Dall’esistenza negativa a quella potenziale, dall’assoluto al finito: il significato dell’essere nel mondo secondo la speculazione cabalistica.

Le principali dottrine della Cabala sono designate a risolvere i seguenti problemi:
- L’Essere Supremo, la Sua natura ed attributi.
- La Cosmogonia.
- La creazione degli angeli, dell’uomo e del loro destino
- La natura dell’anima, dei demoni e degli elementali
- L’importanza della legge rivelata.
- Il simbolismo trascendente dei numeri.
- I misteri peculiari contenuti nelle lettere ebraiche.
- L’equilibrio degli opposti.
Il “Libro dell’Occultamento” (Sifra di-Ẓeni’uta) apre con queste parole: “Il Libro dell’Occultamento è il libro dell’Equilibrio della bilancia”. Cosa significa qui il termine “equilibrio della bilancia”? Equilibrio è quell’armonia che risulta dall’analogia dei contrari, è il centro vuoto dove, essendo eguale la forza delle forze opposte e contrarie, la quiete succede al movimento. È il punto centrale. È il “punto dentro il cerchio” dell’antico simbolismo. È la sintesi vivente della potenza controbilanciata. Il termine “bilancia” è applicato alle due opposte nature in ciascuna triade delle Sephiroth, dal cui equilibrio si forma la terza Sephira in ciascun ternario. Questa dottrina dell’equilibrio e del bilanciamento è un’idea cabalistica fondamentale.
I tre veli dell’esistenza negativa
Andando avanti con il “Libro dell’Occultamento”, si stabilisce che questo “Equilibrio si àncora a quella regione che esiste negativamente”. Cos’è l’esistenza negativa? Cos’è l’esistenza positiva? La distinzione tra le due è un’altra idea fondamentale. Definire in modo chiaro l’esistenza negativa è impossibile, perché se definita distintamente cessa di essere esistenza negativa; diviene esistenza negativa che passa ad una condizione statica. Di conseguenza i Cabalisti hanno sbarrato alla comprensione mortale il primo Ain, l’Uno esistente negativamente, e l’Ain Soph, l’Espansione senza limiti; mentre anche dell’Ain Soph Aur, la Luce illimitata, si può avere al massimo un flebile concetto. Ancora, se noi pensiamo in profondità, vedremo che tali devono essere le forme primeve dell’Uno inconoscibile e innominabile, di cui noi, nella forma più manifesta, parliamo come Dio. Egli è l’Assoluto. Ma come definire l’Assoluto? Anche se lo definiamo, esso sfugge alla nostra presa, perché essa viene meno quando è definito essere l’Assoluto. Potremmo dire che il Negativo, il senza limiti, l’Assoluto sono, logicamente parlando, assurdi, poiché sono idee che la nostra ragione non può definire? No, perché potendole definire, dovremmo, per così dire, contenerle con il raziocinio, e quindi non sarebbero superiori a esso; perché un soggetto sia passibile di definizione è indispensabile che certi limiti siano assegnabili. Come possiamo allora limitare l’Illimitabile?
Il primo principio ed assioma della Cabala è il nome della Divinità, tradotto nella nostra versione della Bibbia, “Io sono Colui che sono” [1], Ehye Asher Ehye (ebr. אֶהְיֶה אֲשֶׁר אֶהְיֶה). Una traduzione migliore è “Io sono Colui che esiste”, o “Io sono Colui che era, che è e che sarà”. A causa della struttura verbale diversa dell’ebraico rispetto alle lingue occidentali, una traduzione semplificata non riuscirebbe a trasmettere il significato della frase.
Éliphas Lévi dice, nella sua “Storia della Magia”:
I Cabalisti hanno orrore di tutto quanto rassomigli all’idolatria; essi danno a Dio la forma umana, ma è una figura puramente geroglifica. Essi considerano Dio come l’Uno Infinito intelligente, vivente e amorevole. Egli non è per loro né una collezione di esseri, né un’astrazione dell’esistenza, né un essere definibile filosoficamente. Egli è in tutto, distinto da tutto, e più grande del tutto. Il suo vero nome è ineffabile; e ancora questo nome esprime solamente l’ideale umano della Sua Divinità. Ciò che Dio è in Se stesso non è dato di conoscere all’uomo. Dio è l’assoluto della fede; ma l’assoluto della ragione è l’Essere. L’Essere è per se stesso, ed è questa la ragione per cui esiste. La ragione dell’esistenza dell’Essere è l’Essere stesso. Potremmo chiederci, ‘Perché esistono le cose?’, ‘Perché tale e talaltra cosa esistono?’ Ma non, senza sentirci ridicoli, ‘Perché esiste l’Essere?’ Perché questo vorrebbe dire supporre l’Essere prima dell’Essere.
Éliphas Lévi – Histoire de la Magie – Paris 1860, I, 7
E ancora, lo stesso autore dice:
Dire, ‘Io crederò quando la verità del dogma mi sarà stata scientificamente provata,’ equivale a dire, ‘Io crederò quando non avrò più nulla in cui credere, e quando il dogma sarà stato distrutto come dogma, divenendo un teorema scientifico.’ In altre parole: ‘Io ammetterò l’Infinito quando mi sarà stato spiegato, determinato, circoscritto e definito; in una parola, finito. Quindi crederò all’Infinito quando sarò sicuro che l’Infinito non esiste. Crederò alla vastità dell’oceano quando lo vedrò messo in bottiglia.’ Ma, signori, quando una cosa è stata provata in modo chiaro e vi è stata resa comprensibile, voi non crederete più ad essa, la conoscerete.
ibid., III, 2
Nel Bhagavadgītā [2] è detto:
E, o discendente di Bhārata! Vedrai meraviglie innumerevoli, mai viste prima. Nel mio corpo, o Guḍākeśa [3], vi è l’universo intero, tutto ciò che è mobile ed immobile, tutto in uno.
Bhagavadgītā, IX, 19
E ancora, Arjuna dice:
Tu sei il Dio primordiale, lo Spirito; tu sei l’Antico, il Ricettacolo supremo di questo universo. Sei il Soggetto conoscente, l’Oggetto da conoscere e la Sede suprema. Sei tu, dalle forme infinite, che dispieghi l’universo… Omaggio a te davanti e dietro. Omaggio da ogni lato parimenti, o [tu che sei] tutto! Il tuo eroismo è infinito, il tuo valore illimitato; tu ti estendi a tutto, dunque sei il Tutto!
ibid. XI, 38-40
L’idea dell’esistenza negativa può dunque esistere come idea, ma essa non tollera definizioni, giacché l’idea di definizione è del tutto incompatibile con la sua natura. Nemmeno può essere descritta come sussistenza negativa perché in quanto tale non può essere niente altro che sussistenza negativa; non può variare, non può svilupparsi; la sussistenza negativa è letteralmente e realmente nulla. Quindi, la sussistenza negativa semplicemente non può essere; non è mai esistita, non esiste e non esisterà mai. Ma l’esistenza negativa porta nascosta in sé vita positiva; perché nelle illimitate profondità dell’abisso della sua negatività giace celato il potere di andare oltre se stessa, il potere di proiettare la scintilla del pensiero nell’assoluto, il potere di riavvolgere il sintagma nel proprio interno. Così avvolta e velata l’intensità è assorbita nel vortice senza centro dell’immensità dell’espansione.
Ma tra due idee così differenti come quelle di esistenza negativa e positiva è richiesto un certo nesso o collegamento, per cui arriviamo alla forma chiamata esistenza potenziale, che mentre si approccia più da vicino all’esistenza positiva, è ancora scarsamente definita. Essa è esistenza nella sua forma possibile. Per esempio, in un seme, l’albero che può nascere da esso è nascosto; è in una condizione di esistenza potenziale; c’è, ma non è definito. Quanto meno, per quei semi che hanno la possibilità di germogliare. Ma questi ultimi sono in una condizione che, se in qualche modo analoga all’esistenza potenziale, è ben lungi dall’essere manifesta; sono cioè esistenti negativamente.
Ma, d’altro canto, l’esistenza positiva è sempre passibile di definizione; essa è dinamica; possiede energie tangibili, ed è quindi l’antitesi dell’esistenza negativa, e a maggior ragione della sussistenza negativa. È l’albero, non più nascosto nel seme, bensì sviluppato all’esterno. Ma l’esistenza positiva ha un inizio e una fine, e quindi richiede un’altra forma da cui dipendere, perché senza quest’altro ideale occulto negativo dietro di sé, essa sarebbe instabile e manchevole.

Vi sono tre veli cabalistici dell’esistenza negativa, e in essi si formulano le idee nascoste delle Sephirot non ancora venute in essere, concentrate in Kether, che in questo senso è il Malkuth delle idee nascoste delle Sephirot. Il primo velo dell’esistenza negativa è Ain = Negatività. Questa parola è composta di tre lettere, che quindi adombrano le prime tre Sephiroth o numeri. Il secondo velo è AIN SVP Ain Soph = l’Illimitato. Il titolo è formato da sei lettere, e prefigura l’idea delle prime sei Sephirot o numeri. Il terzo velo è AIN SVP AVR Ain Soph Aur = la Luce Illimitata. Esso consta di nove lettere, e simbolizza le prime nove Sephirot, naturalmente solo nella loro idea nascosta. Ma quando raggiungiamo il numero nove non possiamo progredire ulteriormente senza ritornare all’unità, o al numero uno, perché il numero dieci non è altro che una ripetizione dell’unità appena formata dal negativo, come è evidente ad un rapido sguardo della sua rappresentazione convenzionale in numeri Arabi, dove il cerchio 0 rappresenta il Negativo, e 1 l’Unità. Ne consegue che l’oceano illimitato di luce negativa non procede da un centro, perché esso non ha centro, bensì concentra un centro, che è il numero uno delle Sephirot manifeste, Kether, la Corona, la prima Sephira; che quindi si dice essere il Malkuth o numero dieci delle Sephirot nascoste. Quindi, “Kether è in Malkuth, e Malkuth è in Kether.” O, come disse Thomas Vaughan [4], citando all’apparenza Proclo: “il cielo è in terra, ma in modo terrestre, e la terra è in cielo, ma in modo celeste.” Ma in quanto soggetto indefinibile come esistenza negativa, come si è precedentemente illustrato, esso è considerato dai Cabalisti come dipendere dal numero dell’unità piuttosto che separato da esso; perciò, essi applicarono gli stessi termini ed epiteti indiscriminatamente ad entrambi. Tali epiteti sono ad esempio “L’Occulto degli Occulti,” “L’Antico degli Antichi,” “L’Antico dei Santi”.
[1] Esodo 3:14.
[2] Il Bhagavadgītā (Canto del Beato Signore) è la parte centrale e speculativa del grande poema epico Mahābhārata, che narra delle guerre per la conquista dell’India settentrionale (Bhārata). Esso si svolge in forma di dialogo tra Arjuna (l’Arciere), figlio umano del dio Indra e il suo auriga e parente Kṛṣṇa, che in realtà rappresenta l’Assoluto personificato.
[3] Gudākeśa, o “dalla folta capigliatura” è uno degli epiteti di Arjuna.
[4]Thomas Vaughan (1621-1666) fu un sacerdote gallese, filosofo e alchimista. Conosciuto per i suoi scritti sulla magia naturale, pubblicati con lo pseudonimo di Eugenius Philalethes, fu un seguace dei metodi di Paracelso nella preparazione di rimedi farmacologici ispirati alla medicina naturale. Fu il responsabile della traduzione in inglese della Fama Fraternitatis Rosae Crucis, il manifesto rosacruciano pubblicato in Germania nel 1614.
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