchi.

— Éliphas Lévi – Il Dogma e il Rituale dell’Alta Magia – Todi 1921, p. 130

Infatti, l’Eremita che pervade l’immaginazione della gioventù “giovane”, l’Eremita della leggenda e l’Eremita della storia era, è, e sempre sarà l’uomo solitario con la lampada, il mantello e il bastone. Perché egli possiede il dono di far brillare la luce nell’oscurità – questa è la sua “lampada”; ha la capacità di estraniarsi dagli umori collettivi, dai pregiudizi di razza, nazione, classe e famiglia, la facoltà di ridurre in silenzio la cacofonia del collettivismo vociferante su di lui, al fine di ascoltare e comprendere l’armonia gerarchica delle sfere – questo è il suo mantello; e allo stesso tempo, possiede un senso del realismo così sviluppato da sostenersi nel dominio del reale non su due piedi, ma piuttosto su tre, ovvero avanza solo dopo aver toccato il terreno attraverso l’esperienza immediata e il contatto in prima persona senza intermediari – questo è il suo “bastone”. Egli crea la luce, crea il silenzio e crea la certezza – conformemente al criterio della Tavola di Smeraldo, vale a dire della tripla concordanza di ciò che è chiaro, di ciò che è in armonia con la totalità delle verità rivelate e di ciò che è oggetto dell’esperienza immediata:

Verum, sine mendacio, certum et verissimum.

Tabula Smaragdina, 1

Verum, sine mendacio – questa è la chiarezza (la “lampada”);

Certum – questa è la concordanza tra ciò che è chiaro e la totalità delle altre verità (la “lampada” e il “mantello”);

Verissimum – questa è la concordanza tra ciò che è chiaro, la totalità delle altre verità e l’esperienza autentica e immediata (la “lampada”, il “mantello” e il “bastone).

L’Eremita rappresenta quindi non solo il padre buono e saggio che è un riflesso del Padre nei cieli, ma anche il metodo e l’essenza dell’Ermetismo. Perché l’Ermetismo è fondato sulla concordanza di tre metodi di conoscenza: la conoscenza a priori data dall’intelletto (la “lampada”); l’armonia del tutto attraverso l’analogia (il “mantello”); e l’esperienza autentica e immediata (il “bastone”).

L’Ermetismo è dunque la triplice sintesi di tre antinomie:

  • la sintesi dell’antinomia “idealismo [9] – realismo”;
  • la sintesi dell’antinomia “realismo – nominalismo”;
  • la sintesi dell’antinomia “fede – scienza empirica”.

Vediamo ora come l’Ermetismo sia una sintesi delle tre antitesi o antinomie menzionate.

L’antinomia idealismo – realismo

Questa si riduce a due formule opposte, vale a dire:

  • “La coscienza o l’idea precedono ogni cosa” – questa è la formula dell’idealismo; e  
  • “La cosa (res) precede la coscienza e le idee” – questa è la formula principale del realismo.

L’idealista (ad es. Hegel) considera le cose come molte forme di pensiero, mentre il realista (ad es. Spencer) afferma che gli oggetti della conoscenza hanno un’esistenza indipendente dal pensiero o coscienza del soggetto della conoscenza.

Il realista dice che i concetti, le leggi e le idee sono derivate – per mezzo di astrazioni – dagli oggetti della conoscenza. L’idealista dice, al contrario, che i concetti, le leggi e le idee sono proiettate – per mezzo di una “concretizzazione” – dal soggetto della conoscenza negli oggetti.

Il realista avanza la cosiddetta teoria della verità della “corrispondenza”, cioè che “la verità è la corrispondenza tra oggetto e intelletto”. L’idealista si basa sulla cosiddetta teoria della verità della “coerenza”, cioè che “la verità è coerenza – o assenza di contraddizioni – nella gestione di idee, concetti e oggetti (essendo gli oggetti solo concetti) attraverso l’intelletto”.

Secondo il realismo, la verità è ciò che nell’intelletto corrisponde all’oggetto. Secondo l’idealismo, la verità è ciò che forma nell’intelletto un sistema coerente.

Il mondo intero si riflette esattamente nell’intelletto – questo è l’ideale di conoscenza per il realismo. Il mondo intero riflette esattamente i postulati e le categorie dell’intelletto in un unico sistema coerente – questo è l’ideale di conoscenza per l’idealismo. È il mondo che ha la parola ed è l’intelletto umano che ascolta, dice il realismo. È l’intelletto che ha la parola ed è il mondo che è il suo riflesso, dice l’idealismo.

Nihil in intellectu quod non prius fuent in sensu” (nulla è nell’intelletto che non sia prima nei sensi) è la formula vecchia di millenni del realismo. “Nihil in sensu quod non prius fuent in intellectu” (nulla è nei sensi che non sia prima nell’intelletto) è la contro formula dell’idealismo.

Chi ha ragione? Il realismo con il suo idolo, ovvero le cose (res) che precedono il pensiero, e il suo dualismo mazdeista, cioè l’oscurità (le cose) e la luce (il pensiero), con quest’ultima che procede o nasce dalla precedente? [10] O l’idealismo con l’idolo dell’intelletto umano,  il suo insediarsi sul trono di Dio e il suo monismo pan-intellettuale dove non c’è spazio né per il “dono della Notte Perfetta”, ovvero la saggezza superumana citata nel libro di Ermete Trismegisto Kore Kosmou, né per le ombre del male, della bruttezza e delle illusioni che sperimentiamo ogni giorno?

No, non prostriamoci né di fronte al mondo né di fronte all’intelletto, ma prostriamoci in adorazione della fonte comune di entrambi – Dio: Dio di cui la Parola è allo stesso tempo la

… vera luce che illumina ogni uomo stava per venire nel mondo [11]

Giovanni 1:9

e il creatore del mondo:

Ogni cosa è stata fatta per mezzo di lui. E senza di lui neppure una delle cose fatte sarebbe stata fatta.

Giovanni 1:3

Le cose, il mondo – sono la Parola [12] che è la sua sorgente. L’intelletto, la luce del pensiero – è ancora la Parola che è la sua sorgente. Questo è il motivo per cui l’Ermetismo Cristiano dei tempi attuali così come l’Ermetismo pagano del passato non sono né meramente realisti né semplicemente idealisti. Essi sono  “logoisti” (”del Logos”), non essendo fondati né sulle cose né sull’intelletto umano, ma piuttosto sul Logos, la Parola di Dio, la cui manifestazione oggettiva è il mondo dei prototipi alla base del mondo fenomenico, e la cui manifestazione soggettiva è la luce o il prototipo dell’intelligenza umana.

E la luce splende nelle tenebre, e le tenebre non l’hanno ricevuta.

Giovanni 1:5

Il verso sta a significare che c’è oscurità sia nel mondo che nella coscienza che non ha ricevuto – e non è stata penetrata – dalla luce, e che di conseguenza il male, la bruttezza e l’illusione sono sicuramente presenti nel mondo e nella coscienza.  

Ma l’oscurità del mondo che non è penetrato dalla Parola non è la fonte della coscienza, e l’intelletto umano che non è illuminato dalla Parola non è il principio del mondo. Nel mondo fenomenico vi sono “illusioni oggettive”, cioè “cose che non sono reali” che non sono state create dalla Parola, ma che sono sorte dall’esistenza effimera di substrati dell’oscurità. Nel dominio della coscienza soggettiva vi sono illusioni, cioè concetti, idee e ideali che non sono reali, che non sono stati originati dalla luce della Parola, ma che sono assurti a esistenza effimera dalle profondità dell’oscurità subconscia.

Ora, la corrispondenza tra un oggetto illusorio e il suo concetto non sarebbe la verità, ma piuttosto una duplice illusione. Il realismo dovrebbe essere consapevole di ciò quando avanza la cosiddetta teoria della verità della “corrispondenza”. E l’intima coerenza di un sistema intellettuale basato sulle illusioni non sarebbe un criterio sufficiente per questa verità, ma piuttosto l’indicazione di un’ossessione che è tanto più profonda quanto più la coerenza è completa. L’idealismo ne dovrebbe essere consapevole quando avanza la sua cosiddetta teoria della verità della “coerenza”.

Gli oggetti sono reali solo, nel senso del realismo, quando sono reali nella Parola. E le costruzioni intellettuali sono vere solo, nel senso dell’idealismo, quando sono vere nella Parola. L’intelletto umano in quanto tale non produce la verità alla stregua di un ragno che tesse la sua tela. Un fatto del mondo oggettivo o soggettivo, nella misura in cui è un fatto, non necessita della verità quando può puntare a un’illusione o alla narrazione di un’illusione, che appartenga alla Natura (ad esempio i mostri antidiluviani) o che sia umana (ad esempio molti idoli del passato e del presente).

Ora, il “mondo” della nostra esperienza è la manifestazione fenomenica sia del mondo creato dalla Parola che del mondo evoluzionistico del serpente. Anche l’”intelletto” della nostra esperienza è la manifestazione sia della luce della Parola che dell’“astuzia” (per usare il termine biblico per il metodo dove l’oscurità imita la luce senza riceverla) del serpente. Questo è il motivo per cui è ancora necessario distinguere, prima di professare il realismo, tra la Parola e il mondo. Similmente, prima di abbracciare l’idealismo, bisogna distinguere tra l’Intelligenza cosmica e l’intelletto umano.

Ma una volta fatta la distinzione, si possono abbracciare allo stesso tempo senza esitazione sia l’idealismo che il realismo – che vorrebbe dire l’”idealismo-realismo” o il “logoismo” dell’ermetismo antico e moderno.

Così il metodo della corrispondenza diviene il bastone nella mano dell’Eremita e il metodo della coerenza diviene il mantello che lo copre. Tutto questo grazie alla luce della lampada dell’Eremita, lo strumento sacro dove la luce della Parola si unisce con l’olio dello sforzo intellettivo umano.

L’antinomia realismo – nominalismo

In questa antinomia il termine “realismo” non ha nulla in comune con il “realismo” dell’antinomia “realismo-idealismo”. Il realismo rappresenta qui la scuola del pensiero occidentale che attribuisce realtà oggettiva alle nozioni generali ora designate normalmente come “astratte”, ma che la filosofia medievale definiva come “universalia” (universali) [13]. La corrente del pensiero occidentale che nega la realtà oggettiva degli universali e che ammette la realtà dei soli “particolari” è quella del nominalismo.

Ora il “realismo”, come corrente del pensiero occidentale opposta al nominalismo, differisce dal realismo opposto all’idealismo nel senso che qui si tratta della realtà oggettiva degli universali (tipi e specie) e non della corrispondenza tra i concetti di intelletto e della realtà degli oggetti (come criterio di verità). Si tratta dunque di un problema totalmente differente. I “realisti”, per ciò che concerne il problema della realtà degli universali, sono di fatto “idealisti” estremi quando affrontano la questione della priorità dell’intelletto o degli oggetti.

Il problema che soggiace all’antinomia “realismo-nominalismo” fu posto per la prima volta in modo esplicito nella storia delle idee da Porfirio [14] nel suo Isagoge (Introduzione). Il problema è posto sin dall’inizio, con l’opportuna chiarezza, come segue:

Terrò da parte l’investigazione di certe profonde questioni in merito ai generi e alle specie (universali), poiché tale compito richiede un esame più dettagliato: (1) se i generi o le specie esistono in se stessi o sono solo puri concetti; (2) se, qualora esistano, siano corporei o incorporei; e (3) se esistono a sé stanti o negli oggetti dei sensi e in loro dipendenza.

— Porfirio – Isagoge – I, 9-14

Infatti, da Boezio [15] al Rinascimento – e ancora ai nostri tempi – è stato dedicato a questo problema un “esame dettagliato”, come Porfirio credeva che meritasse. I dottori medievali, avendo visto con chiarezza che il problema degli universali è centrale in filosofia, lo trattarono come tale, il che diede impulso alla divisione, nel mondo dei filosofi, tra “realisti” (tipi e specie esistono in se stessi, sopra e oltre le individualità) e i “nominalisti” (tipi e specie non esistono al di fuori delle individualità; essi sono solo “nomi”, cioè parole utili a scopo classificatorio). Una terza scuola, quella dei “concettualisti” o, a seconda dei casi, “realisti moderati” o “nominalisti moderati” (le idee generali esistono sicuramente, ma esistono solo nella mente di chi le concepisce) – sorse durante la controversia, ed ebbe un ruolo, non di sintesi, simile al ruolo che ebbe la Lorena con Lotario I, cioè di intermediaria tra Francia e Germania [16].

L’appassionata controversia tra realismo e nominalismo durò un millennio e, non limitandosi a dibattiti eruditi, prese diverse forme, incluse le decisioni dei concili della Chiesa, come ad esempio il concilio di Soissons, che condannò il nominalismo nel 1092 [17].

La tesi dei “realisti” rimanda a Platone e alla sua dottrina delle idee. Quella dei nominalisti è associata ad Antistene [18]: “Vedo un cavallo, ma non vedo la cavallinità”. Ora, l’essenza del problema è stabilire se la “cavallinità” precede i cavalli individuali (universalia ante rem), se è immanente ai cavalli individuali (universalia in re) o se, infine, è successiva ai cavalli individuali derivando per mezzo di un’astrazione (universalia post rem). Secondo Platone, la “cavallinità” esiste come idea prima dei cavalli; secondo Aristotele, la “cavallinità” esiste solo nei cavalli come principio della loro forma; secondo i concettualisti (ad es. Kant), la “cavallinità” è un concetto formato dalla mente per sommatoria delle caratteristiche comuni a tutti i cavalli, astraendo dalle caratteristiche particolari (universalia post rem).

Se la “cavallinità” sia anteriore ai veri cavalli, sia un loro principio formativo o, piuttosto, sia solo un concetto mentale derivato dall’esperienza dei sensi non è, a dire il vero, così appassionante quando si tratta solo di “cavallinità”. Tuttavia, lo diviene quando si tratta dell’umanità o del mondo. Perché diventa un problema di creazione, che differisce dalla genesi. Nella creazione l’idea – o “piano” – del mondo è anteriore all’atto realizzativo, mentre nella genesi o evoluzione non c’è un’idea o piano anteriore al fatto, ma piuttosto una forza immanente nelle sostanze e negli esseri individuali che li spinge a cercare, attraverso le prove e gli errori, una strada verso il progresso. In merito all’umanità, diventa un problema legato al prototipo umano o Adamo celeste, cioè il problema della creazione dell’uomo e della sua genesi evolutiva.

Esaminiamo ora più attentamente le tesi fondamentali del realismo e del nominalismo:

  • “Il generale è anteriore al particolare” – questa è la formula alla base del realismo.
  • “Il particolare è anteriore al generale” – questa è la contro-formula del nominalismo.

Queste due tesi contrarie implicano che per il realismo il generale è più reale e di valore oggettivo più elevato del particolare, e che per il nominalismo il particolare è più reale e di valore oggettivo più elevato del generale. In altre parole, per il realismo l’umanità è più reale e di valore più elevato rispetto all’uomo in quanto individuo. Per contro, per il nominalismo è l’uomo in quanto individuo ad essere più reale e di valore più elevato rispetto all’umanità.

Per il realismo, non vi sarebbero esseri umani se non vi fosse l’umanità. Per il nominalismo, al contrario, non vi sarebbe l’umanità se non vi fossero esseri umani. Gli esseri umani compongono l’umanità, dicono i nominalisti. L’umanità genera, dal suo grembo reale ma invisibile, gli esseri umani individuali, dice il realista.

Chi ha ragione? Il realismo che con il suo idolo della collettività anteriore all’individualità, all’anima individuale che, attraverso la bocca di Caifa [19] enunciò la giustificazione per la condanna a morte di Gesù Cristo dicendo:

e non riflettete come vi torni conto che un uomo solo muoia per il popolo, e non perisca tutta la nazione.

— Giovanni 11:50

… e che, attraverso i tribunali dell’Inquisizione, annientò gli “individui nocivi” sacrificandoli nell’interesse dell’umanità o della Chiesa? Realismo che, infine, anteponendo la razza agli individui o la classe agli individui, sterminò milioni di ebrei e di zingari per mano dei nazisti, e anche milioni di kulak o contadini benestanti [20] e individui delle classi abbienti per mano dei Bolscevichi [21].

E il nominalismo?

Il nominalismo è cieco alle idee e ai principi, che a suo avviso sono solo parole. Per esso, verità, bellezza e virtù non esistono come realtà oggettive, essendo solo questione di gusti. Nessuna scienza o filosofia meritevole di questo nome potrebbe esistere se il nominalismo fosse l’unico terreno intellettuale su cui vivere. Perché, invece di aspirare all’universale, andrebbe alla ricerca del particolare. Esso collezionerebbe solo i fatti particolari e, lungi dall’impostare valori sui loro tratti comuni da cui sarebbe in grado di derivare leggi e principi, si accontenterebbe di creare una specie di museo degli stessi fatti particolari. Questo museo aspetterebbe invano l’avvento del pensiero scientifico e filosofico al fine di essere utile all’umanità in generale: in sé, il nominalismo non potrebbe produrlo. Perché è l’opposto della scienza.

Invece che alla scienza e alla filosofia, esso darebbe origine a una moltitudine di sette dai gusti soggettivi. Ciascuna penserebbe e crederebbe a modo suo. Si aderirebbe solo a quella che piace. Questo è l’esatto motivo per cui la Chiesa condannò il nominalismo come dottrina e perché la scienza ne bandì il metodo. Avrebbe atomizzato la Chiesa in una moltitudine di piccole religioni in base al gusto personale di ciascun individuo, e ridotto la scienza a una collezione sterile e a un numero infinito di opinioni personali.

Quindi, non possiamo fare a meno del realismo se colleghiamo tutti i valori all’esistenza di una realtà oggettiva (scienza) e trans-soggettiva (religione). Dobbiamo quindi ammettere sia la verità oggettiva che quella trans-soggettiva se aspiriamo all’unione dell’umanità nella verità oggettiva universale della scienza e nella verità trans-soggettiva della religione.

Ma possiamo farlo senza il nominalismo?

No, perché la visione del mondo del nominalismo consiste di esseri individuali, unici e insostituibili. È la visione del mondo di una grande comunità di entità, in luogo di un mondo di leggi, principi e idee. È la visione del mondo dove regnano Padre, Figlio e Spirito Santo, persone vive e vegete, unite dall’eterno legame della paternità, dell’affetto filiale e della fraternità – circondate da Serafini, Cherubini, Troni, Dominazioni, Virtù, Forze, Principati, Arcangeli, Angeli, esseri umani ed esseri della Natura, visibili e invisibili. Come possiamo dire, in tutta sincerità e con tutto il cuore, nella preghiera indirizzata al Padre celeste: “Sia santificato il tuo nome”, senza credere che esso è l’unico e santo nome di un essere vivente – unico e santo, e non una designazione dell’idea suprema della “causa prima” o del “principio assoluto”? Possiamo amare un mondo invisibile di “cause prime” impersonali, un mondo popolato da leggi e principi?

Se la conoscenza intellettuale generica del mondo in quanto tale (cioè la scienza) e in quanto opera di Dio (cioè la filosofia) non è possibile senza il realismo idealistico, la conoscenza intuitiva individuale – attraverso l’amore – di esseri particolari (cioè il misticismo, la gnosi e la magia) non è possibile senza il nominalismo realistico.

Ora, non si può abbracciare il realismo idealistico o il nominalismo realistico senza riserve, né fare a meno dell’uno o dell’altro. Perché l’amore (che richiede il nominalismo realistico) come pure l’intelletto (che richiede il realismo idealistico) sono facoltà strutturali della natura umana. In sé la natura umana è realista per quanto riguarda il pensiero, ed è nominalista nella misura in cui è coinvolta la condivisione sociale o l’amore.

Il “problema” degli universali fu risolto nella storia spirituale dell’umanità dal fatto dell’Incarnazione, dove il fondamento universale del mondo – il Logos – divenne Gesù Cristo, che è il fondamento particolare del mondo. Qui, l’universale degli universali, il principio proprio dell’intelligibilità, il Logos, divenne il particolare dei particolari, il vero prototipo della personalità, Gesù Cristo.

È soprattutto il Vangelo di Giovanni a ritrarre in modo chiaro ed esplicito il fatto dell’unione del principio della conoscenza universale con l’Essere dell’amore individuale, da cuore a cuore. Questo Vangelo descrive l’opera dell’alchimia divina, dove l’acqua è unita al fuoco – dove l’acqua divenne acqua vivente, e le lingue di fuoco divennero le lingue pentecostali comprensibili a ciascuna individualità [22]. La sostanza del battesimo – acqua vivificata e fuoco che non consuma il particolare ma gli consente di partecipare all’eternità – è il risultato dell’opera di redenzione che iniziò con l’Incarnazione. Il Battesimo è anche – nel dominio della storia dello spirito – l’unione di realismo e nominalismo, nell’essere umano l’unione della testa e del cuore, la cui unione è solo il riflesso del fatto dell’Incarnazione, dove “la Parola divenne carne”.

L’ermetismo cristiano è amico del nominalismo realistico, nella misura in cui questa forma di nominalismo aspira all’esperienza mistica della comunione degli esseri attraverso l’amore, e anche del realismo idealistico, nella misura in cui questo aspira al Logos. In sé, l’ermetismo cristiano può solo essere conoscenza dell’universale rivelato nel particolare. Per l’ermetismo “principi”, “leggi” e “idee” non sono esistenti al di fuori degli esseri individuali, ma sono tratti strutturali della loro natura, non entità separate e indipendenti da essa. Per l’ermetismo non esiste né una “legge di gravitazione” né una “legge della reincarnazione”; c’è solo attrazione e repulsione tra gli esseri (anche gli atomi sono esseri) per quanto riguarda la gravitazione, e solo attrazione degli esseri per la vita terrena, con le sue gioie e dispiaceri, per quanto riguarda la reincarnazione. Ma d’altro canto, se non vi sono nel mondo entità come le leggi di gravitazione e reincarnazione, vi è sicuramente il desiderio universale degli esseri – grandi e piccoli – di associarsi gli uni agli altri, di formare assieme le molecole, gli organismi, le famiglie, le comunità, le nazioni … È il desiderio o bisogno strutturale universale che si manifesta come “legge”. Le “leggi” sono immanenti negli esseri, come la logica è immanente al pensiero, essendo parte della natura propria del pensiero. E il vero progresso, la vera evoluzione, è l’avanzata degli esseri da una vita sotto una legge a una vita sotto un’altra legge, ovvero la modifica strutturale degli esseri. È così che la legge “occhio per occhio, dente per dente” è in fase di graduale sostituzione, sostituita dalla legge del perdono. Ed è ancora così che la legge “il debole serve il forte, il popolo serve il re, il discepolo serve il maestro” sarà un giorno sostituita dalla legge mostrata dal Maestro nell’atto della Lavanda dei Piedi. Secondo questa legge superiore, è il forte che serve il debole, è il re che serve il popolo, è il maestro che serve il discepolo – proprio come nei cieli, dove gli Angeli servono gli esseri umani, gli Arcangeli servono gli Angeli e l’uomo, i Principati servono gli Arcangeli, gli Angeli e gli esseri umani, e così via. E Dio? Egli serve tutti gli esseri senza alcuna eccezione.

Quindi, la “legge” della sfida per l’esistenza che Darwin osservò nel dominio della biologia cederà un giorno spazio alla legge della cooperazione per l’esistenza, che già esiste nella cooperazione tra le infiorescenze delle piante e le api, nella cooperazione tra le diverse cellule dell’organismo, e nella cooperazione dell’organismo sociale umano. La fine della “legge” della sfida per l’esistenza e il futuro trionfo della legge di cooperazione per la vita fu predetto dal profeta Isaia:

Il lupo abiterà con l’agnello, e il leopardo giacerà col capretto; il vitello, il leone e il bestiame ingrassato staranno assieme, e un bambino li condurrà.

— Isaia 11:6

Così sarà, perché la nuova “legge” –  cioè un cambiamento profondo nella struttura fisica e psichica degli esseri – sostituirà la vecchia “legge”, inizialmente nella coscienza, poi nei desideri e negli affetti, e infine nella struttura organica degli esseri.

Le “leggi” si modificano succedendosi l’una all’altra. Non sono entità metafisiche immutabili. Lo stesso si può dire in merito ai “principi” e alle “idee”.

Il sabato è stato fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato; perciò il Figlio dell’Uomo è Signore anche del sabato.

— Marco 2:27-28

Qui abbiamo la relazione tra gli esseri da una parte e le leggi, i principi e le idee dall’altra.

Quindi le leggi, i principi e le idee non sono reali?

Sono certamente reali, ma la loro realtà non è quella di un’esistenza separata dagli esseri, cioè di entità metafisiche che popolano un mondo o piano – un mondo di leggi, principi e idee – che gli è proprio. Il mondo spirituale non è un mondo di leggi, principi e idee; è un mondo di esseri spirituali – anime umane, Angeli, Arcangeli, Principati, Potenze, Virtù, Dominazioni, Troni, Cherubini, Serafini e la Santa Trinità: lo Spirito Santo, il Figlio e il Padre.

Qual è dunque la realtà delle leggi, dei principi e delle idee?

È nella loro affinità strutturale – spirituale, psichica e corporea. Tutti gli esseri manifestano un’affinità strutturale che testimonia la loro origine comune e il loro comune archetipo. Ora questo comune archetipo – quello che la Cabala chiama “Adam Kadmon” – è la legge, il principio e l’idea di tutti gli esseri. “L’immagine e somiglianza di Dio” in Adamo è la legge in virtù della quale Dio dice

… ed abbia [l’uomo] dominio sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e sul bestiame e su tutta la terra e su tutti i rettili che strisciano sulla terra.

— Genesi 1:26

Adamo è la legge, il principio e l’idea di tutti gli esseri della Natura, perché egli è la loro sintesi-prototipo.

Il realismo ha ragione quando afferma la realtà degli universali, perché essi sono gli aspetti strutturali dell’archetipo di tutti gli esseri particolari. Anche il nominalismo ha ragione quando insegna che non vi sono altre realtà mondane oltre agli esseri individuali e che gli universali non possono essere trovati tra questi esseri.

L’ermetismo considera il Logos che divenne uomo come l’archetipo universale divenuto l’essere particolare perfetto. Per l’ermetismo cristiano non esiste controversia tra realismo e nominalismo.


[1] Kamephis (gr. Καμηφίς), secondo l’etimo egizio significa il toro (cioè il copulatore) di sua madre. La divinità incarna l’idea del figlio che si riproduce attraverso la sua propria madre, diventando così il genitore di se stesso. Questa metafora apparentemente paradossale è un simbolo di rigenerazione ciclica, dove il tempo mitico è concepito come una ricorrenza regolare.

[2] Dal russo стáрец, l’anziano di un monastero Ortodosso orientale con le funzioni di insegnante e consigliere spirituale.

[3] L’attuale Belarus, che confina con la Russia, l’Ucraina, la Polonia, la Lituania e la Lettonia.

[4] Lo tsadik (ebr. צַדִּיק, il “Giusto”) è un titolo ebraico dato a chi ha interiorizzato l’esperienza mistica ed è in grado di trasmetterla ad altri. È un termine utilizzato soprattutto in riferimento al movimento hasidico, un gruppo religioso ebraico che propone un revival spirituale, nato nel diciottesimo secolo nel territorio dell’Ucraina occidentale e poi diffusosi nell’Europa orientale.

[5] Il cēlā (sanscr. चेला)è il seguace o l’allievo di un guru.

[6] Clemente Alessandrino (Titus Flavius Clemens, gr. Κλήμης ὁ Ἀλεξανδρεύς, c. 150 – c. 215 d. C.) fu un teologo cristiano e filosofo che insegnò nella Scuola di Catechesi di Alessandria. Influenzato dalla filosofia ellenistica così come dagli scritti esoterici ebraici e dalla gnosi, sostenne che la filosofia greca aveva origine da fonti egizie. Per quanto apprezzato per i suoi insegnamenti, le sue tesi non ortodosse gli attirarono accuse di eresia. Egli infatti sosteneva che la materia era eterna e non originata da Dio, contraddicendo la dottrina della creatio ex nihilo; che esistessero i cicli cosmici e non la creazione unica del mondo; che, seguendo il docetismo, il corpo terreno di Cristo fosse un illusione; che esistesse la trasmigrazione delle anime. Clemente fu venerato come santo dalla Chiesa Cattolica solo fino al XVII sec., ma è ancora oggi considerato santo dalla Chiesa Copta e commemorato nell’Anglicanesimo.

[7] Ostano (gr. Ὀστάνης) è considerato uno pseudonimo utilizzato da molti autori greci e latini del periodo ellenistico nei loro scritti di argomenti magici e alchemici. Per Plinio il Vecchio, Ostano era un mago persiano considerato un’autorità nell’alchimia, necromanzia, divinazione e nelle proprietà mistiche di pietre e piante.

[8] Quella dei Nazareni (gr. Ναζωραῖοι) fu una setta giudaico-cristiana attiva nel primo secolo a. C. Sebbene il termine fosse inizialmente riferito ai seguaci di Gesù di Nazareth, col tempo esso contraddistinse gli ebrei cristiani che continuavano ad osservare la Torah.

[9] L’idealismo, da un punto di vista filosofico e in un senso ampio, è la dottrina che asserisce che la realtà è equivalente alla mente o alla consapevolezza dell’osservatore. Il platonismo definisce le idee o forme come le essenze non fisiche di tutte le cose, di cui la materia e gli oggetti non sono che pallide imitazioni. Nell’idealismo soggettivo di Berkeley gli oggetti esistono solo nella misura in cui sono percepiti, e quindi non esiste nulla al di fuori della mente. Con l’idealismo trascendentale Kant asserisce, per contrasto, che il nostro modo di rappresentare il tempo e lo spazio non appartiene alle cose ma essi sono determinazioni della mente umana; quindi, gli oggetti dell’esperienza devono la loro esistenza alla mente che li percepisce, e la cosa in sé è conoscibile solo attraverso le categorie della ragione. Con l’idealismo assoluto, così come rappresentato da Schelling, Fichte e Hegel, si giunge a dichiarare che non c’è soggetto senza oggetto e viceversa, così che esiste un’identità assoluta tra il reale e l’ideale, tra le immagini mentali e gli oggetti esterni che le rappresentano. Con l’attualismo di Gentile si giunge a una forma di idealismo dove la realtà è l’atto ininterrotto del pensiero, o “pensiero pensante”: ogni azione è pensiero, e tutto ciò che esiste è il pensiero perché la realtà è definita attraverso di esso. Il pluralismo idealistico sostiene che vi sono molte menti individuali che tutte assieme portano all’esistenza del mondo osservabile. Per un approfondimento si veda Le Filosofie della Mente su questo sito.

[10] Come già detto in altre occasioni, il dualismo espresso dalla tesi manichea è solo apparente.

[11] Nel testo di Tomberg il verso di Giovanni è riportato erroneamente come “la vera luce che illumina ogni uomo che viene al mondo”. In realtà il verso alla fa riferimento alla luce che deve venire, cioè Gesù, di cui Giovanni si farà testimone.

[12] La Parola (o il Verbo, in base alle versioni della Bibbia) è sinonimo di Dio, come specificato in Giovanni 1:1: “… la Parola era con Dio, e la Parola era Dio”.

[13] Si parla dell’idealismo platonico, come discusso in nota 9.

[14] Porfirio (gr. Πορφύριος,  c. 234 – c. 305 d.C.) fu un filosofo neoplatonico nato a Tiro, nella Fenicia romana. Studiò a Roma con Plotino e scrisse su quasi ogni branca del sapere diffusa all’epoca, ma solo parte dei suoi scritti è giunta a noi. Porfirio tentò di applicare il neoplatonismo alla religione pagana, così come cercò di armonizzare la logica di Aristotele al platonismo. Dal punto di vista religioso è nota la sua avversione verso il cristianesimo, incentrata soprattutto sulle asserzioni della Bibbia e dei Cristiani da lui giudicate incredibili e opinabili. In uno dei suoi lavori più conosciuti, le Isagoge, egli tratta del problema degli universali platonici come categorie dell’essere. Il testo divenne uno standard nelle scuole e università europee del medioevo.

[15] Anicius Manlius Severinus Boetius, conosciuto come Boezio (c. 480 – 524 d.C.) fu un senatore romano, storico e filosofo. Fu uno dei più importanti studiosi cristiani dell’epoca, nonché traduttore di diversi testi dal greco al latino, e cercò di conciliare gli insegnamenti di Platone e Aristotele con la teologia cristiana. A causa delle sue denunce sulla corruzione imperante alla corte ostrogota di Teodorico in Grande, nel 523 fu accusato di cospirazione e imprigionato; torturato e infine giustiziato, divenne un martire della Chiesa.

[16] Lotario I (795 – 855) fu governatore della Baviera, re d’Italia e del Regno Medio Franco. Primogenito dell’imperatore carolingio Luigi il Pio e di Ermengarda di Hesbaye in parecchie occasioni, assieme ai fratelli Pipino d’Aquitania e Luigi il Germano, si rivoltò contro il padre come forma di protesta perché quest’ultimo aveva nominato come coerede dei regni franchi il fratellastro Carlo II. Alla morte del padre, i fratelli Luigi e Carlo si allearono contro di lui, mossa che portò alla separazione dell’Impero Franco edificato dal nonno Carlomagno, e alla fondazione e futuro sviluppo di quelle che sarebbero diventate la  Francia e la Germania moderne. Nell’843, dopo lunghe e difficoltose negoziazioni e tre anni di guerra civile, il Trattato di Verdun assegnò a Lotario il titolo imperiale, l’Italia del nord e una lunga striscia di terra che includeva le regioni della Lorena, dell’Alsazia, della Borgogna e della Provenza.  

[17] Vi furono parecchi sinodi della Chiesa Cattolica chiamati Concilio di Soissons. Quello del 1092 a cui fa riferimento Tomberg, presieduto dall’arcivescovo di Reims, condannò la tesi nominalista del teologo francese Roscelin come triteismo eretico, in cui è negata l’unità della Trinità e quindi il monoteismo, sostituito dall’enfasi posta su ciascuna ipostasi divina.

[18] Antistene (gr. Ἀντισθένης, c. 446 – c. 366 a.C.) fu un filosofo greco allievo di Socrate. È considerato il precursore del cinismo, una scuola che concepisce l’etica come un modo di vivere piuttosto che una dottrina, una scuola della virtù che conduce alla purezza. In merito al problema degli universali, egli si attenne all’idea che concetto e predicato sono falsi o tautologici, poiché tutto ciò che possiamo dire è che ogni individuo è ciò che è, e che ogni definizione (la “cavallinità”) è puramente un metodo per stabilire un’identità: Dire che un “albero è un vegetale cresciuto”, da un punto di vista logico non ha più significato che dire che “un albero è un albero”.

[19] Caifa o Caiafa (c. 14 a.C. – c 46 d.C.) fu gran sacerdote durante gli anni del ministero di Gesù secondo il Nuovo Testamento. I Vangeli di Matteo, Luca e Giovanni lo indicano come organizzatore del Sinedrio per il processo a Gesù.

[20] Kulak era il termine utilizzato, verso la fine dell’Impero Russo, per descrivere i contadini che possedevano oltre tre ettari di terra.

[21] I Bolscevichi (russo: большевики) erano la fazione di maggioranza del Partito Socialdemocratico Marxista condotto da Lenin. Durante la Rivoluzione d’Ottobre del 1917, il partito bolscevico prese il potere, rinominandosi Partito Comunista dell’Unione Sovietica (CPSU).

[22] Vedi Atti 2:1-31.

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