l’Imperatore del quarto Arcano del Tarocco non ha una spada né una qualunque altra arma. Egli governa per mezzo dello scettro, e solo con quello.

Estratti dall’opera: Meditation on the Tarot: A Journey Into Christian Hermeticism, London 1982 – Trad. dall’inglese, adattamento e note di Daniele Duretto

Lettera IV

Benedictus qui venit in nomine Domini.

Luca 13:35

Caro Amico Sconosciuto,

Meno una persona è superficiale – e più conosce quello di cui è capace – più è grande la sua autorità. Essere qualcosa, conoscere qualcosa ed essere in grado di fare qualcosa è quello che dota una persona di autorità. Si può anche dire che una persona è autorevole proporzionalmente a ciò che unisce intimamente in lui la profondità del misticismo, la saggezza diretta della gnosi e il potere produttivo della magia. Chiunque la possiede a un certo grado può trovare una “scuola”. Chi la possiede a una grado ancora più elevato può “dettare legge”.

È solo l’autorità ad essere la vera e unica forza della legge. La costrizione è solo un espediente a cui si fa ricorso per rimediare alla mancanza di autorità. Dove c’è autorità, ovvero dove è presente l’afflato della magia sacra penetrato dai raggi luminosi della gnosi emanati dal fuoco profondo del misticismo, lì la costrizione è superflua.

Ora, l’Imperatore del quarto Arcano del Tarocco non ha una spada né una qualunque altra arma. Egli governa per mezzo dello scettro, e solo con quello. Questo è il motivo per cui la prima idea che la carta evoca spontaneamente è quella dell’autorità che sottende la legge. La tesi che procede dalla meditazione dei tre Arcani precedenti è che tutta l’autorità ha la sua fonte nell’ineffabile nome divino IHVH e che tutta la legge vi deriva.

Qui si implica che il portatore umano della vera autorità non si sostituisce all’autorità divina ma, al contrario, le cede il posto. A tal fine deve rinunciare a qualcosa.

La carta ci insegna in primo luogo che l’Imperatore ha rinunciato alla costrizione e alla violenza. Egli non ha armi. La mano destra

sostiene davanti a sé lo scettro, su cui è fissato il suo sguardo, e la mano sinistra si posa sulla cintura strettamente allacciata. Non sta né in piedi né seduto. È appoggiato con naturalezza su un basso trono e solo un piede poggia sul terreno. Le gambe sono incrociate. Lo scudo adornato con un’aquila è appoggiato a terra al suo fianco. Per ultimo, indossa una grande e pesante corona.

Il contesto della carta esprime la rinuncia attiva piuttosto che la rinuncia per costrizione. L’Imperatore ha rinunciato agli agi, non essendo seduto. Ha rinunciato a camminare, essendo adagiato e con le gambe incrociate. Non può avanzare per compiere un’azione offensiva, né indietreggiare per una ritirata. La sua posizione è accanto al trono e al blasone. È di sentinella e in quanto tale non ha libertà di movimento. È un guardiano vincolato alla sua postazione.

Ciò a cui fa la posta è essenzialmente lo scettro. Ora lo scettro non è un mezzo con cui si è autorizzati a fare qualcosa o altro. È, da un punto di vista pratico, un simbolo che non serve a nulla. L’Imperatore ha rinunciato a qualunque azione, avendo donato la sua mano destra allo scettro che tiene di fronte a lui, mentre la mano sinistra è alla cintura. Non è più libero, perché la cintura lo trattiene. Essa ha la funzione di tenere in scacco la natura impulsiva e istintiva dell’Imperatore, così che non possa intervenire e distrarsi dal suo posto di guardia.

L’Imperatore ha quindi rinunciato a muoversi con le gambe e ad agire con le braccia. Allo stesso tempo, indossa una corona grande e pesante – e abbiamo già meditato sul significato della corona riguardo all’Imperatrice, dove ha un doppio significato. Da una parte è un segno di legittimazione, ma è anche il segno di un’opera o missione che viene dall’alto. Quindi ogni corona è essenzialmente una corona di spine. Non solo è pesante, ma ancora richiede una dolorosa limitazione del pensiero e della libera o arbitraria immaginazione personale. Certamente, essa emette dei raggi all’esterno, ma gli stessi raggi sono spine per la personalità interiore. Essi giocano il ruolo di chiodi che trafiggono e crocifiggono ogni immagine o pensiero della personale immaginazione. Qui i veri pensieri ricevono una conferma e la conseguente immaginazione; i pensieri falsi o irrilevanti sono sottomessi e ridotti all’impotenza. La corona dell’Imperatore rappresenta la rinuncia alla libertà del movimento intellettivo, proprio come i suoi arti significano la rinuncia alla libertà di azione e movimento. Egli è privato delle cosiddette tre libertà “naturali” dell’essere umano – quelle di opinione, parola e movimento. L’autorità lo richiede.

Ma non è tutto. Lo scudo con l’aquila giace a terra al suo fianco. L’Imperatore non lo tiene in mano, come fa l’Imperatrice. Certo lo scudo è lì, ma appartiene più al trono che alla persona dell’Imperatore. Ciò significa che il motivo per cui l’Imperatore è di sentinella non sta in lui ma nel trono. L’Imperatore non ha una missione personale; vi ha rinunciato a favore del trono. O, in termini esoterici, egli non ha nome; è anonimo, perché il nome – la missione – appartiene al trono. Egli non è lì a suo nome ma piuttosto a nome del trono. Questa è la quarta rinuncia dell’Imperatore – la rinuncia al nome o a una missione personale, nel significato esoterico del termine.

È detto che “la Natura aborre il vuoto” (horror vacui). La verità contraria qui, è che “lo Spirito aborre il pieno”. È necessario creare un vuoto naturale – è questo il conseguimento della rinuncia – affinché lo spirito si manifesti. Le beatitudini del Sermone del Monte (Matteo 5:3-12) affermano questa verità fondamentale. La prima beatitudine – “Beati i poveri di spirito, perché di essi è il regno dei cieli” – vuole significare che coloro che sono ricchi nello spirito, che sono pieni del “regno spirituale dell’uomo”, non hanno spazio per il “regno dei cieli”. La rivelazione presuppone il vuoto – uno spazio messo a disposizione – affinché si possa manifestare. Questo è il motivo per cui è necessario rinunciare alle opinioni personali per ricevere la rivelazione della verità, all’azione personale per diventare un agente della magia sacra, alla via (o metodo) di realizzazione personale per essere guidati dal Maestro, alla missione personale che si è scelta per essere investiti da una missione dall’alto.

L’Imperatore ha istituito in sé questo quadruplice vuoto. Ecco perché è l’”Imperatore”; ecco perché è l’autorità. Ha fatto spazio in sé per il nome divino IHVH, che è la sorgente dell’autorità. Ha rinunciato all’iniziativa intellettuale personale – e il vuoto che ne risulta è riempito con l’iniziativa divina o lo YOD del nome sacro. Ha rinunciato all’azione e al movimento – e il vuoto risultante è riempito con l’azione rivelatrice e il movimento magico dall’alto, ovvero dalla HE e dalla VAU del nome divino. Infine, ha rinunciato alla sua missione personale, è diventato anonimo – e il vuoto che ne risulta è riempito con l’autorità (o la seconda HE del nome divino), vale a dire che egli diviene la sorgente della legge e dell’ordine.

Lao Tzu rivela l’arcano dell’autorità  nel suo Tao Te Ching. Egli dice:

Si ha un bel riunire trenta raggi in un mozzo, l’utilità di una vettura dipende da ciò che non c’è. Si ha un bel lavorare l’argilla per fare vasellame, l’utilità del vasellame dipende da ciò che non c’è. Si ha un bell’aprire porte e finestre per fare una casa, l’utilità della casa dipende da ciò che non c’è. Così, traendo partito da ciò che è, si utilizza quello che non c’è. E ancora: Ciò che è piegato diventa intero. Ciò che è tortuoso diventa dritto. Ciò che è vuoto diventa pieno. Ciò che è consumato diventa nuovo. Colui che possiede poco acquista. Colui che possiede molto è indotto in errore. Perciò il Santo si aggrappa all’unità e ne fa la misura dell’Impero. Egli non si esibisce, e perciò risplende. Egli non si afferma, e perciò si manifesta. Egli non si vanta, e perciò riesce. Egli non si gloria, e perciò diventa il capo. Infatti, appunto perché non lotta, non c’è nessuno nell’impero che possa lottare contro di lui [1]

… perché egli ha l’autorità.

Dio governa il mondo attraverso l’autorità, non con la forza. Se così non fosse, nel mondo non vi sarebbero né la libertà né la morte; e le prime tre istanze del Pater Noster: “Sanctificetur nomen tuum. Adveniat regnum tuum. Fiat voluntas tua sicut in caelo et in terra”, perderebbero tutto il loro significato. Colui che prega queste istanze lo fa con l’unico scopo di affermare e incrementare l’autorità divina e non la potenza divina. Il Dio che è onnipotente – non virtualmente ma per davvero – non ha per nulla bisogno che gli si faccia richiesta di far venire il suo regno e di eseguire la sua volontà. Il significato della preghiera è che Dio è potente solo nella misura in cui la sua volontà è riconosciuta e accettata liberamente. Si è liberi di credere o di non credere. Nulla e nessuno può costringerci ad avere fede – nessuna scoperta scientifica, nessun argomento logico, nessuna tortura fisica può obbligarci a credere, ossia a riconoscere liberamente e ad accettare l’autorità di Dio. D’altro canto, una volta che l’autorità è riconosciuta ed accettata, l’impotente diventa potente. Allora il potere divino può manifestarsi – e questo è il motivo per cui è detto che un granello di fede è sufficiente per smuovere le montagne.

Ora, il problema dell’autorità ha un significato nel contempo mistico, gnostico, magico ed ermetico. Esso comprende il mistero cristiano della crocifissione e il “mistero della contrazione” (sodtzimtzum) della Cabala luranica [2]. Di seguito alcune considerazioni che possono aiutarci a giungere ad una più profonda meditazione su questo mistero.

Il mondo cristiano venera il crocifisso, cioè l’immagine che esprime il paradosso del Dio onnipotente ridotto ad uno stato di estrema impotenza. Ed è in questo paradosso che si percepisce la più alta rivelazione del divino nell’intera storia dell’umanità. Qui si vede la perfetta rivelazione del dio dell’amore. Il Credo Cristiano dice:

passus sub Pontio Pilato, crucifixus, mortuus, et sepultus (soffrì sotto Ponzio Pilato, fu crocifisso, morì e fu sepolto).

L’unico Figlio del Padre eterno inchiodato alla croce per il nostro bene – questo è ciò è impresso divinamente sulle nostre anime libere, inclusa quella del ladro crocifisso alla destra. L’impressione è indimenticabile e inesprimibile. È il respiro diretto di Dio che ha ispirato e ancora ispira migliaia di martiri, confessori della fede, vergini e reclusi.

Ma non è che ogni essere umano che si trova a fronteggiare il Crocifisso sia mosso al divino. Ci sono quelli che reagiscono in modo opposto. Era così al tempo del Calvario; ed è così anche oggi.

E coloro che passavano di lì lo ingiuriavano, scuotendo il capo e dicendo: Tu che disfai il tempio e in tre giorni lo riedifichi, salva te stesso, se tu sei il Figlio di Dio, e scendi giù dalla croce! (Matteo 27:39-40)

Anche coloro che lo sacrificavano, assieme agli scribi e agli anziani, lo schernivano, dicendo

Ha salvato altri e non può salvar se stesso! Se è il re d’Israele, scenda ora giù dalla croce, e noi crederemo in lui. Se è confidente in Dio, lo liberi ora, se Lui lo gradisce, poiché ha detto: Sono il Figlio di Dio. (Matteo 27:42-43)

Questa è l’altra reazione. Al giorno d’oggi sentiamo la stessa cosa, ad esempio, dalle trasmissioni della radio sovietica da Mosca. L’argomento per Mosca è sempre lo stesso: se Dio esiste, deve sapere che noi, i comunisti, lo detronizziamo. Perché non dà un segno visibile, se non del suo potere, almeno della sua esistenza? Perché non difende i suoi interessi!? In altre parole è la vecchia discussione: Scendi dalla croce, e noi crederemo in te.

Cito queste cose ben note perché esse rivelano un certo dogma filosofico sottostante. È il dogma o principio filosofico che stabilisce che la verità e la forza si accompagnano. Secondo questo dogma o principio filosofico (che è diventato quello della moderna scienza tecnologica) la forza è il criterio assoluto e l’ideale supremo della verità. Solo ciò che è potente è del divino.

Ora, ci sono ci sono adoratori sia palesi che segreti dell’idolo del potere (perché esso è un idolo ed è la sorgente di tutte le idolatrie) – anche nelle fazioni cristiane o in generale nei circoli religiosi e spirituali. Non sto parlando dei principi o dei politici di vedute spirituali che detengono il potere, ma piuttosto degli aderenti alle dottrine che sostengono il primato del potere. Ce ne sono di due categorie: quelli che aspirano all’ideale del “superuomo” e quelli che credono in un Dio che è in realtà onnipotente e quindi responsabile di tutto ciò che accade.

Tra gli esoteristi, gli occultisti e i maghi ve ne sono molti – sia apertamente che in segreto – che aspirano all’ideale del superuomo. Allo stesso tempo, si atteggiano spesso a maestri o ad alti prelati meritevoli di plauso. Sono, allo stesso tempo, curiosamente tutti d’accordo, in quanto essi elevano Dio alle vette dell’Astrazione Assoluta così da non essere turbati da una sua presenza troppo ingombrante, al fine di avere abbastanza spazio per se stessi per poter sviluppare la propria grandezza senza dover rivaleggiare con la scomoda magnificenza divina. Costruiscono le loro torri di Babele individuali che prima o poi, di regola, secondo la legge e l’esperienza di tutte le torri di Babele, cadono, una caduta salutare, come ci insegna la sedicesima carta del Tarocco. Essi non cadono da una vera altezza in un vero abisso; cadono da un’altezza che è solo immaginaria e cadono solo a terra, cioè imparano la lezione che noi, odierni esseri umani, abbiamo tutti appreso o dobbiamo ancora apprendere.

La venerazione dell’idolo del potere concepito come fosse un superuomo, soprattutto quando ci si identifica, è relativamente inoffensiva – essendo, fondamentalmente, infantile. Ma non è così con le altre categorie di veneratori del potere, vale a dire di coloro che proiettano questo ideale in Dio stesso. La loro fede in Dio dipende solo dal potere di Dio; se Dio fosse privo di autorità, non gli crederebbero. Sono loro che insegnano che Dio ha creato le anime predestinate alla dannazione eterna ed altre predestinate alla salvezza; sono loro che rendono Dio responsabile per intera storia della razza umana, incluse tutte le atrocità. Dio, dicono, “castiga” il figlio disobbediente con le guerre, le rivoluzioni, le tirannie e cose simili. Come potrebbe essere altrimenti? Dio è onnipotente, quindi tutto quello che accade è solo in grado di accadere per mezzo della sua azione o del suo consenso.

L’idolo del potere ha una tale presa su certe menti umane che esse preferirebbero un Dio che è un misto di bene e di male, purché potente, a un dio dell’amore che governa solo con l’autorità intrinseca del divino – con la verità, la bellezza e la bontà – cioè preferirebbero un Dio veramente onnipotente a un Dio crocifisso.

Comunque il padre nella parabola del figliol prodigo non ha mandato via il figlio dalla casa paterna perché fosse libero di condurre un’esistenza dissoluta, né gli ha impedito di andarsene o lo ha forzato a uno stile di vita che fosse a lui (il padre) gradita. Tutto quello che ha fatto è stato di aspettare il suo ritorno e andargli incontro una volta nelle vicinanze della casa paterna. Tutto ciò che è accaduto nella storia, salvo il ritorno del figlio alla casa paterna, era chiaramente contrario alla volontà del padre.

Ora, la storia della razza umana sin dalla Caduta è come quella del figliol prodigo. Non è questione della “legge di involuzione ed evoluzione secondo il piano divino” dei teosofi moderni, ma piuttosto di un abuso di libertà simile a quello del figliol prodigo. E la svolta nella storia dell’umanità non si trova né nel progresso della civilizzazione né nel processo di evoluzione o in qualunque altro “processo”, ma piuttosto nella parabola del figliol prodigo, nelle parole:

Mi alzerò e andrò da mio padre, e gli dirò: Padre, ho peccato contro il cielo e contro di te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio; trattami come uno dei tuoi servi. (Luca 15:18-19)

L’umanità è quindi interamente responsabile della sua storia? Senza dubbio – perché non è Dio che ha voluto così. Dio si è crocifisso per questo.

Ciò si comprende  quando si prende in considerazione il significato dell’umana libertà, e allo stesso modo la libertà degli esseri della gerarchia spirituale – Angeli, Arcangeli, Principati, Forze, Virtù, Dominazioni, Troni, Cherubini e Serafini. Tutti questi esseri – uomo incluso – hanno un’esistenza che è sia reale che illusoria. Se avessero un’esistenza reale, se non fossero un miraggio, sarebbero entità indipendenti dotate non solo di un’indipendenza fenomenica ma anche di un’indipendenza noumenica. Ora, l’indipendenza noumenica è ciò che noi definiamo come libertà [3]. La libertà, di fatto, non è niente altro che l’esistenza reale e completa di un essere creato da Dio. Essere liberi ed esistere sono sinonimi da un punto di vista morale e spirituale. Proprio come la moralità non esisterebbe senza la libertà, così un’entità spirituale non libera – anima o spirito – non esisterebbe da se stessa, ma sarebbe parte di un’altra entità spirituale libera, ovvero realmente esistente. La libertà è l’esistenza spirituale degli esseri.

Quando leggiamo nelle scritture che Dio ha creato tutti gli esseri, il significato essenziale è che Dio ha dato la libertà – o l’esistenza – a tutti gli esseri. Una volta data la libertà, Dio non se la riprende. Questo è il motivo per cui gli esseri delle dieci gerarchie menzionate sono immortali. La morte – non la separazione dal corpo, ma la vera morte – è la privazione assoluta della libertà, cioè la distruzione completa dell’esistenza data da Dio. Ma chi o cosa può prendere il dono divino della libertà, il dono divino dell’esistenza, da un essere? La libertà e l’esistenza sono inalienabili, e gli esseri delle dieci gerarchie sono immortali. L’affermazione: la libertà o l’esistenza sono inalienabili, può essere compresa come il dono più elevato, il più grande dei valori immaginabili – e questa sarebbe un’anticipazione del paradiso; oppure come una condanna all’”esistenza perpetua” – e questo sarebbe un assaggio dell’inferno, perché nessuno ci “manda” da qualche parte – la libertà non è un teatro. Siamo noi stessi a fare la scelta. Ama l’esistenza e hai scelto il paradiso; odiala, e avrai scelto l’inferno.

Ora, Dio è, per quanto riguarda gli esseri liberi, sia il Re sovrano (nel senso dell’autorità come ci è insegnata dal quarto Arcano del Tarocco) sia colui che è crocifisso. Egli è Re per quelli tra i suoi esseri che accettano volontariamente la sua autorità (che “credono”); egli è Crocifisso per quegli esseri che abusano della libertà e “venerano gli idoli”, cioè coloro che rimpiazzano l’autorità divina con un sostituto. Re e Crocifisso allo stesso tempo – questo è il mistero dell’iscrizione di Pilato sulla croce del Calvario: Jesus Nazarenus Rex Judaeorum (cfr. Giovanni 19:19: “Gesù Nazareno, Re dei Giudei”). Onnipotente e inerme allo stesso tempo – questo è il motivo per cui i miracoli di guarigione nella storia umana sono appannaggio dei santi mentre guerre sanguinarie e disastri infuriano intorno a loro!

Libertà – la libertà è il vero trono di Dio e allo stesso tempo la sua croce. La libertà è la chiave per comprendere il ruolo di Dio nella storia – per cogliere il Dio dell’amore e il Dio-Re, senza il sacrilegio di farne un tiranno e senza la blasfemia di dubitare del suo potere e della sua propria esistenza. Dio è onnipotente nella storia fin tanto che vi è fede; ed è crocifisso nella misura in cui gli si sfugge.

Quindi, la crocifissione divina risulta dalla libertà o dall’esistenza reale degli esseri delle dieci gerarchie, quando si tratta di un mondo governato per autorità divina e non per costrizione.

Rivolgiamoci ora all’idea di tzimtzum – il “ritiro (abbandono) di Dio” – della scuola luranica della Cabala. La dottrina dello tzimtzum rivela uno dei “tre misteri” della Cabala: Sod Hajichud, il mistero dell’unione; Sod Ha’Tzimtzum, il mistero della concentrazione o dell’abbandono di Dio; Sod HaGilgulim, il mistero della reincarnazione o “rivoluzione delle anime”. Gli altri due “misteri” – il mistero dell’unione e quello della rivoluzione delle anime – saranno trattato in seguito, in altre Lettere (la Lettera X, per esempio). Riguardo al “mistero dell’abbandono (o concentrazione)” che qui ci interessa, esso riguarda la tesi che l’esistenza dell’universo è resa possibile dall’atto di contrazione di Dio in se stesso. Dio crea uno “spazio” per il mondo abbandonando una regione interna a sé.

Il primo atto di Ain-Soph, l’Essere Infinito, non è quindi un passo avanti bensì un passo indietro, un movimento di ritirata, di ripiego in se stesso. Invece di un’emanazione abbiamo l’opposto, una contrazione… Il primo atto in assoluto non è un atto di rivelazione ma di limitazione. Solo come secondo atto Dio invia un raggio della Sua luce e inizia la Sua rivelazione, o piuttosto il Suo svelamento come Dio Creatore, nello spazio primordiale della Sua creazione. Inoltre, ogni nuovo atto di emanazione e manifestazione è preceduto da uno di contrazione e ritrazione [4].

In altre parole, per creare il mondo ex nihilo, Dio ha prima portato in esistenza il vuoto. Si è ritirato per creare uno spazio mistico, uno spazio senza la sua presenza – il vuoto. Ed è riflettendo su questo pensiero che assistiamo alla nascita della libertà. Perché, come ha formulato Berdyaev [5]:

La libertà non è determinata da Dio; è parte del nulla da cui Dio creò il mondo [6].

Il vuoto – lo spazio mistico da cui Dio si ritira attraverso l’atto dello tzimtzum – è il luogo di origine della libertà, ovvero il luogo di origine di un “ex-istenza” che è potenzialità assoluta, in nessun modo determinata. E la totalità degli esseri delle dieci gerarchie create sono i figli di Dio e della libertà – nati dalla pienezza divina e dal vuoto. Essi recano in sé una “goccia” del vuoto e una “scintilla” di Dio. La loro esistenza, la loro libertà, è il vuoto che è in loro. La loro essenza, la loro scintilla d’amore, è il “sangue” divino che è in loro. Sono immortali, perché il vuoto è indistruttibile, e la monade che procede da Dio è anch’essa indistruttibile. E ancora, questi due elementi indistruttibili – l’elemento meonico (gr. μὴ ὄν , il vuoto) e l’elemento pleroma (gr. πλήρωμα, pienezza) – sono indissolubilmente legati l’uno all’altro.

L’idea di tzimtzum, l’abbandono di Dio allo scopo di creare la libertà, e quello della crocifissione divina in nome della libertà, sono in completo accordo. Perché il ritirarsi di Dio per fare spazio alla libertà e la rinuncia all’uso del suo potere contro gli abusi della libertà (entro determinati limiti) sono solo le due facce della stessa medaglia.

È superfluo dire che l’idea di tzimtzum (e quella della crocifissione divina) sono inapplicabili quando concepite in senso panteistico. Il panteismo, come il materialismo, non ammette l’esistenza reale degli esseri individuali. Quindi il fatto della libertà – non la libertà solo apparente – è esclusa. Per il panteismo e il materialismo non vi sono questioni – e non vi possono essere – riguardanti l’abbandono divino o la crocifissione divina. D’altro canto, la dottrina cabalistica dello tzimtzum è la sola spiegazione seria che io conosca, in merito creazione ex nihilo, ad agire come contrappeso al panteismo puro e semplice. Inoltre, essa crea un legame profondo tra il Vecchio e il Nuovo Testamento, portando alla luce il significato cosmico dell’idea di sacrificio.


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