Il pericolo dell’inflazione spirituale

Estratti dall’opera: Meditation on the Tarot: A Journey Into Christian Hermeticism, London 1982 – Trad. dall’inglese, adattamento e note di Daniele Duretto

Lettera VII

Allora il diavolo lo lasciò; ed ecco degli angeli vennero a lui e lo servivano.

matteo 4:11

Quando lo spirito immondo è uscito da un uomo, va attorno per luoghi aridi, cercando riposo; e non trovandone, dice: Ritornerò nella mia casa donde sono uscito; e giuntovi, la trova spazzata e adorna. Allora va e prende seco altri sette spiriti peggiori di lui, ed entrano ad abitarla; e l’ultima condizione di quell’uomo divien peggiore della prima.

luca 11:24-26

Io son venuto nel nome del Padre mio, e voi non mi ricevete; se un altro verrà nel suo proprio nome, voi lo riceverete.

giovanni 5:43

Caro Amico Sconosciuto,

Come negli Arcani precedenti, l’Arcano “Il Carro” ha un duplice aspetto. Rappresenta, da un lato, colui che – avendo trionfato sulle tre tentazioni – rimane fedele ai voti di obbedienza, povertà e castità; e rappresenta, dall’altro lato, il pericolo della quarta tentazione, quella più sottile e profonda, che è la sintesi invisibile delle tre tentazioni: la tentazione spirituale del vittorioso per il tramite della sua stessa vittoria. È la tentazione ad agire “a proprio nome”, ad agire come padrone piuttosto che come servo.

Il settimo Arcano è quello della signoria intesa nel senso di tentazione e anche di conquista. Le tre citazioni del Vangelo trovate all’inizio di questa Lettera delineano la natura di queste idee.

Paul Marteau [1] dice che

Il significato generale e astratto della settima Carta rappresenta la messa in moto nei sette stati, cioè in tutti gli ambiti.

le tarot de marseille – Paris 1949, p. 33

Ed è esattamente quello che abbiamo designato sopra come “signoria”. Perché la signoria non è lo stato di essere mosso, ma piuttosto quello di essere in grado mettere in moto.

Il Figlio dell’Uomo ha resistito all’essere mosso dalle tre tentazioni del deserto; di conseguenza, è colui che ha messo in moto le forze che lo hanno servito. “Allora il diavolo lo lasciò; ed ecco degli angeli vennero a lui e lo servivano.”

Qui, di nuovo, è all’opera una legge fondamentale della magia sacra, che si potrebbe formulare così: Essendo ciò che è in alto come ciò che è in basso, la rinuncia a ciò che è in basso mette in moto le forze del conseguimento dall’alto e la rinuncia a ciò che è in alto mette in moto le forze del conseguimento dal basso. Qual è il significato pratico di questa legge?

È il seguente.

Quando si resiste o si rinuncia a qualcosa che si desidera dal basso, si mettono in moto grazie a questo stesso fatto le forze di realizzazione di ciò che corrisponde in alto a ciò a cui si rinuncia in basso. È quello che il Maestro designa con la parola “ricompensa” quando dice, ad esempio, che è necessario guardarsi dal praticare la rettitudine di fronte ad altri per guadagnare la loro stima:

Guardatevi dal praticare la vostra rettitudine nel cospetto degli uomini per essere osservati da loro; altrimenti non ne avrete premio presso il Padre vostro che è nei cieli.

matteo 6:1

La ricompensa è dunque l’azione che si mette in moto dall’alto attraverso la rinuncia al desiderio delle cose in basso. È il “sì” dall’alto che corrisponde al “no” dal basso. E questa corrispondenza costituisce la base per la realizzazione magica e per una delle leggi fondamentali dell’esoterismo o ermetismo cristiano. Guardiamoci dal considerarla con leggerezza, perché qui ci si dà una delle chiavi principali della magia sacra. Non è il desiderio che porta alla realizzazione magica, ma piuttosto la rinuncia al desiderio (che naturalmente avrete sperimentato in precedenza). Perché la rinuncia attraverso l’indifferenza non ha valore morale – e di conseguenza magico.

Il desiderio, e poi la rinuncia, hanno qui il significato pratico magico di “legge” della ricompensa. Dire che si deve rinunciare a ciò che si desidera equivale a dire che si devono praticare i tre voti sacri – obbedienza, povertà e castità. Perché la rinuncia dev’essere sincera per mettere in moto le forze di realizzazione dall’alto, e non può essere così quando mancano la luce e il calore dei voti sacri. È necessario dunque capire una volta per tutte che non c’è vera magia sacra – né misticismo, gnosi o ermetismo – al di fuori dei tre voti sacri, e che il vero addestramento magico consiste essenzialmente ed esclusivamente nella pratica dei tre voti sacri. È difficile? No, è facile – è la concentrazione senza sforzo che abbiamo citato nella prima di queste Lettere.


Consideriamo ora il resoconto del Vangelo che riguarda gli avvenimenti che fanno seguito alle tre tentazioni. “Allora il diavolo lo lasciò” dice il Vangelo secondo Matteo, ma il Vangelo secondo Luca aggiunge “fino ad altra occasione” (Luca 4:13). Ora, queste parole addizionali danno adito alla supposizione che vi sarà ancora una prova o tentazione – la quarta, che è la più sottile e profonda. Ed è questa a far parte dell’insegnamento del settimo Arcano, che rappresenta un uomo incoronato in piedi su un carro trionfale trainato da due cavalli.

Ed ecco degli angeli vennero a lui …”, ossia ora essi sono stati in grado di avvicinarglisi, poiché si è liberato lo “spazio” necessario alla loro discesa. Perché e in che modo?

Gli Angeli (dal gr. ἄγγελος, messaggero) sono entità che si muovono verticalmente, da sopra a sotto e da sotto a sopra. “Muoversi” significa per loro “cambiare il respiro” e “distanza” equivale per loro al passaggio da inspirazione a espirazione – e all’intensità dello sforzo richiesto. Quindi, per esempio, quando noi diciamo “una distanza di trecento chilometri sulla terra” un Angelo direbbe “tre cambi successivi di respirazione nella sfera degli Angeli”. “Avvicinarsi” significa per gli Angeli un cambiamento nel respiro; “non essere in grado di avvicinarsi” equivale a dire che la “atmosfera” della sfera a cui vogliono avvicinarsi è tale da non permettere loro di respirare, e che essi “sverrebbero” se dovessero entrare in quella sfera.

Questo è il motivo per cui gli Angeli erano incapaci di avvicinarsi al Figlio dell’Uomo nel periodo in cui le forze concentrate dell’evoluzione terrestre – le forze del “figlio del serpente” – erano attive. Esse “occupavano”, per così dire, lo spazio intorno al Figlio dell’Uomo, così che gli Angeli non erano in grado di “respirare” – e quindi non erano in grado di entrarvi senza “svenire”. Ma appena “il diavolo lo lasciò” e l’atmosfera cambiò, essi furono in grado di avvicinarlo, e così fecero.

Si potrebbe aggiungere, come corollario, che la “legge della presenza” già delineata ci dà un solido motivo per riconoscere la necessità delle chiese, e in generale dei templi e dei luoghi sacri o consacrati. Vi sono certamente altre ragioni, ma ciò dovrebbe essere sufficiente, anche se non ci fossero altri motivi, per difendere e proteggere tutti i luoghi sacri. Proteggiamo dunque tutte le chiese, ogni cappella e, infine, ogni tempio dove si prega, si venera, si medita e si celebra Dio e i suoi servi, attraverso i nostri pensieri.


“… ed essi lo servivano”: il plurale “essi” ci indica che si tratta qui di tre Angeli. Ogni tentazione a cui si resiste corrisponde a un Angelo, la cui missione particolare è di ricompensare e di offrire un servizio specifico.

Quali erano, quindi, questi servizi?

Egli si era rifiutato – pur essendo affamato – di trasmutare le pietre in pane; “la parola che viene dalla bocca di Dio” divenne pane, servitogli dall’Angelo della povertà. Si era rifiutato di gettarsi dal Pinnacolo del tempio; l’Angelo della castità gli portò il respiro dalle altezze del trono di Dio. Si era rifiutato di accettare il ruolo di superuomo – di essere re del mondo al prezzo di venerare l’ideale del mondo del serpente; l’Angelo dell’obbedienza gli presentò la corona regale del mondo di Dio.

Proprio come i tre magi offrirono i loro regali al Figlio appena nato – oro, incenso e mirra – così i tre Angeli offrono ciascuno un regalo al Maestro dopo il battesimo nel Giordano e la cresima nel deserto: la corona d’oro, l’effluvio di incenso dal trono di Dio e la parola divina divenuta cibo.

Questo è ciò che accadde immediatamente dopo le tre tentazioni nel deserto. Fu la risposta dall’alto alla triplice rinuncia del Figlio dell’uomo dal basso. Ma quale fu l’effetto delle tentazioni sconfitte non solo per il vincitore e non solo al momento, ma anche per il mondo esterno dei cosiddetti “quattro elementi” e nel corso del tempo?

L’effetto fu qui il dominio sul mondo degli elementi, e ciò che accadde nel corso del tempo furono i sette miracoli archetipali descritti nel Vangelo secondo Giovanni, cioè il miracolo al matrimonio di Cana, il miracolo della guarigione del figlio del nobile, il miracolo della guarigione dell’uomo paralizzato allo stagno di  Bethesda, il miracolo del pasto per i cinquemila, il miracolo della passeggiata sull’acqua, il miracolo della guarigione dell’uomo nato cieco e il miracolo della resurrezione di Lazzaro a Betania. E alla manifestazione di questi sette aspetti della signoria o “gloria” corrisponde la rivelazione dei sette aspetti del nome del Maestro: “Io sono il vero vino”, “Io sono la via, la verità e la vita”, “Io sono la porta”, “Io sono il pane della vita”, “Io sono il buon pastore”, “Io sono la luce del mondo” e “Io sono la resurrezione e la vita”. Questo è l’arcobaleno dai sette colori della manifestazione di “gloria” o signoria ed anche l’ottava dei sette toni della rivelazione del “nome” o missione del vincitore sulle tre tentazioni. E questo arcobaleno brillò sul luogo cupo e vuoto del deserto dove ebbero luogo le tentazioni.


I sette miracoli del Vangelo secondo Giovanni sono, nella loro totalità, la “gloria” (doxa [2]) o splendore della vittoria dei tre voti sacri sulle tre tentazioni. Qui c’è allo stesso tempo un bell’esempio di matematica qualitativa: il triplice bene, quando prevale sul triplice male, produce un settuplice bene, mentre quando il triplice male prevale sul triplice bene, esso produce solo un triplice male. Perché il bene è solo qualitativo, e quando è in grado di manifestare se stesso, si manifesta integralmente, nella sua indivisibile pienezza. È ciò che il numero sette rappresenta – pienezza (pleroma) o, quando si manifesta, “gloria” (doxa), di cui parla S. Giovanni quando dice:

E noi abbiamo contemplata la sua gloria … è dalla sua pienezza che noi tutti abbiamo ricevuto, e grazia sopra grazia.

giovanni 1:14-16

E il primo miracolo, quello del matrimonio a Cana, fu l’inizio della manifestazione della sua pienezza o “gloria”:

Gesù fece questo primo dei suoi miracoli in Cana di Galilea, e manifestò la sua gloria; e i suoi discepoli credettero in lui.

giovanni 2:11

I suoi discepoli credettero in lui” è come dire che essi credevano nel suo nome o missione, che fu rivelata nei suoi sette aspetti dai sette “IO SONO” citati in precedenza dal Vangelo secondo Giovanni.

Ora, l’effetto del trionfo sulla tentazione nel deserto fu la manifestazione dei sette aspetti della signoria o “gloria” (i sette miracoli) e la rivelazione della missione o “nome” del Maestro. E tutto questo non è nient’altro che la manifestazione della gloria del Padre attraverso il Figlio, e la rivelazione del nome del Padre attraverso il nome del Figlio.


Ma esiste anche la possibilità dell’altra “gloria”, cioè la manifestazione della signoria a proprio nome. Le parole del Maestro all’inizio di questa Lettera – “Io son venuto nel nome del Padre mio, e voi non mi ricevete; se un altro verrà nel suo proprio nome, voi lo riceverete” – lo affermano chiaramente. L’esperienza nel dominio dei movimenti occulti, esoterici, cabalistici, gnostici, magici, martinisti, teosofici, antroposofici, rosacruciani, templari, massonici, sufi, yogici, e di altri movimenti spirituali contemporanei, ci fornisce ampie prove che le parole del Maestro non hanno in alcun modo perso la loro attualità, anche nel dominio della scienza o nei movimenti di natura sociale, nazionale, o semi scientifica. Perché per quale altra ragione i Teosofisti, ad esempio, preferiscono i mahatma himalayani – i cui corpi astrali appaiono, attraverso una proiezione, a grande distanza – al Maestro, che non ha mai smesso di insegnare, ispirare, illuminare e guarire, tra noi e vicino a noi – in Francia, Italia, Germania, Spagna, per nominare solo alcuni paesi dove vi sono stati casi ben documentati di incontri con lui – e che disse:

Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, sino alla fine dell’età presente.

matteo 24:20

Per quale altra ragione si cerca un guru tra gli yogi indiani o i Lama tibetani senza dare a se stessi una mezza possibilità di trovare un insegnante illuminato dall’esperienza spirituale nei nostri monasteri o negli ordini spirituali, o tra i fratelli e le sorelle laici che praticano gli insegnamenti del Maestro e che forse sono più a portata di mano? E perché i membri delle società segrete o degli ordini di tipo massonico considerano il Sacramento della Carne e del Sangue del Signore insufficiente all’opera di edificazione dell’uomo nuovo, e perché utilizzano rituali particolari per coadiuvarlo o anche per sostituirlo?

Ebbene, sono tutte questioni che fanno capo alle parole del Maestro: “Io son venuto nel nome del Padre mio, e voi non mi ricevete; se un altro verrà nel suo proprio nome, voi lo riceverete.” Perché? Perché per alcuni il superuomo attrae più del Figlio dell’Uomo, perché egli promette una carriera di potere sempre crescente, mentre il Figlio dell’Uomo offre solamente una carriera nel “lavacro dei piedi”.


Caro Amico Sconosciuto, non interpretare quello che dico nel senso che sono contrario, se non ostile, alle società, alle confraternite e ai movimenti di natura spirituale e iniziatica sopramenzionati, né nel senso che li accuso di attitudine anticristiana. Non attribuirmi una mancanza di rispetto per i mahatma e i guru dell’India. Qui è solo questione della pura tendenza psicologica (che sono stato in grado di osservare in parte ovunque) che preferisce l’ideale del superuomo all’ideale del Figlio dell’Uomo. C’è spazio per aggiungere, al fine di rendere giustizia alle società e alle confraternite menzionate, che se questa tendenza compare dappertutto nel nucleo di queste società e confraternite, è anche perché sia combattuta ovunque in modo più o meno efficace. C’è sempre un’opposizione a questa tendenza, sebbene il più delle volte sia solo l’opposizione di una minoranza.

Ad ogni modo, il cocchiere dell’Arcano “Il Carro” è la vittoria sulle prove, ovvero le tentazioni, e se egli è maestro, deve ringraziare se stesso. È solo, in piedi sul cocchio; nessuno è presente ad applaudirlo o a rendergli omaggio; non ha armi – lo scettro che sorregge non è un’arma. Se è maestro, la sua signoria fu acquisita in solitudine ed egli lo deve solo alle prove e non a qualcuno o a qualcosa di esterno.

La vittoria conseguita in solitudine … quale gloria e quale pericolo comporta allo stesso tempo! È la sola vera gloria, perché non dipende in alcun modo dal favore e dal giudizio umani; è gloria intrinseca – la vera radianza dell’aura divenuta luminosa. Allo stesso tempo, è il pericolo spirituale più reale e più serio che esista. “Orgoglio” e “vanagloria”, i nomi tradizionali che gli si assegna, non bastano a caratterizzarlo in modo adeguato. È più di questo. È, piuttosto, una specie di megalomania mistica, dove si deifica il centro regolatore del proprio essere, il proprio io, e dove si vede il divino solo entro se stessi e si diventa ciechi al divino sopra e oltre se stessi. Il “Sé superiore” è quindi vissuto come Sé mondano unico e supremo, sebbene sia solo superiore in relazione al sé empirico e ordinario, lungi dall’essere l’essere unico e supremo … lungi dall’essere Dio, in altre parole.


Ora, ci si dovrebbe anche soffermare sul problema dell’identificazione del sé con il Sé supremo e del Sé supremo con Dio.

C. G. Jung, dopo aver esplorato lo strato sessuale o “freudiano” dell’inconscio (cioè la consapevolezza latente o occulta), e poi quello “adleriano” della volontà di potenza [3], incontrò, nel corso della sua esperienza clinica e psicoterapeutica, lo strato spirituale (mistico, gnostico e magico).

Invece di ritrarsene e di liberarsene attraverso una “spiegazione” critica, egli ebbe il coraggio e l’onestà di mettersi a studiare laboriosamente la fenomenologia di questo strato dell’inconscio. Tale lavoro risultò proficuo. Jung scoprì non solo le cause di certi disordini psichici, ma anche il processo profondo e interiore che designò come “processo di individuazione”, che altro non è che la nascita graduale di un altro sé (Jung lo chiamò il “Sé”) superiore all’io ordinario. La scoperta del processo della “seconda nascita” lo indusse a estendere considerevolmente la portata del suo lavoro esplorativo, includendo in particolare il simbolismo, i rituali misteriosofici e lo studio comparativo delle religioni antiche e contemporanee.

Anche questo ampliamento del campo esplorativo si rivelò proficuo. L’arrivo di Jung a questa scoperta (che in un primo momento lo turbò, impedendogli di parlarne ad anima viva per quindici anni) ebbe il suo carico di conseguenze, inclusa la conoscenza e la descrizione di alcuni pericoli o tentazioni che appartengono alla via dell’iniziazione e al processo di individuazione corrispondente. Uno di questi pericoli, che sono allo stesso tempo prove e tentazioni, è quello che Jung designò con il termine “inflazione”, lo stato di coscienza del sé gonfiato all’eccesso, noto in psichiatria nella sua manifestazione estrema con il termine “megalomania”. 

Andiamo quindi ad occuparci di una gamma di fenomeni psichici che vanno da una manifestazione in forme relativamente innocenti – come un’alta opinione di sé non interamente giustificata, o il desiderio un po’ esagerato di essere unici – ma che divengono piuttosto pericolosi quando si manifestano come disprezzo verso chiunque … essendo le capacità di apprezzamento, gratitudine e venerazione concentrate su di sé, e che alla fine conducono a una catastrofe raramente curabile, quando si rivelano come ossessioni sorrette da fenomeni illusori, o come pura e semplice megalomania. Sono questi i pericoli principali dell’inflazione: importanza esagerata data a se stessi, complesso di superiorità tendente all’ossessione e, infine, megalomania. Il primo grado rappresenta il compito di lavorare su se stessi; il secondo grado è una prova severa; mentre il terzo è la catastrofe.

Di cosa si tratta nel  processo di inflazione? Diamo prima uno sguardo a ciò che dice Jung:

La “personalità sovraordinata” è l’uomo totale, e precisamente come l’uomo è effettivamente e non soltanto come sembra a se stesso. Alla totalità appartiene anche la psiche inconscia che ha le sue esigenze e le sue necessità vitali non meno della coscienza … Abitualmente io chiamo la “personalità sovraordinata” “sé”, distinguendo, in questo modo, nettamente tra l’io che, com’è noto, arriva soltanto fin dove arriva la coscienza, e la totalità della personalità, in cui oltre alla parte cosciente è compresa anche quella inconscia. L’Io sta dunque al “sé” come una parte sta alla totalità. È in questo senso che il “sé” è sovraordinato. Anche empiricamente, il “sé” non si presenta come soggetto, bensì come oggetto, appunto per via della parte incosciente che non arriva alla coscienza se non indirettamente, precisamente per proiezione.

c. g. jung e K. Kerényi – prolegomeni allo studio scientifico della mitologia – torino 1972, pp. 212-213.

Ora, questo “per proiezione” è simbolismo vivente – simbolismo tradizionale e anche simbolismo che si manifesta nei sogni, nella “immaginazione attiva” e nelle visioni. I sogni, quando osservati in serie (spesso di diverse centinaia), sembrano obbedire a una specie di piano. Paiono in relazione l’uno all’altro, subordinati in senso profondo a un obiettivo comune:

… nel loro senso più profondo … sembrano … essere subordinati a un obiettivo comune, così che una lunga serie di sogni non appare più  come una stringa senza senso di eventi incoerenti e isolati, ma rassomigliano ai passi successivi di un processo di sviluppo pianificato e ordinato. Ho chiamato questo processo inconscio che si esprime spontaneamente in una lunga serie di sogni processo di individuazione.

c. g. jung – the Structure and Dynamics of the Psyche – london 1972, pp. 289-290.

Il processo di individuazione è “la realizzazione spontanea dell’uomo totale” (ibid., p.292). Perché la formula che d’ora in avanti vale per il concetto di anima è: “psiche = io-coscienza + inconscio” (C. G. Jung – The Practice of Psychotherapy – London 1954, p. 90). In merito al ruolo dell’inconscio in questa formula, è necessario prendere nota del fatto che

… in ogni bambino la coscienza va oltre l’inconscio nel corso di pochi anni, e anche che la coscienza è sempre e solo uno stato temporaneo basato su una performance psicologica ottimale interrotta regolarmente dalle fasi di incoscienza (sonno), e infine che la psiche inconscia non solo possiede una lunga fase vitale ma è continuamente presente (cioè assicura la continuità dell’essere).

ibid., p. 91

Ora, il processo di individuazione è quello dell’armonizzazione del sé conscio con l’inconscio nella psiche. Ma “il conscio e l’inconscio non fanno la totalità quando uno di loro è soppresso e ferito dall’altro.” (C. G. Jung – Conscious, Unconscious and Individuation – London 1959, p. 288). È questione di un’armonizzazione che è solamente realizzabile per mezzo di un ri-centrarsi della personalità, cioè con la nascita di un nuovo centro della personalità, che partecipa della natura dell’inconscio in aggiunta al sé conscio – un centro, in altre parole, dove l’inconscio si trasforma perpetuamente in coscienza. Questo è lo scopo del processo di individuazione, che è allo stesso tempo una fase dell’iniziazione.

Il processo di individuazione opera, come abbiamo detto, stabilendo una collaborazione tra l’inconscio e il conscio. Il dominio dei simboli permette una tale collaborazione ed è qui, di conseguenza, che essa può iniziare. Nel processo di individuazione si incontrano – o piuttosto ci si risveglia – alle forze-simbolo che Jung designò, in considerazione del loro carattere tipico, con il nome di “archetipi”:

L’archetipo – non dimentichiamolo – è un organo psichico presente in tutti noi. Una cattiva interpretazione significa una corrispondente attitudine negativa verso questo organo, che così può essere danneggiato. Ma il malato finale è lo stesso cattivo interprete. Per cui la “interpretazione” dovrebbe sempre essere tale da preservare inalterato il significato funzionale dell’archetipo, in modo che venga assicurata una relazione adeguata e appropriata tra la mente conscia e l’archetipo. Perché l’archetipo è un elemento della nostra struttura psichica e quindi un componente vitale e necessario per la nostra economia psichica … Non c’è un sostituto “razionale” per l’archetipo non più di quanto ce ne sia per il cervelletto o i reni.

C. G. JUNG E K. KERÉNYI – introduction to a science of mythology – london 1951, pp. 109-110.

Ora, non dobbiamo prendere gli archetipo con leggerezza. Sono forze psichiche formidabili che possono anche invadere, inondare e travolgere la coscienza. Questo è ciò che accade nel caso di identificazione della coscienza con l’archetipo. Allora si produce, più spesso di quel che si pensa, un’identificazione con il ruolo degli eroi ( e talvolta – quando si tratta dell’archetipo chiamato “il vecchio saggio” o “la grande madre” – l’identificazione con una figura cosmica).

A questo stadio c’è di solito un’altra identificazione, questa volta con l’eroe, il cui ruolo è allettante per una molteplicità di ragioni. L’identificazione è spesso estremamente tenace e pericolosa per l’equilibrio mentale. Se può essere analizzata e ridotta a proporzioni umane, la figura dell’eroe si può scindere nel simbolo del sé.

ibid., p. 137

E, aggiungiamo, se ciò non accade, la figura dell’eroe prende possesso della coscienza. In seguito, ha luogo la “seconda identificazione” – o ”epifania dell’eroe”:

L’epifania dell’eroe (la seconda identificazione) si manifesta in un’inflazione corrispondente: la pretesa colossale cresce nella convinzione che si è qualcosa di straordinario, oppure l’impossibilità della pretesa non soddisfatta dimostra solo la propria inferiorità, che è favorevole al ruolo del sofferente eroico (inflazione negativa). Nonostante la loro contraddizione, entrambe le forme sono identiche, perché l’inferiorità compensatoria inconscia concorda con la megalomania conscia, e la megalomania inconscia con l’inferiorità cosciente (non si ha mai l’una senza l’altra). Una volta che lo scoglio della seconda identificazione è stato circumnavigato, i processi coscienti possono essere distintamente separati dall’inconscio, e quest’ultimo osservato oggettivamente. Ciò conduce alla possibilità di un’intesa con l’inconscio, e quindi a una possibile sintesi degli elementi consci e inconsci di conoscenza e azione. Questo a propria volta porta a uno spostamento del centro della personalità dall’io al sé.

ibid., pp. 137-138

Questo è lo scopo del processo di individuazione.


Ora, l’inflazione è il rischio principale che attende le persone che cercano l’esperienza di profondità, l’esperienza di ciò che è occulto, che vive e opera dietro la facciata dei fenomeni della coscienza ordinaria. Quindi, l’inflazione costituisce il pericolo e la prova principale per gli occultisti, gli esoteristi, i maghi, gli gnostici e i mistici. I monasteri e gli ordini spirituali lo hanno sempre saputo, grazie all’immensa mole di esperienza accumulata nei millenni nell’ambito della vita profonda. Questo è il motivo per cui la loro intera pratica spirituale è basata sulla coltivazione dell’umiltà, con mezzi come la pratica dell’obbedienza, l’esame di coscienza e il reciproco aiuto fraterno dei membri della comunità. Perciò, se Sabbatai Zevi [4] fosse stato un membro di un ordine spirituale con una disciplina simile a quella degli ordini e dei monasteri spirituali cristiani, la sua illuminazione non lo avrebbe mai condotto a rivelarsi (nel 1648) a un gruppo di discepoli come il Messia promesso. Né avrebbe dovuto diventare turco per salvarsi la vita e continuare la sua missione (“Dio mi ha fatto turco-ismaelita [5]; egli ha comandato, e io ho obbedito – il nono giorno dopo la mia seconda nascita”, scrisse a Smyrna rivolto ai suoi seguaci). Perché gli sarebbe stata risparmiata l’inflazione positiva, così come gli sarebbe stata risparmiata l’inflazione negativa di cui Samuel Gandor [6], suo discepolo, dà la descrizione che segue:

È detto di Sabbatai Zevi che per quindici anni egli fu piegato dalla seguente afflizione: era perseguitato da una depressione che non gli lasciava un momento di calma e che non gli permetteva nemmeno di leggere, senza che fosse in grado di dire qual era la natura di questa tristezza che gli giungeva.  

gerschom scholem – Major Trends in Jewish Mysticism – london 1955, p. 290

La storia del cabalista illuminato Sabbatai Zevi è solo un caso estremo dei pericoli e delle prove che devono affrontare tutti gli esoteristi praticanti. Davvero. Hargrave Jennings [7] esprime queste prove e pericoli relativi ai rosacruciani in modo efficace:

Parlano dell’umanità come fosse infinitamente al di sotto di essi; il loro orgoglio è al di là di ogni immaginazione, sebbene esteriormente appaiano quieti e umili. Gioiscono della povertà, dichiarando che è lo stato a loro imposto; e, ciò nonostante, vantano ricchezze universali. Declinano tutti gli affetti umani, o vi si sottomettono solo in quanto scappatoie opportunistiche – apparenze di obblighi amorosi, che sono assunti per convenienza. Si mescolano con eleganza al mondo delle donne, con i cuori totalmente incapaci di tenerezza; mentre le criticano con compassione e disprezzo nelle loro menti come un ordine di esseri del tutto diversi dagli uomini. Esteriormente sono molto semplici e deferenti; eppure, l’autostima che riempie i loro cuori cessa il suo espandersi autoglorificante solo in presenza dei cieli sconfinati … In confronto agli adepti ermetici, i monarchi sono poveri, e i loro averi spregevoli. Per quanto riguarda i saggi, i più eruditi sono meri stolti e teste di legno … Così, verso l’umanità essi sono negativi; verso ogni altra cosa, positivi; autosufficienti, auto-illuminati, auto-ogni cosa; ma sempre pronti (anzi, si impongono) a fare del bene, ovunque sia possibile o sia sicuro farlo. A questa incommensurabile esaltazione di se stessi, quale criterio di misura, o quale apprezzamento, si può applicare? I giudizi ordinari non possono adeguarsi a queste idee. O lo stato di questi filosofi occulti è all’apice del sublime, o all’apice dell’assurdità.

hargrave jennings – the rosicrucians. Their Rites and Mysteries – london-new york 1887, pp.30-31

Diciamo assurdo e anche sublime, perché l’inflazione è sempre allo stesso tempo sublime e assurda.


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