La genetica come imprinting celeste

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La risposta breve è: entrambe. La risposta lunga è un po’ più complessa.

Quando definiamo l’astrologia come scienza (o arte) delle influenze planetarie sui destini individuali, tendiamo a adoperare il termine “influsso” nel senso di effetto di una cosa su un’altra, presupponendo che vi sia una correlazione spaziale di qualche tipo tra pianeta ed essere umano – o tra i pianeti stessi – che consenta un’azione a distanza. Ma l’astrologia è una scienza eminentemente simbolica, che non opera tramite le dinamiche causali alle quali ci ha abituato l’esperienza terrena. Essa si basa sulla considerazione che il senso, il significato delle configurazioni astrologiche nasce dalla nostra coscienza, che interpreta il fatto esteriore – la sfera celeste in questo caso – traducendolo in forma umana. L’unione di visione oggettiva e percezione soggettiva crea così la nostra esperienza del reale, permettendoci di affermare che ciò che è in alto (il cielo) è come ciò che è in basso (il nostro essere), reso in modo oggettivo perché noi viviamo in ambito dualistico, separati dalla nostra percezione. Ciò non significa che la realtà esteriore non esiste, ma che la nostra consapevolezza è parte integrante della realtà che ci circonda.


Detto questo, anche il nostro genoma, come parte di una natura unitaria, si presenta come espressione sul piano terreno di un progetto che ha la sua controparte astrologica, e che andrà poi a manifestarsi nel fenotipo individuale. Da questo punto di vista, l’imprinting genetico e quello celeste sono le due facce di una stessa medaglia, e diventa difficile rispondere alla domanda, non essendovi una reale separazione. Per poter replicare, è necessario scendere di un gradino e separare nuovamente l’osservatore dal fenomeno.

Quando interpretiamo un tema natale, abbiamo a che fare con una lettura dei potenziali, cioè di quello che potrà essere il destino di un individuo sulla base delle sue configurazioni astrali al momento della nascita. Per sapere con un buon margine di esattezza come questi potenziali si esprimeranno, è necessario conoscere quale sarà il “terreno di coltura” che li ospiterà e li farà crescere e sviluppare; è a questo punto che i vari fattori di completamento – genetici, culturali, familiari, ecc. – renderanno possibile “vestire” la virtualità della configurazione astrale, rendendo di fatto compiuta la ierogamia – lo sposalizio – tra il cielo e la terra.

La risposta al quesito è quindi quella data all’inizio, con un distinguo che dipende dal modo in cui si osservano le cose. Indubbiamente ci appare che la realtà celeste non si concretizzi senza una solida base terrena che ne permetta il manifestarsi, che sia un’eredità di tipo genetico, culturale o altro, e siamo quindi portati ad assegnare un punteggio di parità. Ma, come nell’allegoria della caverna di Platone, pensare che l’una possa esistere senza l’altra è come essere incatenati  in una caverna da cui si vedono solo le ombre della realtà, prendendole per vere. Il simbolo astrologico rivela l’essenza non fisica, essenziale, delle cose, come espresso nella Tavola di Smeraldo di Ermete Trismegisto: “Ciò che è in alto è simile a ciò che è in basso, e ciò che è in basso è simile a ciò che è in alto, per fare il miracolo di una cosa sola”.