Il Sole nell'oroscopo è l'immagine del Logos, il principio permanente che si manifesta nell'individuo come impulso vitale

Il mito e la sua esegesi
L’attribuzione mitologica dell’astro alla divinità appare a prima vista piuttosto complessa. Nel pantheon greco vi sono due figure rappresentative del ruolo solare, Elios ed Apollo.
Elios (gr. ἥλιος), imparentato etimologicamente con il latino Sol e il sanscrito Sūrya, è considerato nella Grecia classica una divinità minore, non facente parte delle dodici divinità olimpiche; nella tarda antichità il suo ruolo, grazie anche all’identificazione con gli dèi solari del periodo romano, acquista una maggiore visibilità. Figlio dei Titani Iperione (dio della luce e dell’attenzione vigilante) e di sua sorella Teia (dea della vista), Elios diviene la personificazione del sole fisico; infatti, tra i suoi epiteti e soprannomi (che a volte sono interpretati come divinità minori) ricordiamo Elektor (il radiante), Terpsimbrotos (che rallegra i mortali) e Hekatebolos (dalle rapide frecce, con riferimento ai raggi solari).
Elios è normalmente raffigurato come un bel giovane incoronato da una corona o un’aureola di raggi solari, che percorre quotidianamente il cielo a bordo del suo carro trainato da quattro destrieri. Oltre ad essere visto come una personificazione del disco solare, Elios rappresenta il potere creativo insito nella sua manifestazione fisica, sorgente di vita e di rigenerazione.
Ma veniamo al conflitto di attribuzioni. Apollo, lui sì divinità olimpia a buon diritto, essendo figlio di Zeus e Leto, è riconosciuto principalmente come dio del tiro con l’arco, della musica, della danza, della profezia, della guarigione e delle malattie, protettore dei pastori e delle greggi, votato alla cura della gioventù: come si può notare un dio dalle complesse e molteplici attribuzioni. Nella letteratura omerica Apollo è anche un apportatore di pestilenze, mandate all’umanità con le frecce scagliate dal suo arco. È solo nel più tardo periodo ellenistico, nel culto e nei testi filosofici, che inizia a prendere piede la sua identificazione – come dio della luce – con il Sole, nel culto di Febo (dal gr. Φοῖβος, brillante), il Phoebus dei latini, uno degli epiteti di Apollo; pure i poeti della classicità latina iniziano ad usare Phoebus come soprannome del dio Sol. Ma vi è da dire che, nella maggior parte delle narrazioni mitologiche, Apollo e Elios appaiono distinti, se non per la comunanza del soprannome.
È nella tarda antichità, in quel periodo di transizione tra l’antichità classica e il medioevo europeo, che Elios inizia ad assumere tratti ed elementi di altre divinità. Nel 274 d.C., il 25 dicembre, l’imperatore Aureliano istituisce il culto del Sol Invictus, che raccoglie elementi sincretistici da altre divinità come Mitra e Arpocrate, l’ellenizzazione del dio Horus. Ma è con Giuliano, l’ultimo imperatore pagano, che assistiamo all’apoteosi della figura di Elios, che diviene la divinità primaria. Giuliano, imperatore filosofo e autore di testi in greco, combina elementi del mitraismo con le dottrine neoplatoniche, ed Elios appare espressione di una trinità: l’Uno, che governa il reame delle forme platoniche; Elios-Mitra, il dio del reame intellettuale; e il Sole, la manifestazione fisica di Elios sul piano fisico. Elios, come espressione centralizzante di questa trinità, viene anche interpretato in senso cristico come il Logos, la parola divina.
È in questa tripartizione, che ci rammenta le operazioni esoteriche di neutralizzazione del binario, che forse va letta l’associazione venutasi a creare tra le figure di Apollo e Elios. L’Uno ineffabile, puro potenziale di manifestazione, per divenire attuale si svela come energia e materia, dalla cui successiva ierogamia, o attrazione, nasce il piano delle forme. Con l’introduzione del quarto termine, che è come una replica immanente del trascendente Uno, si chiarisce così la duplice attribuzione del Sole, di cui Elios rappresenta il veicolo fisico – il carro del Sole da lui condotto nella sua corsa quotidiana ne è una chiara immagine – mentre Apollo ne conserva i tratti spirituali. In senso più ampio possiamo supporre che alcune delle qualità apollinee siano come espressioni dell’energia solare datrice di vita, la cui armonizzazione nell’individuo è fonte di salute (Apollo guaritore), mentre in caso di conflitti si scatena la malattia (Apollo apportatore di pestilenze). Così è anche per la sua bellezza, per il patronato sulla gioventù, ecc. Tutto in lui rivela il ruolo centrale del sole, ma come celato dall’apparenza delle sue manifestazioni. È il Sole nascosto, il Sole dietro il sole.
Nella latinizzazione del culto Elios appare però associato al dio-toro Mitra, o meglio a quei misteri mitraici che tanto seguito ebbero nell’Impero Romano a partire dall’avvento del cristianesimo e sino al IV sec. d.C. Il carattere ‘misterico’ dei riti ha sempre reso ostico lo schiudersi di una reale comprensione del mitraismo, che in passato venne associato a culti iranici preesistenti. La tesi accettata oggi, che i misteri mitraici abbiano un carattere di relativa originalità, offre una spiegazione solo all’apparenza più soddisfacente. Senza entrare in dettagli che ci porterebbero fuori discorso, il culto mitriaco si rivela come una successione di stati che portano l’iniziato al superamento della natura taurina in senso animale, sino alla sua integrazione sul trono dell’Aquila, l’elevazione e liberazione finali dal dominio della natura asservita agli istinti; e il ‘muggito’ che risuona dalla gola dell’officiante è la testimonianza dell’avvenuto aggiogarsi del toro. Ritroviamo un segno di questa strenua lotta nei simbolismi astrologici del Toro e dello Scorpione: quando la natura taurina viene ‘punta’ dalla coda velenosa dello Scorpione, il segno opposto, il legame con la densità terrena si scioglie e lo Scorpione diviene Aquila, ri-solve la contraddizione dualistica spirito-materia annunciandone la liberazione dai vincoli.
In merito all’associazione Sole-Mitra di cui si trova traccia, da alcuni essa viene considerata come una glossa erroneamente inserita da qualche amanuense; l’iniziato di Mitra infatti è colui che ‘sconfigge’ il Sole, che lo sfida faccia a faccia sino ad integrarlo in sé divenendo a sua volta un ‘centro’. Ma la contraddizione è solo apparente, perché se la finalità è quella di assumere il ruolo centrale e centralizzante del Sole, il significato della doppia attribuzione torna a chiarirsi: Mitra ‘risolve’ il Sole facendo sì che il microcosmo umano, attraverso il centro di sé riconquistato, divenga una fedele parvenza del macrocosmo in cui l’astro centrale, con il suo corteggio di pianeti, si fa immagine visibile dell’avvenuta ricongiunzione.
Il simbolismo solare
Il tentativo di stabilire una distinzione ontologica tra il Sole come nodo vitale del sistema-individuo e i piani di orizzonte e meridiano (e poi ASC e MC), che configurano dal punto di vista terrestre la croce dell’incarnazione, non è agevole, nel senso che si tratta di due sistemi di riferimento distinti che tuttavia formano entrambi l’individualità umana. Gli assi della carta del cielo dovrebbero intendersi come l’architettura del campo della coscienza, ovvero la forma attraverso la quale la coscienza si esprime. Il punto di incrocio degli assi è propriamente il motore immobile, punto immateriale che è l’io, il potenziale di manifestazione individuale che si dispiega attraverso gli assi. Ora tutto questo sarebbe una scatola vuota senza la presenza solare, dalla cui ‘luce’ (laddove l’occhio ne è l’espressione somatica) emana l’energia che è vita e visione, il sé, di cui l’io ne rappresenta la fase individualizzante nell’incarnazione terrena (si può ancora paragonare tale rapporto alla diade Puruṣa–Prakṛti del Saṃkhyā [1], o alla natura naturans – natura naturata di Spinoza, fatte le dovute distinzioni). È inteso che il Sole è solo l’immagine del Logos, il principio permanente di cui l’individuo è manifestazione transitoria. Il Sole rappresenta quindi la potenza del Logos che si rivela come principio vitale dell’io individuale il quale a sua volta si manifesta nell’architettura fornita dalla croce dell’incarnazione. E la posizione topocentrica del Sole rispetto a tale architettura – leggi domificazione – rivela le modalità di rappresentazione terrena del principio solare, cioè in che modo e in quale veste il principio si integra nella vita individuale, potremmo chiamarlo il destino primario.
La presenza del Sole nel segno si caratterizza quantitativamente come il gradiente energetico solare in rapporto all’inclinazione dell’asse di rotazione terrestre rispetto al piano orbitale – l’avvicendamento stagionale – e il conseguente maggiore o minore afflusso di energia e di luce nei diversi periodi dell’anno. Questo vale soprattutto per le latitudini della fascia temperata, dove abbiamo la massima varietà e regolarità di condizioni climatiche; mentre equatore e poli rappresentano come delle estremizzazioni, dove l’espressione simbolica del principio solare tocca rispettivamente il massimo dell’esteriorizzazione e dell’interiorizzazione. Naturalmente non possiamo generalizzare; ma il senso è che se la rappresentazione sul piano materiale del simbolismo solare si manifesta come avvicendamento stagionale – in conseguenza come già detto dell’inclinazione dell’asse orbitale rispetto al piano di rivoluzione – allora il particolare apporto energetico che si viene a creare alle varie latitudini non mancherà di generare un modus operandi comune nelle rispettive popolazioni che si rifletterà a cascata nelle espressioni individuali, sociali e spirituali, che tenderanno via via a celarsi con la vicinanza ai poli, per poi raggiungere una maggiore espressività nelle zone equatoriali.
Sul piano della natura individuale, il gradiente solare viene letto come imprinting dato dal sincronizzarsi del nascituro con l’ambiente stagionale circostante. Questo apparentamento analogico si esprime successivamente come modalità espressiva della natura basilare dell’essere, la nota fondamentale che fornisce la particolare intonazione della partitura di un ciclo vitale. Il senso compiuto verrà naturalmente rivelato dall’insieme delle configurazioni planetarie e zodiacali, ma il segno solare è il motivo di fondo, la trama su cui tessere i propri motivi esistenziali.
[1] Il Saṃkhyā (enumerazione o calcolo) è uno dei sei Darśana – visioni o strumenti per la visione della realtà – delle dottrine induiste. Il Saṃkhyā in particolare procede nella disamina della manifestazione attraverso l’esame degli elementi o tattva attraverso cui l’essere si manifesta. Il punto di partenza di questo esame è Prakṛti o la sostanza universale, indifferenziata, da cui procedono tutte le cose; Puruṣa è la coscienza trascendente senza attribuzioni.
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