Il quinto Arcano e il Pentagramma delle cinque ferite
Heinrich Cornelius Agrippa – Public domain – via Wikimedia Commons

Estratti dall’opera: Meditation on the Tarot: A Journey Into Christian Hermeticism, London 1982 – Trad. dall’inglese, adattamento e note di Daniele Duretto


Bene, dopo tutte queste citazioni, dove siamo giunti?

Siamo giunti a un problema molto serio: al Pentagramma come quinario malefico e al Pentagramma come quinario benefico.

Perché secondo Saint-Martin – la cui egregia presentazione del problema si presta meglio di ogni altra come punto di partenza – il quinario è benefico “purché sia unito e vincolato alla decade” ed è “del tutto malefico” quando è separato e isolato da essa. In altre parole, il pentagramma, come segno dell’autocrazia intellettuale, cioè della personalità umana emancipata, è benefico quando è espressione della personalità la cui volontà e unita e vincolata alla pienezza della manifestazione dell’Unità (la decade); ed è malefica quando esprime la volontà di una personalità separata da questa Unità. O, ancora in altre parole, il segno è benefico quando esprime la formula: Fiat voluntas tua (“sia fatta la tua volontà”) ; ed è malefico quando la formula della volontà sottostante è: Fiat voluntas mea (“sia fatta la mia volontà”). Qui sta il senso pratico e morale dell’affermazione di Saint-Martin.

In merito alle citate affermazioni di Éliphas Lévi e Joséphin Péladan, essi aggiungono la loro convinzione che è la Chiesa Cattolica Universale a rappresentare per l’umanità la decade o la pienezza manifesta dell’unità. Per loro, la volontà unita e vincolata all’essenza della Chiesa è espressa dal pentagramma benefico, inteso nel senso di Saint-Martin, e la volontà che è puramente e semplicemente personale è espressa dal pentagramma malefico. Questo è il motivo per cui Madame Blavatsky accusò Éliphas Lévi di politiche gesuitiche e il perché il vecchio amico-occultista di Joséphin Péladan si rammaricò della sua ricaduta nel settarismo romano.

Ma ora, non è questione di prendere posizione in questa “guerra delle due rose [1]”, né di accusare o pentirsi. Qui si tratta del problema della magia arbitraria personale (il quinario separato dalla decade) e della magia sacra personale (il quinario unito e vincolato alla decade). E questa è la tesi che propongo in merito al problema, una tesi che è il frutto di quarantatré anni di esperienza in campo esoterico: solo il pentagramma delle cinque ferite è il segno effettivo della magia sacra personale, mentre il pentagramma delle cinque correnti della volontà personale, non ha importanza l’orientamento dei punti del pentagramma, è il segno effettivo di un’imposizione della volontà personale dell’operatore sugli esseri più deboli di lui – è sempre un atto fondamentalmente tirannico.

Questa è la tesi. Procediamo ora con la sua spiegazione.

Un atto magico presuppone un effetto che superi il potere normale dell’operatore. Questo surplus di potere può essere dato dalle forze che obbediscono all’operatore, o dalle forze che prende in prestito, o, infine, dalle forze che agiscono per il tramite dell’operatore e alle quali lui obbedisce.

Nel caso di forze fornite all’operatore per sottomissione, si tratta dell’operazione magica che abbiamo designato (nella Lettera III) come “personale o arbitraria”, ovvero un’operazione la cui fonte di iniziativa, i cui mezzi e scopi si trovano esclusivamente nella volontà e nella conoscenza della personalità dell’operatore. Una tale operazione può solo fare uso di forze che sono inferiori all’operatore. Perché gli Angeli non si comandano. Qui l’operatore è solo e agisce come un tecnico di magia sotto la sua personale responsabilità e a suo proprio rischio e pericolo. Si potrebbe anche designare questo tipo di magia come “faustiana”.

Nel caso di forze prese in prestito dall’operatore, si tratta di un atto di magia collettiva. È la “catena magica” che rende l’operatore più potente; essa gli “presta” le forze di cui egli fa poi uso per l’operazione. In questo caso, l’operatore è sostenuto da forze che gli sono pari (e non inferiori come nel caso della magia faustiana). La forza e l’effetto dipendono qui dal numero di persone di persone che appartengono alla catena. Si potrebbe designare questo tipo di magia come “collettiva”.

Infine, nel caso di forze che agiscono attraverso l’operatore come intermediario e alle quali egli obbedisce, si tratta anche in questo caso di una “catena”, ma di una catena verticale e qualitativa (gerarchica) invece di una catena orizzontale e quantitativa, come è il caso della precedente magia collettiva. L’operatore qui è solo in senso orizzontale, ma non in quello verticale: sopra di lui gli esseri che gli sono superiori agiscono con lui e per suo tramite. Questo tipo di magia presuppone il fatto di essere in relazione cosciente con esseri spirituali superiori, cioè assume una precedente esperienza mistica e gnostica. Abbiamo designato questo tipo di magia (nella Lettera III) come “magia sacra”, perché le forze attive nelle operazioni di questa magia sono superiori all’operatore. Comunque sia, il suo nome storico è “teurgia”.

Le formule che esprimono l’attitudine fondamentale della volontà personale in corrispondenza dei tre tipi di magia descritti sopra sono:

  • Fiat voluntas mea (magia faustiana);
  • Fiat voluntas nostra (magia collettiva);
  • Fiat voluntas TUA (magia sacra).

Le prime due forme di magia – faustiana e collettiva – utilizzano metodi il cui segno è il pentagramma delle cinque correnti della volontà personale e collettiva. Essi sono basati sul principio del forte che domina il debole. Si tratta qui del potere della costrizione.

In merito alla terza forma di magia – la magia sacra – il metodo di cui si fa uso non è  la forza della volontà, ma piuttosto la sua purezza. Ma siccome la volontà in quanto tale non è mai del tutto pura – perché non è la carne che porta le stigmate del peccato originale, né si pensa che lo sia – è necessario che le cinque correnti oscure innate nella volontà umana (cioè il desiderio di essere grandi, di prendere, di mantenersi, di avanzare, di sorreggersi, a spese degli altri) siano paralizzate o “inchiodate”. Le cinque ferite sono quindi i cinque vuoti risultanti nelle cinque correnti della volontà. E questi vuoti sono riempiti dalla volontà dall’alto, cioè da una volontà del tutto pura. Questo è il principio della magia del pentagramma delle cinque ferite.

Prima di procedere alla questione di come sono prodotte le cinque ferite della volontà e di qual è il metodo pratico della magia del pentagramma delle cinque ferite, è ancora necessario ponderare sul concetto di “ferita” in sé.

Una ferita è una porta attraverso cui il mondo esterno si intromette nel sistema chiuso del mondo interno soggettivo. Da un punto di vista biologico, è una breccia nelle pareti della fortezza dell’organismo attraverso la quale le forze esterne all’organismo stesso penetrano nel suo interno. Una semplice lesione della pelle, per esempio, rappresenta una breccia e per un certo tempo dà all’aria (e a tutto quello che vi è trasportato) un accesso alla regione interna dell’organismo da cui sarebbe bandita se la pelle fosse intatta.

Ora, l’organo della vista, l’occhio, comparato alla superficie del corpo umano coperto dalla pelle, è una ferita che può essere coperta da pelle mobile – le palpebre. Attraverso questa ferita il mondo esterno oggettivo penetra nella nostra vita interiore con la più grande intensità, rivelando molto più del mondo rispetto al senso del tatto. Con le palpebre chiuse, lo spazio dove ha luogo l’esperienza del mondo denominata “vista” diventa nuovamente un’esperienza mondana ridotta – eppure normale per l’intera superficie corporea – che noi designiamo come “tatto”.

Gli occhi sono ferite aperte così sensibili da soffrire (cioè reagire a) qualunque sfumatura di luce e colore. Ed è lo stesso con gli altri organi di senso. Essi sono ferite, ovvero sono loro ad imporci la realtà oggettiva del mondo esterno. Là dove vorrei vedere dei bei fiori, i miei occhi mi presentano una pila di sterco. Sono forzato a vedere ciò che il mondo oggettivo mi mostra attraverso gli occhi. È come un chiodo dal di fuori che inchioda la mia volontà.

I sensi – se attivi e funzionanti normalmente – sono ferite attraverso cui il mondo oggettivo, senza riguardo per la nostra volontà, ci si impone. Ma i sensi sono organi di percezione, non di azione. Immaginiamo che i cinque organi di azione – gli arti, inclusa la testa nella sua funzione di arto – abbiano ferite analoghe, cioè che alle cinque correnti della volontà di cui sono espressione fosse dato accesso a una volontà oggettiva che sta ai desideri personali come la percezione sensoriale sta ai giochi della fantasia.

Questo è il concetto esoterico della ferita. E questo concetto può diventare una realtà spirituale, poi mentale, e infine anche fisica per alcuni. Gli stigmatizzati – da San Francesco d’Assisi a Padre Pio in Italia e Teresa Neumann in Germania nell’epoca attuale – sono individui per i quali la realtà delle cinque ferite ha raggiunto il piano fisico. Questi sono gli organi futuri della volontà in formazione, gli organi d’azione che considerati nel loro insieme hanno come segno il sacro pentagramma – il quinario unito e vincolato alla pienezza della decade, secondo Saint-Martin.

È ancora necessario specificare le cinque ferite corrispondenti alle cinque correnti oscure della volontà – il desiderio di grandezza personale, di prendere, di mantenersi, di avanzare, di sorreggersi, a spese degli altri – che corrispondono, a loro volta, ai cinque arti (inclusa la testa come arto), sebbene solo quattro siano allocate negli arti corrispondenti. Il desiderio di prendere o di procurarsi le cose è collegato alla mano destra: similmente, il desiderio di conservare o mettere da parte appartiene alla mano sinistra; analogamente, il desiderio di avanzare a spese degli altri e il desiderio di sorreggersi a spese altrui corrispondono rispettivamente al piede destro e al piede sinistro; ma il desiderio di grandezza personale non corrisponde alla testa. La testa non porta la quinta ferita, per due ragioni: primo, perché porta la “corona di spine” (a cui abbiamo tentato di dare una spiegazione nella Lettera IV), che è accordata, in principio, a ogni persona capace di pensiero oggettivo – la “corona di spine” essendo data a ogni essere umano sin dall’inizio della storia umana. È quell’organo sottile designato da noi in occidente come “loto dai mille petali” o sahasrāra (centro coronale). Questo centro coronale è un “dono naturale”, per così dire, che ogni essere umano e ogni persona normale possiede. Le “spine” del centro coronale fungono da “chiodi” dell’oggettività, dando coscienza al pensiero. È grazie ad esse che il pensiero è divenuto totalmente emancipato e non arbitrario come, ad esempio, l’immaginazione. Il pensiero in quanto tale è, nonostante tutto, l’organo della verità, non dell’illusione.

Quindi, non è il pensiero in quanto tale che esprime il desiderio di grandezza personale o la tendenza alla megalomania, ma è piuttosto la volontà che usa la testa e che afferra il pensiero riducendolo al ruolo di suo strumento. E ciò costituisce la seconda ragione per cui la quinta ferita – quella dell’umiltà naturale, che rimpiazza la corrente della volontà di grandezza – non circonda la testa, ma è invece nel cuore, cioè raggiunge il cuore, penetrandovi dal lato destro. Perché è lì che la volontà di grandezza ha la sua origine ed è da lì che afferra la testa facendone il suo strumento. È il motivo per cui tanti pensatori e scienziati vogliono pensare “senza il cuore” per essere obiettivi – il che è un illusione, perché in nessun modo si può pensare senza il cuore, essendo il cuore il principio attivatore del pensiero; quello che si può fare è pensare con un cuore umile e affettuoso invece che con un cuore pretenzioso e freddo.

Quindi, la quinta ferita (che è la prima in quanto ad ordine di importanza) è quella del cuore invece che della testa, essendo la testa dal punto di vista della volontà attiva uno strumento o “arto” del cuore.

Passiamo ora alla questione che riguarda l’origine delle cinque ferite – ovvero di come si sono prodotte – e del metodo pratico e concreto della magia del pentagramma sacro delle cinque ferite.

Come si conseguono le cinque ferite?

Esiste un unico metodo, un solo mezzo che vi conduce. E – non importa se in piena coscienza o istintivamente – ogni esoterista, ogni mistico, ogni idealista, ogni ricercatore spirituale e, infine, ogni uomo di buona volontà può farne uso, in Europa e in Asia, oggi come venti secoli fa. Questo metodo universale di tutte le ere e di tutte le culture non è nient’altro che la pratica dei tre voti tradizionali, vale a dire obbedienza, povertà e castità.

L’ obbedienza conquista la volontà di grandezza del cuore; la povertà è saldamente connessa al desiderio di prendere della mano destra e al desiderio di mantenere della mano sinistra; la castità blocca i desideri  del “cacciatore nimrodico [2]” – avanzare e sorreggersi a spese altrui o, in altre parole, cacciare e tendere trappole alla selvaggina – del piede destro e del piede sinistro.

Il voto di obbedienza consiste nella pratica di zittire i desideri personali, le emozioni e l’immaginazione di fronte alla ragione e alla coscienza; è il primato dell’ideale invece delle apparenze, della nazione invece della persona, dell’umanità invece della nazione, e di Dio invece dell’umanità. È la vita dell’ordine gerarchico cosmico e umano; è il significato e la giustificazione del fatto che esistono i Serafini, i Cherubini, i Troni, le Dominazioni, le Virtù, le Potenze, i Principati, gli Arcangeli, gli Angeli, i Sacerdoti, i Cavalieri e la gente comune. L’obbedienza è ordine: è la legge internazionale; è lo stato; è la Chiesa; è la pace universale. La vera obbedienza è l’esatto opposto della tirannia e della schiavitù, poiché le sue radici sono nell’amore che scaturisce dalla fede e dalla fiducia. Ciò che è in alto serve ciò che è in basso e ciò che è in basso obbedisce a ciò che è in alto. L’obbedienza è la conclusione pratica a ciò che si riconosce come esistenza di qualcosa di più elevato di se stessi. Chiunque riconosca Dio, obbedisce.

L’obbedienza come è praticata negli ordini religiosi e nel cavalierato spirituale cattolico è una forma di addestramento – per giunta, estremamente efficace – della volontà, al fine di fermare la volontà di grandezza. L’obbedienza che il cēlā [3] ha verso il suo guru in India e in Tibet segue, in linea di principio, lo stesso scopo. Questo è vero anche per l’obbedienza assoluta che i cassidici [4]  hanno verso l loro tzadikim [5]  nelle comunità cassidiche ebraiche, e similmente l’obbedienza senza riserve da parte dei discepoli degli starlzy (maestri spirituali) della Russia ortodossa pre-bolscevica.

La formula universale dell’obbedienza è: Fiat voluntas tua.

Il voto di povertà è la pratica del vuoto interiore, fondata sul silenzio dei desideri personali, delle emozioni e dell’immaginazione, così che l’anima sia in grado di ricevere dall’alto la rivelazione del verbo, della vita e della luce. La povertà è veglia attiva e perpetua, e speranza di fronte alle sorgenti eterne della creatività; è l’anima in attesa del nuovo e dell’inaspettato; è l’attitudine ad apprendere sempre e ovunque; è  la conditio sine qua non di tutte le illuminazioni, di tutte le rivelazioni e di tutte le iniziazioni.

Quello che segue è un breve racconto che mostra meravigliosamente il significato pratico spirituale della povertà:


C’erano una volta quattro fratelli che si misero in viaggio alla ricerca di un grande tesoro. Dopo una settimana, arrivarono a una montagna di ferro grezzo. “Un’intera montagna di ferro grezzo!” esclamò uno dei quattro. “Questo è il tesoro che stavamo cercando!” Ma gli altri tre dissero: “Non è un grande tesoro,” e continuarono lungo il tragitto, mentre il loro fratello rimase presso la montagna di ferro grezzo. Ora egli era ricco e loro erano poveri come prima. Dopo un mese, arrivarono in un campo disseminato di pietre giallo-verdognole. “Questo è rame!” gridò uno dei tre fratelli. “Questo è certamente il tesoro che stiamo cercando!” Ma i due altri fratelli non condividevano la sua opinione. Quindi, lui rimase lì, ricco proprietario di una miniera di rame, mentre gli altri due continuarono per la loro strada, poveri come prima. Dopo un anno, arrivarono in una valle piena di pietre che brillavano di una luce biancastra.  “Argento!” gridò uno dei fratelli. “Questo infine è il tesoro che stavamo cercando!” Ma l’altro fratello scosse la testa e continuò per la sua strada, mentre suo fratello rimase lì, ricco proprietario di una miniera d’argento. Sette anni più tardi egli giunse in un luogo sassoso in un arido deserto. Si sedette, mezzo morto di fatica. Fu allora che notò che i ciottoli ai suoi piedi baluginavano. Era oro …


Il voto di castità significa mettere in pratica la decisione di vivere secondo la legge solare, senza cupidigia e senza indifferenza. Perché la virtù è noiosa e il vizio è disgustoso. Ma ciò che vive alla base del cuore non è né noioso né disgustoso. La base del cuore è amore. Il cuore vive solo quando ama. Allora è come il sole. E la castità è lo stato dell’essere umano in cui il cuore, divenuto solare, è il centro di gravità.

In altre parole, la castità è lo stato dell’essere umano dove il centro che nell’esoterismo occidentale è chiamato il “loto dai dodici petali” (anāhata [6] nell’esoterismo indiano) si risveglia e diviene il centro del “sistema planetario” microcosmico.

I tre loti situati sotto di esso (a dieci e a quattro petali [7]) iniziano allora a funzionare conformemente alla legge del cuore (il loto a dodici petali, cioè “secondo la legge solare”. Quando questi sono risolti, la persona è casta, non importa se celibe o sposata. Ci sono quindi “vergini” che sono sposate e madri, e ci sono vergini dal punto di vista fisico che in realtà non lo sono. L’ideale della Vergine-Madre che propone la Chiesa tradizionale (cattolica e ortodossa) è davvero degna di venerazione, è l’ideale di castità che trionfa sulla sterilità e l’indifferenza.

La pratica della castità non riguarda solamente il dominio del sesso. Riguarda egualmente tutti i domini dove c’è una scelta tra la legge solare e tutti i tipi di stati mentali indolenti. Quindi, ad esempio, tutti i fanatismi peccano contro la castità, perché in quel caso si è trascinati da una corrente oscura. La Rivoluzione francese fu un’orgia perversa di intossicazione collettiva, come lo fu la Rivoluzione russa. Il nazionalismo – come quello della Germania di Hitler – è analogamente una forma di intossicazione che sommerge la coscienza del cuore ed è quindi incompatibile con l’ideale di castità. Vi sono anche forme di occultismo pratico che si prestano alla ricerca di un’intossicazione insalubre. Joséphin Péladan ha ammesso:

Non lo nascondo; all’inizio siamo stati tutti sedotti dall’estetica dell’occultismo, e infatuati dello strano e del pittoresco; ci siamo donati ai diletti di femmine apprensive; abbiamo cercato il brivido – il brivido dell’invisibile e dell’oltre; abbiamo inseguito l’eccitazione dell’incorporeo.

Joséphin Péladan – L’Occulte Catholique – Paris 1898, p. 309.

La pratica della castità è saldamente connessa alle tendenze da cacciatore dell’essere umano, in cui il lato maschile è incline a inseguire la preda e il lato femminile a preparare le trappole. La pratica della povertà accorpa le tendenze ladresche dell’essere umano, dove il lato maschile è incline ad afferrare e quello femminile a tenere indefinitamente, invece di attendere per un dono o per il meritato frutto del proprio lavoro. Infine, la pratica dell’obbedienza fissa la volontà di grandezza o l’inclinazione usurpatrice della natura umana, il cui lato maschile è incline a farsi grande ai propri occhi e il cui lato femminile cerca di farsi stimare agli occhi altrui.

Questi tre voti costituiscono quindi l’unico metodo conosciuto e indispensabile che porta alle cinque ferite, cioè al pentagramma effettivo della magia sacra. È ancora necessario specificare che non è che le virtù dell’umiltà, povertà e castità debbano essere totalmente realizzate – perché nessun uomo in carne ed ossa può possedere interamente tali virtù – ma piuttosto importa la pratica, cioè lo sforzo sincero mirato alla loro realizzazione. È lo sforzo che conta.

Questa è la risposta alla domanda: come si conseguono le cinque ferite? Ora segue la risposta alla domanda: come opera la magia del pentagramma sacro delle cinque ferite?

Come detto sopra, è  la purezza della volontà e non la sua forza a costituire la base della magia del sacro pentagramma delle cinque ferite. In ciò essa corrisponde alla magia divina, che non forza ma afferma (o riafferma) la libertà di scelta attraverso la presenza del vero, del bello e del bene. Ora, nella magia del pentagramma sacro delle cinque ferite, si tratta di conseguire la presenza vivente del bene a fianco della consapevolezza del soggetto dell’operazione. Perché il bene non sempre combatte il male; non lo sfida. Il bene è solo presente, oppure non lo è. La sua vittoria consiste nel suo essere presente, la sua sconfitta nell’essere forzato ad assentarsi. E sono le cinque ferite ad assicurare la presenza del bene, ovvero la presenza della pura volontà dall’alto.

Quello che segue è un episodio che si trova nelle “Considerazioni sulle Stigmate di San Francesco” (quinta considerazione), che ben si appresta a fornire la chiave del problema di cui ci occupiamo.

Un frate francescano pregò per otto anni dopo la morte di San Francesco affinché le parole segrete che il Serafino aveva proferito a San Francesco al momento di dargli le stigmate gli fossero rivelate. Un giorno, San Francesco apparve a lui e ad altri sette confratelli e, volgendosi verso di lui, gli parlò così:

Sappi, caro frate, che quando ero sul monte della Verna [8], tutto rapito nella contemplazione della Passione di Cristo, in questa serafica visione fui stigmatizzato nel corpo da Cristo; e poi Cristo mi disse, “Sai cosa ti ho fatto? Ti ho dato i segni della mia Passione acciocché tu possa essere il mio alfiere. E come io, nel giorno della Mia morte, discesi nel limbo rimuovendo tutte le anime colà trovate, per virtù delle mie stigmate, per condurle in paradiso, così ti garantisco da questo momento (che tu possa attenerti a Me nella tua morte come lo sei stato in vita) che tu, passata la tua vita, andrai ogni anno, nel giorno della tua morte, in purgatorio, e libererai tutte le anime che troverai là dei tuoi tre Ordini, vale a dire i Minori, le Sorelle e i Penitenti, e analogamente le anime dei tuoi devoti seguaci, e questo, in virtù delle tue stigmate che ti ho dato; e li condurrai in paradiso.” Queste sono le parole da me non dette quando vissi nel mondo.

Brother Ugolino – The Little Flowers of St. Francis of Assisi – London 1963, p. 129

Detto questo, San Francesco scomparve subitaneamente. Numerosi frati ascoltarono in seguito questa narrazione dalle labbra degli otto frati che erano presenti alla visione e rivelazione di San Francesco.

Analizziamo ora la narrativa dal punto di vista della magia del pentagramma sacro delle cinque ferite.

In primo luogo, si può notare che le stigmate date a San Francesco sono di natura sia spirituale che corporea, perché la loro virtù (cioè il loro potere magico) permane dopo la sua morte. Inoltre, vi è indicazione che la virtù delle stigmate di San Francesco, come quelle di  Cristo, si rivela nel fatto che egli è in grado di accompagnare le anime dal limbo e dal purgatorio per condurle in paradiso. Accenniamo, infine, al fatto che la narrativa è piuttosto categorica in merito all’affermazione che è solo in virtù delle sue stigmate che Gesù Cristo, prima della sua resurrezione, condusse le anime fuori dal limbo per portarle in paradiso, e similmente è solo in virtù delle sue stigmate che San Francesco toglie dal purgatorio, ogni anno nell’anniversario della sua morte, tutte le anime che hanno con lui un legame spirituale, e le conduce in paradiso.

Considerate i termini ”limbo”, “purgatorio” e “paradiso” nel loro significato analogico  e avrete una formula chiara e precisa per il lavoro della magia del pentagramma sacro delle cinque ferite; esso attua un cambiamento dallo stato naturale (“limbo”) e dallo stato della sofferenza umana (“purgatorio”) a quello di beatificazione nello stato divino (“paradiso”). L’operazione della magia del sacro pentagramma delle cinque ferite consiste quindi nel trasformare lo stato naturale nello stato umano e in seguito nello stato divino. Questa è l’opera dell’alchimia spirituale della trasformazione dalla Natura (“limbo”) e dall’Umano (“purgatorio”), nel Divino (“paradiso”), secondo la triplice divisione – Natura, Uomo e Dio.

Consideriamo ora più da vicino il significato pratico dei termini “limbo”, “purgatorio” e “paradiso”, in quanto passi nell’opera di trasmutazione – o liberazione – della magia del pentagramma sacro delle cinque ferite.

Il loro significato pratico non è spaziale, cioè riferito a “luoghi”, ma si relaziona piuttosto agli stati dell’essere umano – il corpo, l’anima e lo spirito. Una volta compreso, possiamo scoprire facilmente che i tre stati ci sono noti attraverso l’esperienza e questa esperienza ci dà le chiavi analogiche che ci rendono in grado di capire le idee di “limbo”, “purgatorio” e “paradiso” in modo appropriato, cioè su tutti i piani e ad ogni livello – psicologico, metafisico e teologico – e di applicarle.

Ognuno di noi avrà sperimentato uno stato armonioso di buona salute accompagnato da uno stato di serenità dell’anima e di calma dello spirito. È quella che si chiama  joie de vivre, pura e semplice. Se non ci sono malattie serie, tristezze e problemi, è il nostro stato naturale permanente. È quanto la Natura, vergine e immacolata, ci offre, e di cui noi potremmo godere costantemente se non ci fossero elementi caduti nella Natura – nessuna infermità e peccato, tristezza, paura e rimorso in noi – e se, soprattutto, la vita nella sua interezza non fosse un campo dove la morte miete incessantemente. Ma di tanto in tanto abbiamo nondimeno momenti, ore, forse anche giornate intere in cui sperimentiamo una naturale joie de vivre, senza tristezze o preoccupazioni. E questa esperienza ci fornisce la “chiave analogica” per capire il significato del “limbo”. Il “limbo” è lo stato naturale di salute fisica e psichica che la Natura – fuori e dentro di noi – può offrirci da se stessa senza l’assistenza della grazia soprannaturale o divina. Il “limbo” è la parte virginale della Natura (la natura umana e la Natura esteriore) secondo la dottrina tradizionale “natura vulnerata non deleta” (“la Natura è ferita ma non distrutta”). Coloro che conoscono la Bhagavad Gītā, o che hanno interesse per la tradizione induista, riconosceranno facilmente nello stato designato con il termine “limbo” lo stato o guṇa della Natura (prākṛti [9]) chiamato sattva in India (gli altri due guṇa sono chiamati tamas e rajas [10]).

Riguardo all’esperienza relativa al “purgatorio”, essa comprende tutte ciò che vi è da epurare – le sofferenze – fisiche, psichiche e spirituali. È la sofferenza corporea, morale e intellettuale come stato intermedio tra l’esperienza dell’innocenza naturale del “limbo” e i momenti di gioia paradisiaca quando i raggi del “paradiso” ci raggiungono.

Già qui in basso sperimentiamo un’anticipazione del “purgatorio” e del “paradiso”. Soffriamo e ci viene data la consolazione del paradiso. La vita umana è una gioia innocente e naturale, e la sua rovina è con il peccato; ciò che ne risulta è sofferenza e sono i raggi della benedizione paradisiaca che ci consolano. Questa è la nostra vita. Essa consiste nello sperimentare la realtà del “limbo”, del “purgatorio” e del “paradiso”.

Ora, la magia del pentagramma sacro della cinque ferite “accompagna le anime fuori dal limbo e dal purgatorio e le conduce in paradiso”. Ciò vuol dire che essa rende attuale il paradiso nel “limbo” e nel “purgatorio”, che ne consente la discesa nel dominio della Natura innocente e sofferente. Questo, a sua volta, significa dire che essa introduce il soprannaturale nel naturale, sana le malattie, illumina le coscienze e consente la partecipazione alla vita spirituale. Il “purgatorio” include tutte le malattie e tutta la sofferenza. Esserne condotti fuori significa liberarsene, ovvero essere guariti, illuminati e riuniti con lo spirito.

La magia delle cinque ferite opera attraverso la presenza della realtà dello spirituale superumano attraverso le ferite, e consegue la trasformazione dagli stati di “limbo” e “purgatorio” allo stato di unione con il Divino, o “paradiso”. In merito al rituale o lato tecnico della magia del pentagramma sacro delle cinque ferite, questo è delineato nella terza Lettera relativa all’Arcano dell’Imperatrice.

Il quinario “unito e vincolato alla decade” di cui parla Saint-Martin è quindi il quinario o pentagramma delle cinque ferite. L’altro quinario, giudicato da Saint-Martin come “assolutamente malvagio”, è separato dalla decade, ovvero dalle cinque correnti (o “membra”) della volontà umana dotate delle cinque ferite dalla volontà divina. Le cinque correnti della volontà umana dotate delle cinque ferite corrispondono anche alle lettere IHSVH del nome וה‎שׁ‎ה‎י, IHSCHUH, Gesù – come accettato simbolicamente da Khunrath [11], Kircher [12], Saint-Martin e altri, sebbene in ebraico il nome di Gesù sia scritto יְהוֹשֻׁעַ, IHSCHUAH.

Ma non direi, come fa in modo radicale Saint-Martin, che il quinario separato dalla decade è totalmente malefico. È, piuttosto, arbitrario – ed è malvagio solo nella misura in cui la personalità umana emancipata da quella divina e naturale è male.

In ogni caso il pentagramma, a parte quello delle cinque ferite, non è il segno della “magia nera”, ma piuttosto di una magia arbitraria, o “magia grigia”, se preferite. Essendo il segno del potere della personalità, in quanto tale è inevitabilmente una mistura di bene e di male, anche quando l’essere umano agisce con le migliori intenzioni di questo mondo. A tale proposito Oswald Wirth dice:

La comune magia inganna se stessa sul potere di questo simbolo, che di per sé non conferisce alcun potere. La volontà individuale è potente solo nella misura in cui è in armonia con un potere più grande … Non cerchiamo di sviluppare artificialmente la volontà e di trasformarci in atleti della volontà …

Oswald Wirth – Le Tarot des imagiers du Moyen Age – Paris 1927, p. 123

In merito alle due forme del pentagramma – con la punta in alto e con la punta in basso – esse non corrispondono in alcun modo alla divisione della magia in “magia bianca” e “magia nera” (nonostante ciò che i maestri tradizionali – Éliphas Lévi, ad esempio – insegnano).

Potete certamente disegnare la testa di un capro (come fa Éliphas Lévi) nel “pentagramma rovesciato”; non per questo diventa il segno della “magia nera”.

Le due forme del pentagramma si riferiscono all’elettricità umana (cioè l’elettricità dell’organismo umano che accompagna i movimenti della volontà) della testa e delle gambe, il che non ha nulla a che fare con le corna. In entrambi i casi è la stessa elettricità, con l’unica differenza che nel caso del pentagramma con la punta in alto è la volontà dell’intelletto che muove le correnti elettriche, mentre nel caso del pentagramma con la punta rivolta in basso è l’intelligenza della volontà a farlo. I due poli della volontà possono egualmente essere al servizio del bene e del male – sebbene di fatto entrambi rappresentino una mescolanza dei due principi. È vero, comunque, che c’è più possibilità, nel caso del segno del pentagramma con la punta in alto di trarre, con ragione e coscienza, il meglio da un’operazione, rispetto al caso del pentagramma rovesciato, ma tutto dipende dallo stato morale e intellettuale dell’operatore. Un’intellettualità perversa farebbe certamente un pessimo uso del pentagramma diritto, quanto una volontà sana motivata da buone intenzioni farebbe buon uso di un pentagramma rovesciato. Quindi, non facciamoci impaurire dal pentagramma rovesciato, o dipendere troppo dal pentagramma diritto.

Ritorniamo al quinario vincolato e unito alla pienezza della decade, ovvero al pentagramma sacro delle cinque ferite. Consideriamolo ora non come una questione individuale ma piuttosto come qualcosa che riguarda l’intera umanità.

La storia dell’umanità – vista dal suo lato “notturno” – è alla base dell’operazione di un numero limitato di formule e simboli magici. Qualunque cosa dobbiate fare, vi ponete sotto l’egida  di una formula e di un simbolo. La croce, il pentagramma e l’esagramma sono segni e formule operative nella storia dell’umanità. La croce è il voto e la virtù dell’obbedienza, cioè simbolo e formula di fede, come respirazione umana orizzontale e respirazione divina verticale unite assieme. Il pentagramma è iniziativa; è sforzo e lavoro, cioè voto e virtù di povertà – o simbolo e formula di speranza come effetto della presenza della luce divina qui in basso. L’esagramma è il voto e la virtù della castità, cioè simbolo e formula dell’amore, come unità di Padre, Figlio e Spirito Santo, e Madre, Figlia e Anima Santa. La storia spirituale dell’umanità è la via che va dalla croce al pentagramma, e dal pentagramma all’esagramma, cioè è la scuola dell’obbedienza, della povertà e della castità, ed è allo stesso tempo l’operazione magica divina dove l’amore si consegue attraverso la fede per mezzo della speranza.

Il Medioevo eresse la croce sulle nazioni, le società, le aspirazioni e i pensieri dell’Europa. Fu un’epoca di fede e di obbedienza – accompagnata da ogni abuso umano possibile e immaginabile. Fu seguito da un’epoca dove si fece sentire l’alba della speranza. L’Umanesimo, con il suo fiorire di arte rinascimentale, filosofia e scienza, nacque sotto il segno della speranza. Il segno del pentagramma iniziò la sua ascesa. Fu allora che sorse l’opposizione tra il pentagramma sacro delle cinque ferite e il pentagramma della personalità emancipata. Una scienza e una magia puramente umanistiche si svilupparono sotto il segno del pentagramma della speranza nell’uomo, in opposizione al segno del pentagramma della speranza in Dio, il pentagramma sacro delle cinque ferite, sotto il quale ebbe il suo sviluppo l’esoterismo cristiano – il misticismo cristocentrico, la gnosi, la magia sacra e l’ermetismo.

L’impulso alla libertà – alla speranza nell’uomo emancipato – ha eretto e demolito un grande accordo. Ha creato una civilizzazione materialistica senza precedenti, ma allo stesso tempo ha distrutto  l’ordine gerarchico – l’ordine dell’obbedienza spirituale. Ne è risultata una serie di rivoluzioni religiose, politiche e sociali.

Ma l’ordine gerarchico è eterno e l’obbedienza è indispensabile. Ora stanno per stabilirsi nuovi ordini gerarchici che rimpiazzano l’obbedienza con la tirannia e la dittatura. Perché chi semina vento raccoglie tempesta (cfr. Osea 8:7 [13]) – questa è la verità che stiamo imparando oggi con così tanta sofferenza. Il pentagramma della speranza nell’uomo emancipato ha seminato vento in precedenza – e noi e i nostri contemporanei stiamo ora mietendo una tromba d’aria.

Ora, il seggio del Papa nella storia spirituale dell’umanità è quello di guardiano del pentagramma sacro delle cinque ferite; egli difende l’unica via legittima che passa dalla croce al pentagramma e dal pentagramma all’esagramma. La funzione del seggio spirituale del Papa è di assicurarsi che il pentagramma ascenda solo dopo che la croce sia stata accettata, e che si realizzi l’ascesa dell’esagramma solo dopo che il pentagramma sacro delle cinque ferite sia accettato. La missione del seggio del Papa è di far sì che l’obbedienza, la povertà e la castità spirituale – libere e sante – non scompaiano dal mondo e che ci siano sempre persone nel mondo che le abbraccino e le rappresentino. Perché questi tre voti di pratica costituiscono la condizione preliminare per vivere la fede, la speranza luminosa e l’amore ardente, cioè  il respiro spirituale del genere umano. L’umanità soffocherebbe spiritualmente senza fede, speranza e amore o carità. E sarebbe priva di tutto questo se la pratica dell’obbedienza spirituale, della povertà e della castità – libera e santa – cessasse.

Il seggio del Papa o Santa Sede è la formula della magia divina – proprio come lo è il seggio dell’Imperatore nella storia dell’umanità. È ciò che si intende in termini esoterici per Petrus (Pietro). Πέτρα  = petra = pietra. Petrus è il termine che nel Vecchio e Nuovo Testamento designa l’ordinanza o formula divina e irremovibile della magia divina. È il motivo per cui il seggio del Papa fu fondato sull’essenza di Petrus (Pietro):

E io altresì ti dico: Tu sei Pietro, e su questa pietra edificherò la mia Chiesa, e le porte dell’Ade non la potranno vincere.

Matteo 16:18

Le cinque “porte dell’Ade” – la volontà di grandezza, il desiderio di prendere e di possedere, il desiderio di avanzare e di mantenersi a spese altrui – essendo la contro-formula, non prevarranno contro la formula delle cinque ferite. E queste ferite sono le “chiavi per il regno dei cieli”.

Il potere magico divino di queste chiavi è tale che qualunque cosa sia legata alle loro virtù sulla terra lo sarà in cielo e che qualunque cosa sia lontana dalle loro virtù sarà allontanata dal paradiso. Perché ciò che sta in alto è come ciò che sta in basso e ciò che è sotto è come ciò che è sopra. E quando la disobbedienza, la cupidigia e l’impurità prevarranno sulla terra in modi mai visti prima – allora sarà la virtù delle chiavi o delle sacre ferite a poter ristabilire l’unità di ciò che è sopra e di ciò che è sotto, ovvero “legare” e “sciogliere”, attraverso un atto che, messo in parole, avrebbe il tenore seguente:


Possa ciò che è sopra essere come ciò che è sotto e possa ciò che è sotto essere come ciò che è sopra.



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