Gli stati di sogno e di sonno profondo come una via verso l’unificazione del conoscente e del conosciuto

Il Vijñanabhairava
Il Vijñanabhairava (la Conoscenza del Tremendo) è un testo dello shivaismo kashmiro, sviluppantesi in forma di dialogo tra Bhairava, un’ipostasi del dio Śiva, e la sua stessa potenza, o Śakti divina. Esso fa parte di quelle correnti che seguono un metodo di realizzazione diretto, non mediato cioè da un processo graduale di meditazione, come il Ch’an cinese, lo Zen giapponese e l’Ati Yoga tibetano. L’insegnamento, proposto attraverso varie forme nelle centododici stanze del testo, mira al raggiungimento della conoscenza senza dualità, che è Śiva stesso. Due delle stanze contengono riferimenti allo stato di sogno e ai metodi per propiziare la conoscenza attraverso di esso:
- XXXII, 55: “Colui che mediti il potere della forza vitale (prāṇa-śakti), prima grossa e poi sottile, nello dvadaśanta, e poi, entrandovi mentalmente, la mediti nel cuore, acquisirà la libertà di controllare il suo sogno”.
Commento: lo dvadaśanta è l’ultimo chakra, posto all’esterno sulla sommità del capo; il verso significa che chi è in grado di trattenere la coscienza, nella fase di espirazione del soffio, nell’ultimo chakra, e inspirando di trattenerla nel chakra del cuore, ottiene la libertà dello stato di sogno, ovvero la coscienza permane anche nella fase onirica. I tre stati ordinari dell’uomo sono la veglia, il sogno ed il sonno profondo, a cui si aggiungono il quarto ed il trans-quarto, rispettivamente lo stato che unifica gli stati ordinari e lo stato che è Śiva stesso. Il verso presuppone la conoscenza della pratica basata sul trattenuto del respiro (kumbhaka) e sulla visualizzazione dei canali sottili che veicolano l’energia del soffio.
- LII, 75: “Quando si riesce a cogliere con la mente quello stato ove il sonno non è ancora sopraggiunto e gli oggetti esteriori sono tuttavia spariti, allora si rivela la Suprema Dea”.
Commento: nello stato intermedio tra veglia e sonno la coscienza, non più vincolata dagli oggetti dei sensi, gode della libertà di manifestarsi senza ostacoli. La Suprema Dea (Parā Devī) è la potenza di Śiva, l’espressione del principio creatore, inseparabile dal Dio. Lo stato intermedio tra veglia e sonno, così come quello tra due pensieri, è uno stato non-duale, non-discorsivo, ove si realizza l’inseparabilità della conoscenza dal conoscente.
Il ciclo del giorno e della notte – La via dell’Ati Yoga

Questo testo è stato scritto da Namkhai Norbu, un maestro della tradizione tibetana dello rdzogs-chen (lett. Grande Perfezione). Conosciuto anche come Ati Yoga (Yoga Primordiale), esso sta a indicare il supremo e l’ultimo dei nove veicoli della tradizione buddista tibetana. La pratica si può delineare come lo svelamento di un preesistente stato di integrazione tra soggetto e oggetto. Sul piano dell’oggetto, l’esistenza fenomenica viene compresa nel suo stato fondamentale, ovvero la vacuità [1] nella quale i fenomeni sono presenti alla coscienza in una modalità non concettuale. Sul piano del soggetto, i pensieri e le emozioni o passioni, insieme alle loro tracce, appaiono integrati nello stato fondamentale della mente, che è pura presenza. Poiché nella presenza dello stato originario non vi è alcuna dualità, l’esistenza appare come una manifestazione dell’energia propria dello stato originario stesso. Così sia l’esperienza oggettiva che quella soggettiva sono completamente purificate da ogni loro potere condizionante rispetto alla coscienza: questa viene detta via dell’autoliberazione. Addormentandosi nella presenza di questo stato anche il sonno profondo e la fase del sogno diventano un’occasione di realizzazione ed un’anticipazione del momento alla fine della vita.
Il ciclo del giorno e della notte è diviso in due sezioni. Nella prima parte si delineano i metodi per integrare soggetto e oggetto; nella seconda parte, qui esposta e commentata, si presentano i metodi della notte che consistono nella pratica della sera e in quella del mattino:
- Alla sera le funzioni sensoriali devono essere rilassate in uno stato equanime.
Commento: prima di addormentarsi è necessario rilassare tutte le funzioni sensoriali, ossia non si deve continuare ad impegnare la mente col ragionamento e il ricordo, bensì ci si rilassa nello stato di attenzione della meditazione.
- L’attenzione meditativa deve essere integrata col sonno. Quando si è sul punto di addormentarsi si visualizzi al centro della fronte la lettera “A” bianca, oppure un pallino, grande come un pisello, di cinque colori luminosi. Si diriga la propria attenzione su quella visualizzazione, quindi ci si rilassi per addormentarsi [2].
- Se ci si addormenta in uno stato non condizionato dai pensieri, con le funzioni dei sensi e della mente vigili ma rilassate, la pura consapevolezza viene a trovarsi nello stato privo di concetti della condizione assoluta: la “luce naturale”.
- Un altro modo di praticare consiste nell’osservare l’istantanea presenza a se stessi: in essa non c’è nulla da notare, né lo stato di quiete, né quello del movimento, solamente appare una chiarezza; si rimanga in questa limpida consapevolezza e così ci si addormenti.
- Il sonno che ne consegue diventa la causa secondaria della chiarezza nella condizione assoluta; perciò, la pura consapevolezza si immerge completamente nella condizione essenziale della realtà: per tutto il tempo che dura il sonno profondo la pura consapevolezza dimora esclusivamente nella condizione assoluta.
Commento: per integrare l’attenzione della meditazione col sonno si possono adottare due metodi a seconda delle capacità individuali. Il primo metodo consiste nel visualizzare la lettera A bianca e luminosa nel centro della fronte. Se non si soffre di insonnia questo tipo di visualizzazione facilita il controllo dell’energia sottile (san. prāṇa); altrimenti si può visualizzare un piccolo pallino di cinque colori luminosi nello stesso punto. Questa seconda visualizzazione è più indicata per chi non prende sonno facilmente, ed è molto efficace per controllare le funzioni degli elementi del corpo (terra, acqua, fuoco, aria). La visualizzazione è un supporto all’attenzione; con l’attenzione su questa visualizzazione ci si rilassa per addormentarsi. Quando ci si rilassa è molto facile lasciarsi condizionare dai pensieri; naturalmente non si deve cercare di bloccarli; tuttavia, se si fa la pratica correttamente ad un certo punto il sonno viene senza che il pensiero si intrometta. Lo stato di coscienza che affiora nel sonno profondo è chiamato “luce naturale” (tib. rang bzhin ‘od gsal): la pura consapevolezza integrata con la condizione assoluta.
Il testo spiega anche un altro metodo, più indicato per chi ha difficoltà con il precedente. Sicuramente prima di dormire si hanno dei pensieri; allora, quando sorge un pensiero c’è sempre il momento in cui inizia: se si è presenti a se stessi in questo primo istante non si è condizionati dal pensiero. Ovviamente non è necessario avere dei pensieri. Poiché non si è ancora addormentati, si è in grado di percepire ogni cosa tramite i sensi: anche durante la sensazione di un attimo si può essere presenti a se stessi. In questa condizione di semplice presenza a sé non c’è nulla da identificare, non è necessario trovare uno stato di quiete né riconoscere il movimento mentale: semplicemente c’è una limpida consapevolezza che viene mantenuta nonostante i pensieri e le funzioni sensoriali. In questo stato ci si addormenta. L’attenzione non deve essere forzata, altrimenti è difficile prendere sonno; ciò che disturba è solamente il pensiero, la stessa preoccupazione, ma se si è presenti a sé quando sorge il pensiero non se ne è più condizionati.
Questo modo di addormentarsi fa sì che appaia la chiarezza della condizione assoluta durante la fase del sonno profondo (quella senza sogni). Anche se tutte le funzioni sensoriali e mentali, integrate con la pura consapevolezza, si sono dissolte nella vacuità che costituisce la condizione essenziale dell’esistenza (san. dharmadâtu, tib. chos dbyings), gli oggetti sensoriali non sono certamente spariti, e tuttavia si dimora unicamente nella contemplazione della loro condizione assoluta (san. dharmatâ).
- La pura consapevolezza è completamente svincolata dalle condizioni latenti del corpo, del mondo fenomenico e della mente; perciò, i pensieri non sorgono ed essa dimora nella condizione assoluta: questa è la misura della reintegrazione con la luce naturale.
Commento: durante il sonno profondo i sensi non funzionano come nella veglia; si dice che sono svaniti internamente, sicché la pura consapevolezza non è condizionata dalle abitudini e dai limiti del corpo, dell’esperienza diurna e della mente. Finché non si comincia a sognare non sorgono i pensieri; perciò, la pura consapevolezza dimora unicamente nella condizione assoluta; questo significa che si riesce a fare la pratica della “luce naturale”, anche chiamata “chiara luce”. Se ciò accade, nella fase seguente si è anche in grado di sognare consapevolmente.
Quando si riesce a integrare la pura consapevolezza col sonno è segno che si ha anche la capacità di passare attraverso l’esperienza della morte nel medesimo stato: infatti il sonno corrisponde alla morte. La condizione della luce naturale si ripresenterà al momento della morte durante il “periodo intermedio della condizione assoluta” (tib. chos nyid bar do). La fase seguente del sogno equivale, quando si muore, al “periodo intermedio dell’esistenza” (tib. srid pa’i bar do); anche qui, se si è consapevoli, si hanno molte possibilità di liberarsi dall’illusione della trasmigrazione perché la mente non è più condizionata dal corpo, è perfettamente chiara e quindi si è in grado di capire più facilmente che non durante la vita.
- Durante il sonno profondo non appare alcun pensiero e la pura consapevolezza, immersa nella madre, dimora nella condizione assoluta.
Commento: quando si dorme, lo stato contemplativo corrisponde al sonno senza sogni: qui i pensieri non si presentano e la pura consapevolezza è perfettamente integrata con la madre della realtà, ossia la condizione assoluta degli oggetti sensoriali.
- Successivamente, quando sorge il sogno, lo si riconosce come tale, sicché si è liberi dall’illusione ed esso diventa un mezzo per la manifestazione della pura dimensione e della sapienza di un Illuminato.
Commento: il sogno è la fase attiva che segue quella puramente contemplativa della luce naturale. Essendo in grado di addormentarsi nella pura consapevolezza i sogni sono lucidi. Diventando consapevoli durante il sonno si è liberi di guidare il proprio sogno e, di conseguenza, se ne comprende la natura illusoria. Il riconoscimento del sogno in quanto tale fa sì che l’esperienza onirica diventi l’occasione in cui si manifesta la sapienza e la pura dimensione di un Illuminato. La comprensione della vera natura del sogno influenza anche la consapevolezza della veglia, e viceversa. Se durante la veglia si è condizionati dalle proprie emozioni, lo stesso accade anche durante il sonno.
- Questa è la misura della familiarità con la pratica: quando nel sonno si sogna si riconosce il sogno in quanto tale e si dimora nell’equanimità liberi dal condizionamento del desiderio che contrappone piacere e dolore; inoltre sorge la sapienza cosicché tutti i fenomeni appaiono propizi; ed essendosi interrotta la continuità dell’illusione tutto dimora nella condizione assoluta.
Commento: il criterio in base al quale si può misurare la propria familiarità con la pratica è dato dal sogno. Durante il sonno il sogno è lucido e si dimora in una condizione in cui la pura consapevolezza non è più smossa né dal piacere né dal dolore. Tramite il sogno sorge la sapienza, cosicché tutti i fenomeni appaiono positivamente come un mezzo per realizzare il loro vero stato. Quando si interrompe la continuità dell’illusione onirica ogni cosa dimora nella condizione assoluta.
Un tale praticante permane nella condizione assoluta sia di giorno che di notte; perciò, si può illuminare nell’intervallo tra due respirazioni. Ciò significa che ci si può realizzare in un attimo durante la vita, oppure quando cessa il respiro al termine della vita.
I sei yoga di Naropa

I sei yoga di Naropa fanno parte della cosiddetta “fase di completamento” (o perfezionamento) delle pratiche seguite dalla scuola tibetana bKa’-brgyud-pa. Esse consistono negli yoga:
- Del calore psico-fisico (gTum-mo)
- Del corpo illusorio (sGyu-lus)
- Dello stato di sogno (mi-lam bar-do)
- Della Chiara Luce (‘od-gsal)
- Dello stato intermedio (bar-do)
- Del trasferimento del principio cosciente (‘pho-ba)
Nella pratica dello “yoga dello stato di sogno”, di cui qui si fa menzione, il discepolo sviluppa innanzitutto la consapevolezza del fatto che sta sognando. Comprendendo che la situazione in cui si trova è puramente onirica, ossia che ciò che appare è frutto del suo stato mentale, egli comincia ad avere il controllo sul sogno, producendo ogni tipo di apparizione, trasformando gli elementi del sogno, ecc. La comprensione dell’irrealtà e della vacuità di questi fenomeni derivati dalla propria mente ne esce così rafforzata, e il praticante inizia a capire che il mondo onirico e il mondo dello stato di veglia sono di identica natura. I fenomeni di questi due livelli di coscienza sono visti come delle costruzioni mentali in ultima analisi vuote, senza esistenza né sostanza. Questo yoga permette pertanto di estendere la padronanza dello stato onirico allo stato di veglia: la relazione col mondo viene purificata grazie all’indebolimento indotto sulla personalità transitoria. Esso è considerato complementare allo yoga del Corpo Illusorio, la cui pratica mira al riconoscimento della natura illusoria del proprio corpo e di tutti gli oggetti esterni. Alcune delle pratiche descritte di seguito sono chiaramente destinate a praticanti avanzati che hanno ricevuto le iniziazioni e istruzioni specifiche. Tuttavia, alcuni passi risultano significativi anche per un praticante occidentale.
I metodi per riconoscere il sogno sono:
- Quello secondo i sutra [3] che consiste nella
- Ferma determinazione (durante il giorno) di voler essere consapevoli del sogno che si farà nella prossima notte.
- Convinzione che anche le esperienze fatte da sveglio sono insostanziali come le esperienze di sogno.
- Respirazione di purificazione delle nadi e trattenimento dell’aria sotto l’ombelico [4].
- Visualizzazione sopra la testa del proprio yi-dam [5].
- Meditazione sulla lettera AH [6] rossa all’interno del canale centrale nel chakra della gola.
- Quello secondo i tantra [7] che consiste nell’osservare il sogno e riconoscerlo come tale. Per fare questo:
- Durante il giorno il praticante si concentra sul “chakra del godimento” alla gola operando una serie di visualizzazioni e respirazioni.
- All’ora di andare a letto, ci si pone a dormire comprimendo le arterie della gola e tappandosi le narici, facendo in modo che la saliva si accumuli in gola.
- Prima di addormentarsi ci si concentra su una serie di respirazioni e visualizzazioni. Per chi trova difficoltà, la tappa successiva consiste nel visualizzare un pallino (tib. thig-le, san. bindu) bianco tra le sopracciglia e nel fare la respirazione a vaso [8] per 7 volte prima di addormentarsi. Oppure si visualizza un thig-le nero nel “luogo segreto” (l’organo sessuale) e si pratica la respirazione a vaso per 21 volte prima di addormentarsi. Per riuscire in tutto ciò occorre condurre una vita regolare senza preoccupazioni mondane e seguire un’alimentazione equilibrata.
- Con la suddetta visualizzazione si porta il prana, la forza vitale, nel canale centrale, fino al sorgere di quattro progressive manifestazioni della vacuità. Quando questo si verifica, lo yogi aspetta l’emergere del sogno, concentrandosi per trattenerlo il più a lungo possibile e cercando di pensare – nel momento stesso del sognare – che l’apparizione ottenuta appartiene al sogno.
- Vincere qualsiasi paura che si prova durante il sogno; se il sogno è terrificante, pensare che è reale solo da un punto di vista onirico e quindi è innocuo.
- Trasformare il contenuto del sogno, ovvero trasformare il proprio corpo o l’oggetto sognato in un’altra cosa (ad es. un animale in una casa), oppure moltiplicare una cosa sola in molte altre uguali o nel ridurre molte cose ad una. Si arriva così a comprendere che le forme e i molteplici contenuti del sogno sono semplici giochi della mente privi di concretezza come i miraggi, e che la natura di tutte le cose percepite nello stato di veglia è ugualmente non reale. Quando si è impratichito di tali tecniche, lo yogi visualizza se stesso come il proprio yi-dam che si trasferisce in qualche paradiso samsarico [9]; successivamente pratica il viaggio nella “Terra Pura” di qualche Buddha [10], dove gli rende omaggio ed ascolta il suo insegnamento: a tal fine, quando sta per addormentarsi, visualizza un thig-le rosso nel chakra della gola con la convinzione che vedrà quella Terra Pura.
- Nel comprendere che il carattere di apparizione del sogno è della natura della nostra mente, cioè che entrambi sono privi di entità propria. Per fare ciò si visualizzano le forme e i corpi, quali sono visti nello stato di sogno, come fossero apparenze di deità, concentrando la mente su queste ultime. Conservando la mente stessa sgombra da pensieri, esse vengono assimilate alla condizione di non-pensiero della mente. Alla fine, si comprende che il contenuto dello stato di veglia come quello dello stato di sogno è un fenomeno illusorio, non esistente di per sé.
Si può quindi dire che lo “yoga dello stato di sogno” utilizza l’esperienza onirica per comprendere il modo in cui la mente s’illude durante lo stato di veglia, credendo alla realtà di un “io” e alle sue proiezioni. Così, a partire dalla presa di coscienza del sogno nel sogno stesso, si è in grado di trascendere le limitazioni ordinarie imposte fisicamente o psichicamente dallo stato di veglia, diventando capaci di volare nello spazio, camminare sull’acqua, trasformare il proprio corpo, ecc.
Nello “yoga della Chiara Luce” il sonno profondo, di cui non si ha alcun ricordo da svegli, non è più un momento di assenza della coscienza personale: lo yogi, consapevole della natura della mente, sperimenta durante questo stato un senso di apertura e di chiarezza, unione della natura fondamentale della mente con la vacuità, detto “Chiara Luce fondamentale” (gzi’i ‘od-gsal). Così il sonno profondo diventa l’opportunità di ricollegarsi alla reale natura che caratterizza l’esperienza umana, la cui pratica durante la vita può essere determinante nel momento del trapasso, durante la fase del bar-do che è simile al sonno profondo [11]: il morente, stabile nello stato naturale di Chiara Luce, non affonda nell’incoscienza – perché si pone al di là della coscienza personale connessa al corpo – e può essere liberato.
La “Chiara Luce” esprime l’esperienza della coscienza che si svuota della polarità soggetto-oggetto. In altri termini, simboleggia la mente non-condizionata, non modificata dal processo di pensiero, che trascende i fenomeni illusori. Questa luce appare quando il soffio (prana) si dissolve nel canale centrale all’altezza del chakra del cuore: essa è simile alla visione di un cielo autunnale all’alba, cioè perfettamente chiaro e vuoto. In quel momento si destano la mente sottilissima e il soffio pure sottilissimo – che ne è il supporto – i quali risiedono nel chakra del cuore (e che normalmente non sono attivi). Questo stato mentale fondamentale quando è in funzione percepisce tutto come chiaro, vuoto ed illimitato come lo spazio.
La Chiara Luce si distingue in:
- Della Base, primordiale o fondamentale, detta “Chiara Luce Madre”; è la condizione del pensiero nel suo stato libero da ogni condizionamento dualistico e concettuale, ossia è la condizione originaria dell’individuo, pura e perfezionata sin dall’origine.
- Della Via, detta “Chiara Luce Figlia”; è l’esperienza della condizione innata di cui al primo punto, ottenuta non spontaneamente ma grazie al potere della meditazione, portando il soffio a dissolversi nel canale centrale. La “Chiara Luce Figlia” è il mezzo per poter riconoscere la “Chiara Luce Madre”.
- Del Frutto, detta “Chiara Luce Unione della Madre e della Figlia”, che consiste nel vedere l’identità della “Chiara Luce Figlia” – sperimentata attraverso la meditazione – e della “Chiara Luce Madre” – che è da sempre la natura non-duale della mente.
Questo yoga è un metodo per riconoscere la chiarezza e la luminosità della mente mentre si dorme, conservando uno stato cosciente ma privo di pensiero discorsivo, dal momento in cui si perde la coscienza sensoriale sino all’inizio dell’attività onirica. Il praticante, pertanto, si allena a mantenere una chiara presenza durante il sonno particolarmente nella sua fase iniziale. Il procedimento utilizza una serie di visualizzazioni sulle sillabe mantriche, la respirazione a vaso, una posizione distesa sul giaciglio detta del leone coricato (sul fianco destro, la mano destra sotto la testa e le gambe leggermente ripiegate). Scivolando nel sonno egli rimane cosciente; portando quindi il soffio nel canale centrale emergono i segni del miraggio, del fumo, delle lucciole, della luce della lampada a burro [12], quindi le apparizioni bianca, rossa e nera ed infine – simile ad un cielo senza nubi – la Chiara Luce Madre, priva di tutti i pensieri discriminanti. Riconoscendo questa luce come tale, lo yogi ottiene la visione della “Chiara Luce Unione della Madre e della Figlia”.
Con questo yoga il praticante potrà realizzare lo stato perfetto di buddha quando verrà il momento della morte: se la Chiara Luce è stata riconosciuta durante la vita, alla morte il praticante la riconoscerà ancora una volta e si reintegrerà nella Chiara Luce Madre. Lo scopo di tale pratica è dunque quello di conservare uno stato luminoso di meditazione anche nel momento della morte, uscendo così dal ciclo delle reincarnazioni invece di essere trascinati nel bar-do.
Sol invictus

Nella tradizione ermetica occidentale le pratiche del sogno e del sonno sono finalizzate alla traslazione della coscienza dalla sede cerebrale – lunare, femminile, passiva – alla sede del cuore, non inteso come organo fisico bensì come centro dell’essere umano.
La pratica si suddivide in due fasi, una precedente all’addormentarsi e la seconda che occupa il momento del risveglio. È in generale utile acquisire la percezione che la vita di veglia, lungi dal rappresentare l’apice della visione cosciente, passi come uno stato di torpore, di stordimento, di irrealtà [13], e che il sonno, in quanto portatore di silenzio interiore, favorisca il destarsi del Sole della Realtà; ma senza l’esercizio di una pratica il sonno diventa un venire meno.
Avendo presente tutto questo alla sera, prima di addormentarsi, con la mente priva di assilli e di pensieri, si immagini di essere ai piedi di un monte all’avanzare dell’aurora, e che a mano a mano che si ascende il cielo inizia a schiarirsi per le prime luci dell’alba; si continua a salire accompagnati dal sorgere del sole, e si cerca di integrare il senso dell’ascesa con il sorgere trionfale del sole, sino a giungere alla sommità del monte in coincidenza con il sole allo zenit. Si arresta la contemplazione a questo punto, portando questa identificazione con il sole come senso di ciò che accadrà realmente nel cuore del sonno profondo, concependo “Io sono la Luce”. Al mattino, sgombrata la mente dai residui della sonnolenza, si riprenda la visualizzazione dal punto in cui si era lasciata, immaginando di scendere dalla cima del monte accompagnati dal declino del sole, sino a raggiungere la pianura in coincidenza con il tramonto. Ci si ritrova così nell’oscurità del giorno, ma con il senso della Luce interiore di cui siamo portatori, al centro del cuore. A questo punto si cerchi di attrarre, di evocare senza forzare il ricordo dello stato di sogno e di sonno profondo; propizia questa fase lo svegliarsi spontaneamente, non per rumore, e un lieve profumo di muschio o di rosa. Ciò che veramente conta per lo sperimentatore è afferrare il contenuto sovrasensibile della pratica, che è l’accesso alla soglia di Luce della coscienza, di solito verificantesi nello stato di sonno a prezzo di una interruzione dei processi ordinari della coscienza.
[1] La vacuità (san. shunyata, tib. ston-pa nyid) non va qui naturalmente intesa nel senso fisico di assenza di ostruzione, bensì come mancanza di esistenza inerente dei fenomeni.
[2] Non è necessario visualizzare la A in caratteri tibetani, il carattere occidentale va bene lo stesso. La A bianca rappresenta lo stato primordiale, la natura della mente, ovvero l’essenza extrasensibile e creativa del pensiero.
[3] Il sanscrito sutra (lett. filo) rappresenta nella dottrina buddista l’insegnamento diretto attribuito a Buddha Sakyamuni, che è alla base della via della rinuncia.
[4] Come per la pratica descritta nella sezione dedicata al Vijñanabhairava, anche qui si presuppone la conoscenza di tecniche sul trattenuto del respiro.
[5] Lo Yi-dam (lett. mente sacra) rappresenta la forma della divinità che il praticante deve visualizzare in base al tipo di insegnamento ricevuto.
[6] Si tratta di un mantra, una sillaba o un insieme di sillabe che non possiedono un significato letterale, ma la cui energia vibrazionale genera una sintonizzazione con piani diversi di realtà.
[7] Il sanscrito tantra (lett. trama di un tessuto), tradotto spesso con “continuità”, sottende alla cosiddetta via della trasformazione, che in luogo delle pratiche della rinuncia specifiche della via del sutra mira a trasformare la visione mondana impura nella visione pura di un individuo illuminato attraverso il controllo dell’energia.
[8] La respirazione a vaso si esegue comprimendo i muscoli del retto e inspirando attraverso entrambe le narici sino a concentrare il respiro sotto l’ombelico; si trattiene per un tempo ragionevole e poi si espira. Serve a rinforzare l’energia vitale.
[9] Il samsara è, nell’accezione buddista, il regno della nascita e della morte, il vincolo determinato dell’attaccamento dualistico che impone agli esseri dei vari stati di esistenza l’assoggettamento alla legge della trasmigrazione. Il paradiso samsarico si riferisce a una cosiddetta “Terra Pura terrestre”, cioè a un paradiso ubicato sulla nostra terra ma invisibile alla vista ordinaria offuscata dall’ignoranza.
[10] In questo caso ci si riferisce alla “Terra Pura celestiale”, in altre parole a un regno trascendente, non-materiale, creato dalla mente di un Buddha a beneficio degli esseri che desiderano seguire la pratica dell’Illuminazione. Più che un luogo va considerato come una condizione, uno stato dell’essere che travalica i concetti del tempo e dello spazio.
[11] La parola tibetana bar-do di per sé significa “stato intermedio” e indica la condizione di passaggio tra due stati. Esistono quattro differenti tipi di bar-do, che caratterizzano le esperienze dell’essere dalla nascita alla morte. La fase qui accennata corrisponde al “chos-nyid bar-do”, il “bar-do dell’essenza delle cose così come sono”, momento in cui, svanita la coscienza, cessa l’attività mentale, le visioni si interrompono e sorge la luce naturale interna.
[12] In Tibet le lampade erano alimentate con burro fuso.
[13] Cfr. quanto detto sullo yoga dello stato di sogno.
Bibliografia
- Raniero Gnoli (a cura di) – Vijñanabhairava – Milano 1989.
- Jaideva Singh (a cura di) – Vijñanabhairava or Divine Consciousness – Delhi 1979.
- Glenn H. Mullin (a cura di) – The Six Yogas of Naropa commented by Tsonghkapa – Ithaca NY 2005.
- Namkhay Norbu – Il Ciclo del Giorno e della Notte – Arcidosso 1984.
- AA. VV. – Introduzione alla Magia – Roma 1978.
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