Il significato spirituale della castità

Estratti dall’opera: Meditation on the Tarot: A Journey Into Christian Hermeticism, London 1982 – Trad. dall’inglese, adattamento e note di Daniele Duretto

Lettera VI

Essa lo prese, lo baciò, e sfacciatamente le disse: Dovevo fare un sacrificio di azioni e di grazie; oggi ho sciolto i miei voti; perciò, ti son venuta incontro per cercarti, e ti ho trovato.

proverbi 7:13-15

Io, la sapienza, sto con l’accorgimento, e trovo la scienza della riflessione …Io amo quelli che mi amano, e quelli che mi cercano mi trovano.

proverbi 8:12, 17

Mettimi come un siglllo sul tuo cuore, come un sigillo sul tuo braccio; perché l’amore è forte come la morte … I suoi ardori, sono ardori di fuoco, fiamma dell’Eterno.

cantico dei cantici 8:6-7

Caro Amico Sconosciuto,

Qui l’intera composizione della sesta Carta è tradotta dal linguaggio visivo del Tarocco in quello dei versi di Salomone [1]. Una donna dai capelli scuri e lo sguardo impudente, vestita di una tunica, afferra la spalla del giovane mentre un’altra, dai capelli chiari e con indosso un mantello blu, fa appello al suo cuore con il casto gesto della sua mano sinistra. Allo stesso tempo, in alto, un bimbo alato con l’arco, che risalta sullo sfondo di una sfera bianca che emette fiamme rosse, gialle e blu, sta per scoccare una freccia diretta verso la spalla libera del giovane.

Non si ode, contemplando la sesta Carta del Tarocco, una voce dire: “Ti ho trovato”, e un’altra: “Colui che mi cerca mi trova”? Non si riconosce la voce della sensualità e la voce del cuore, e allo stesso modo i lampi di fuoco dall’alto di cui parla re Salomone?

Il tema centrale del sesto Arcano è quindi quello della pratica del voto di castità, proprio come il quinto Arcano aveva la povertà come suo tema e il quarto l’obbedienza. Il sesto Arcano è allo stesso tempo il riepilogo dei due Arcani precedenti – essendo la castità il frutto dell’obbedienza e della povertà. Esso riassume i tre voti o metodi della disciplina spirituale confrontandoli con le tre prove o tentazioni opposte a questi voti. La scelta di fronte a cui soggiace il giovane ha un significato più ampio di quello tra il vizio e la virtù. Qui è questione di scelta tra, da un lato, la via dell’obbedienza, della povertà e della castità e, dall’altro, tra la via della forza, della ricchezza e della dissolutezza. L’insegnamento pratico dell’Arcano degli “Amanti” ha a che fare con i tre voti e le tre tentazioni corrispondenti. Perché questa è la dottrina pratica dell’esagramma o senario.

I tre voti sono, nella loro essenza, reminiscenze del paradiso, dove l’uomo era unito a Dio (obbedienza), dove contemporaneamente possedeva ogni cosa (povertà), e dove la sua compagna era allo stesso tempo sua moglie, sua amica, sua sorella e sua madre (castità). Perché la vera presenza di Dio comporta l’azione di prostrarsi di fronte a Lui “che è più me di me stesso” – e qui giace la radice e la sorgente del voto di obbedienza; la visione di forze, sostanze ed essenze mondane sotto le spoglie di “giardino dei simboli divini” (il giardino dell’Eden) rappresenta il possesso di ogni cosa senza che si debba scegliere, senza aggrapparsi, senza appropriarsi di cose particolari isolate dal tutto – e qui giace la radice e la sorgente del voto di povertà; infine, la comunione totale tra i due, tra l’uno e l’altra, che comprende l’intera gamma di tutte le relazioni possibili di spirito, anima e corpo tra due esseri polarizzati, costituisce necessariamente l’assoluta completezza dell’essere spirituale, psichico e fisico – e qui giace la radice e la sorgente del voto di castità.

Si è casti solo quando si ama con la totalità del proprio essere. La castità non è totalità dell’essere nell’indifferenza, ma piuttosto nell’amore, che è “forte come la morte e i suoi ardori sono ardori di fuoco, la fiamma dell’Eterno”. È l’unità vivente. Sono i tre – spirito, anima e corpo – che sono uno, e gli altri tre – spirito, anima e corpo – che sono uno: e tre più tre fanno sei, e sei è due, e due è uno [2].

Questa è la formula della castità in amore. È la formula di Adamo-Eva. È il principio della castità, la memoria vivente del paradiso.


E il celibato di monaci e suore? Come si applica qui la formula della castità “Adamo-Eva”?

L’amore è forte come la morte, ovvero la morte non può distruggerlo. La morte non può né lasciar dimenticare né far cessare la speranza. Quelli di noi – anime umane di oggi – che portano in sé la fiamma della  memoria dell’Eden non possono dimenticarlo, né possono cessare di sperarvi. E se le anime umane vengono al mondo con la traccia di questa memoria, e anche con l’impressione di sapere che l’incontro con l’altro non avrà luogo per loro in questa vita terrena, allora vivranno questa vita come in vedovanza, nella misura in cui ricordano, e come in relazione, nella misura in cui sperano. Ora, tutti i veri monaci sono vedovi e fidanzati, e tutte le vere monache sono vedove e fidanzate, nel profondo dei loro cuori. Il vero celibato testimonia l’eternità dell’amore, proprio come il miracolo di un vero matrimonio ne testimonia la realtà.

Sì, caro Amico Sconosciuto, la vita è profonda e la sua profondità è come un abisso impenetrabile. Nietzsche lo sentì e seppe come esprimerlo nel suo “Canto Notturno” [3]:

O uomo, bada! Che dice la profonda mezzanotte? Dormii, dormii, da sonno profondo mi sono destato. Il mondo è profondo, è più profondo di quanto il dì pensasse. Profondo è il suo dolore, la gioia, più profonda ancora del cordoglio. Dice il dolore: va’ via! Ma ogni gioia vuole eternità, vuole profonda, profonda eternità!

Friedrich Nietzsche – Così parlò Zarathustra – Canto 80

Quindi, è la stessa freccia – “la freccia di fuoco, della fiamma dell’Eterno” – che conduce al vero celibato così come al vero matrimonio. Il cuore del monaco è trafitto – e questo è il motivo per cui è monaco – proprio come il cuore del fidanzato alla vigilia del matrimonio. Dove può trovarsi più verità e bellezza? Chi può dirlo?


E la carità, l’amore per il prossimo … qual è la sua relazione con l’amore il cui prototipo è dato dalla formula “Adamo-Eva”?

Siamo circondati da innumerevoli esseri viventi e coscienti – visibili e invisibili. Ma piuttosto che comprendere che essi esistono realmente e che sono vivi quanto noi, cionondimeno ci sembra che abbiano un esistenza meno reale e che siano meno vivi di noi; per noi è il NOI a sperimentare il pieno impatto dell’intensità della realtà, mentre gli altri paiono essere, in confronto a noi, meno reali; la loro esistenza sembra essere della natura dell’ombra piuttosto che della piena realtà. I nostri pensieri ci dicono che questa è un’illusione, che gli esseri attorno a noi sono tanto reali quanto lo siamo noi, e che vivono con la nostra stessa intensità. Per quanto bello dire queste cose, ci sentiamo lo stesso al centro della realtà, e sentiamo gli altri esseri come rimossi da questo centro. Che si qualifichi questa illusione come “egocentrismo”, o “egoismo”, o “ahaṃkāra” (l’illusione del sé), o “effetto della Caduta primordiale”, non ha importanza; non altera il fatto che ci sentiamo più reali degli altri.

Ora, sentire qualcosa come reale nella sua piena realtà è amare. È l’amore che ci risveglia alla realtà di noi stessi, alla realtà degli altri, alla realtà del mondo e alla realtà di Dio. Nella misura in cui amiamo noi stessi, ci sentiamo reali. E non amiamo – o non amiamo così tanto come amiamo noi stessi – gli altri esseri, che ci sembrano meno reali.


Vi sono due modalità, piuttosto differenti, che possono liberarci dall’illusione “io, vivente – tu, ombra”; abbiamo quindi una scelta. La prima è estinguere l’amore di se stessi e diventare “un’ombra tra le ombre”. Questa è l’uguaglianza dell’indifferenza. L’India ci offre un metodo di liberazione dall’ahaṃkāra, l’illusione del sé. Questa illusione è distrutta estendendo a se stessi l’indifferenza che si ha verso gli altri esseri. Qui si riduce se stessi allo stato di ombra come le altre ombre circostanti. Maya, la grande illusione, è credere che gli esseri individuali, tu ed io, siano più che ombre – apparenze senza realtà. La formula per realizzarla è quindi: “io ombra – tu ombra”.

L’altro metodo è quello di estendere l’amore che si ha per se stessi agli altri esseri, allo scopo di giungere alla realizzazione della formula:  “io vivente – tu vivente”. Qui si tratta di rendere gli altri esseri reali come se stessi, cioè di amarli come si ama se stessi. Per conseguire ciò, si deve prima amare il prossimo come se stessi. Perché l’amore non è un concetto astratto ma, piuttosto, è sostanza e intensità. È necessario quindi irradiare la sostanza e l’intensità dell’amore con riferimento al proprio essere individuale al fine di emetterlo in tutte le direzioni. “Per fare l’oro bisogna avere l’oro,” dicono gli alchimisti. La controparte spirituale di questa massima è che per amare chiunque bisogna amare o aver amato qualcuno. Questo qualcuno è il “prossimo”.

Chi è il “prossimo” inteso in senso ermetico, cioè allo stesso tempo in senso mistico, gnostico, magico e metafisico? È l’essere con cui si è vicini sin dall’inizio; è l’anima che è nostra sorella per tutta l’eternità; è l’anima gemella, è l’anima con cui si è osservata l’alba dell’umanità.

L’alba dell’umanità: è ciò che la Bibbia descrive come il paradiso. Ora, era a questo stadio dell’esistenza che Dio disse: “Non è bene che l’uomo (Adamo) sia solo” (Genesi 2:18).

Essere: questo è amare. Essere soli: questo è amare se stessi. Ora, “non è bene (tov) che Adamo sia solo” significa: non è bene che l’uomo non ami altro che se stesso. Questo è il motivo per cui IHVH-Elohim disse: La farò simile (corrispondente) a lui. E siccome Eva era parte dello stesso Adamo, egli l’amò come amava se stesso. Eva fu quindi il “prossimo”, l’essere più vicino a Adamo (“ossa delle mie ossa e carne della mia carne” – Genesi 2:23).


Questa è l’origine dell’amore, ed è comune sia all’amore che unisce l’uomo e la donna che all’amore per il prossimo. All’inizio c’era solo un amore e la sua sorgente era una, poiché il principio era uno.

Tutte le forme di amore (carità, amicizia, amore paterno, amore materno, amore filiale, amore fraterno) derivano dall’unica radice primordiale della coppia Adamo-Eva. Perché è allora che l’amore – la realtà dell’altro – venne alla luce e poté di conseguenza espandersi e diversificarsi. È l’intensità dell’amore della prima coppia (e non ha importanza che ce ne fosse una o che fossero migliaia – è questione del primo sorgere qualitativo dell’amore e non del numero di casi simultanei o successivi di questo sorgere) che è riflesso nell’amore dei genitori per i propri figli, riflesso a sua volta nell’amore dei figli per i loro genitori, riflesso ancora nell’amore reciproco tra i figli, riflesso infine nell’amore tra tutti gli affini umani, oltre la parentela diretta, e per analogia, per tutto ciò che vive e respira … L’amore, nato all’inizio come sostanza e intensità, tende a diffondersi, ramificarsi e diversificarsi in base alle forme relazionali umane in cui si presenta. È una cascata che tende a riempire e ad inondare tutto. Questo è il motivo per cui c’è vero amore tra i genitori, e per analogia i figli amano i genitori, e si amano l’un l’altro; amano, per analogia – come loro fratelli e sorelle per “adozione psicologica” – i loro amici a scuola e tra il vicinato; amano (sempre per analogia) i loro insegnanti, i tutori, i sacerdoti, ecc., attraverso il riflesso dell’amore che hanno verso i loro genitori; e più tardi amano i loro mariti e mogli, così come i loro genitori si amano l’un l’altra.

Tutto ciò è chiaramente l’inverso della dottrina pansessuale di Freud. Per Freud, alla base di tutta l’attività psicologica umana vi è la “libido” o desiderio sessuale, che ne costituisce l’energia motivante, e che poi diviene – attraverso il processo di sublimazione e indirizzamento attraverso canali diversi dal desiderio di soddisfazione sessuale – forza creativa: socialmente, artisticamente, nella scienza e nella religione. Tuttavia, l’amore nella sua interezza – nel senso della formula “Adamo-Eva”, sta al desiderio sessuale come la luce bianca che contiene i sette colori al colore rosso. L’amore “Adamo-Eva” include l’intero spettro dei colori indifferenziati, mentre la libido di Freud è solo un singolo colore isolato e separato dall’intero. E questa separazione dall’intero – e l’intero è il principio della castità – è esattamente l’inverso della castità; è il vero principio della non-castità. Perché la non-castità non è nient’altro che l’autonomia del desiderio carnale, così che la totalità dell’essere umano – in spirito, anima e corpo – è danneggiata.

Il desiderio sessuale è solo un aspetto dell’amore – l’aspetto riflesso da quella parte dell’organismo fisico e psichico che è dominio specifico del “loto dai quattro petali [4]” – e che costituisce solo un settimo dell’organismo psicofisico umano.

Vi sono quindi sei aspetti ulteriori, il cui significato non è in alcun modo meno importante, e che la dottrina di Freud ignora (o di cui nega l’esistenza).

Proprio come Karl Marx, impressionato dalla verità parziale (ridotta alle sue basi più elementari) che è necessario, in primo luogo, mangiare per essere in grado di pensare, elevò l’interesse economico a PRINCIPIO dell’uomo e della storia della civilizzazione, così Sigmund Freud, impressionato dalla verità parziale che è necessario prima essere nati per essere in grado di mangiare e pensare, elevò quest’ultima a PRINCIPIO dell’uomo e dell’intera cultura umana. Come Marx vide l’homo economicus alla base dell’homo sapiens, così Freud vide l’homo sexualis alla base dell’homo sapiens.

Alfred Adler non seguì il suo maestro nell’attribuzione della supremazia assoluta al sesso – visto che la sua esperienza contraddiceva in molti punti questa dottrina. Questo fondatore di un’altra scuola di psicologia del profondo fu condotto alla scoperta della volontà di potenza quale ruolo guida nella fondazione dell’essere umano. Adler avanzò quindi la dottrina dell’homo potestatis – l’uomo motivato dalla volontà di potenza – in luogo dell’homo sapiens della scienza del diciottesimo secolo, dell’homo economicus di Marx e dell’homo sexualis di Freud [5].

Carl Gustav Jung, mentre ammetteva la verità parziale delle dottrine di Freud e Adler, grazie alla sua esperienza clinica fu condotto alla scoperta di uno strato della psiche più profondo di quello studiato da Freud e Adler. Egli dovette ammettere la realtà di uno strato religioso, che giace a una profondità maggiore rispetto a quelli del sesso e della volontà di potenza. Quindi, grazie al lavoro di Jung, l’uomo è fondamentalmente l’homo religiosus, sebbene possa anche essere un’entità economica, sessuale o che aspira al potere.

Ora, Carl Gustav Jung ha reintrodotto il principio di castità nel dominio della psicologia – essendo le altre scuole psicologiche menzionate contrarie alla castità, poiché spezzano l’unità degli elementi spirituali, psichici e fisici dell’essere umano. Egli scoprì il respiro divino nel nucleo dell’essere umano.

Allo stesso tempo, il lavoro di Jung costituisce l’inaugurazione di un nuovo metodo nel dominio della psicologia. È il metodo dell’esplorazione degli strati psichici in successione – corrispondenti agli strati dell’archeologia, della paleontologia e della geologia. E proprio come l’archeologia, la paleontologia e la geologia considerano gli strati con cui hanno a che fare come archivi del passato (siccome il tempo diviene spazio), così la psicologia del profondo della scuola junghiana tratta gli strati psichici come il passato vivente dell’anima, tanto più lontano quanto più lo strato è profondo. La misura della profondità è allo stesso tempo quella della storia del passato dell’anima, risalendo oltre la soglia della nascita. Si può ancora discutere se gli strati sono collettivi o individuali, se la loro continuità è dovuta all’ereditarietà o alla reincarnazione – ma non si può più negare la realtà di questi strati o il loro valore come chiave della storia psichica dell’uomo e dell’umanità. E ancora: non si può più negare il fatto che nel dominio psichico nulla muore e che l’intero passato vive nel presente nei diversi strati delle profondità coscienti – l’”inconscio” o il subcosciente – dell’anima. Gli strati paleontologici e geologici contengono solamente le tracce e i fossili del passato ora morto; gli strati psichici, al contrario, sono la testimonianza vivente del passato effettivo. Sono il passato che continua a vivere. Sono memoria – non intellettuale, ma psichicamente sostanziale – del passato effettivo. Per questa ragione nulla perisce e nulla è perso nel dominio della psiche; la storia essenziale, cioè la gioia e la sofferenza vere, le vere religioni e rivelazioni del passato, continuano a vivere in noi, ed è in noi stessi che va ricercata la chiave della storia essenziale dell’umanità.

Ora, è in noi che si deve trovare lo stato “Edenico”, quello del paradiso e della Caduta, di cui si trova un resoconto nel libro di Genesi di Mosè. Dubitate della verità essenziale di questo resoconto? Scendete nelle profondità della vostra anima, scendete sino alle radici, alle sorgenti del sentimento, della volontà e dell’intelligenza – e saprete. Saprete, cioè avrete la certezza che la narrativa biblica è vera nel senso più profondo e autentico della parola. La discesa nelle profondità della vostra anima meditando sul resoconto del paradiso in Genesi vi renderà incapaci di dubitare. Tale è la natura della certezza che si deve avere.

Naturalmente, non si tratta qui di certezza in merito al giardino, ai suoi alberi, al serpente, alla mela e al frutto proibito, ma piuttosto delle realtà psichiche e spirituali che rivelano questi simboli e immagini. Non è il linguaggio simbolico del resoconto che vi dà la certezza della sua verità, ma piuttosto ciò che esso esprime.

Esso esprime in simboli il primo strato (primo nel senso di radice di tutto ciò che è umano) della vita psichica, o il suo “inizio”. Ora, la conoscenza dell’inizio, initium in latino, è l’essenza dell’iniziazione. L’iniziazione è l’esperienza cosciente dello stato microcosmico iniziale (questa è l’iniziazione ermetica) e dello stato macrocosmico iniziale (questa è l’iniziazione pitagorea). La prima è la discesa conscia nelle profondità dell’essere umano, sino allo strato iniziale. Il suo metodo è l’enstasi, cioè l’esperienza delle profondità a fondamento di se stessi [6]. Qui si va sempre più in profondità finché ci si risveglia allo stato primordiale – o “a immagine e somiglianza degli dèi” – che è lo scopo dell’enstasi. È soprattutto per mezzo del tocco spirituale che si effettua l’esperienza enstatica. La si può comparare a un esperimento chimico subìto sul piano psichico e spirituale.


La seconda esperienza iniziatoria – quella che abbiamo designato come “pitagorea” da un punto di vista storico – è basata soprattutto sul senso dell’udito o senso dell’ascolto spirituale. È essenzialmente musicale, proprio come la prima è sostanziale o alchemica. È attraverso l’estasi – o rapimento, o uscire fuori di sé – che gli strati macrocosmici (le “sfere” o i “cieli”) si rivelano alla coscienza. La “musica delle sfere” pitagorica era questo tipo di esperienza, ed è questo ad essere la sorgente della dottrina pitagorica relativa alla struttura musicale e matematica del macrocosmo. Perché i suoni, i numeri e le forme geometriche erano i tre stadi per rappresentare e visualizzare mentalmente l’esperienza ineffabile della “musica delle sfere”.

È solo da un punto di vista storico che abbiamo designato come “pitagorea” l’iniziazione macrocosmica per mezzo dell’estasi. Ma essa non è in alcun modo la prerogativa di un’epoca precedente al cristianesimo. Quello che segue è ciò che l’apostolo Paolo disse della sua esperienza delle “sfere” o “cieli” durante l’estasi:

Conosco un uomo in Cristo che quattordici anni fa (se fu col corpo non so; né so se fu senza il corpo; Iddio lo sa) fu rapito fino al terzo cielo. E so che quel tale (se fu col corpo o senza corpo non so; Iddio lo sa) fu rapito in paradiso, e udì parole ineffabili che non è lecito all’uomo di proferire.

II Corinzi 12:2-4

San Paolo fu quindi rapito al terzo cielo o terza sfera macrocosmica e fu in seguito elevato al paradiso dove ascoltò parole ineffabili. La sua iniziazione macrocosmica attraverso l’estasi avvenne dunque nella sfera paradisiaca, di cui esperienza cosciente (“egli ascoltò parole ineffabili”) ne è la finalità. L’estasi è perciò caratterizzata dall’esperienza dello stato primordiale alla radice dell’essere umano o microcosmo. La sfera macrocosmica del paradiso e lo strato microcosmico dell’Eden sono l’initia, a cui si è iniziati nell’iniziazione macrocosmica così come in quella microcosmica. L’estasi delle vette oltre se stessi e l’enstasi nelle proprie profondità conducono alla conoscenza della stessa verità fondamentale.  

L’esoterismo cristiano unisce questi due metodi di iniziazione. Il Maestro ha due gruppi di discepoli – “discepoli del giorno” e “discepoli della notte” – i primi discepoli della via dell’enstasi e i secondi della via dell’estasi. Ha anche un terzo gruppo di discepoli “del giorno e della notte”, che posseggono cioè le chiavi per entrambe le porte, la porta dell’estasi e quella dell’enstasi. Pertanto, l’apostolo Giovanni, autore del Vangelo del Verbo fatto carne, era allo stesso tempo colui che ascoltava il cuore del Maestro. Egli aveva una duplice esperienza – macrocosmica e microcosmica – del Verbo cosmico e del Sacro Cuore, di cui la litania dice: “Cor Jesu, rex et centrum omnium cordium” (“Cuore di Gesù, re e centro di tutti i cuori”). È grazie a questa duplice esperienza che il Vangelo che scrisse è allo stesso tempo cosmico e così intimamente umano – simultaneamente delle altezze e delle profondità. Qui, la sfera solare macrocosmica e quella microcosmica sono unite, il che spiega la singolare magia di questo Vangelo.

Perché la realtà del paradiso è l’unione della sfera solare macrocosmica e dello strato solare microcosmico – la sfera del cuore cosmico e il fondamento solare del cuore umano. L’iniziazione cristiana è l’esperienza cosciente del cuore del mondo e della natura solare dell’uomo. L’Uomo-Dio è l’Iniziatore, e non ve ne sono altri.

Ciò che intendiamo con il termine “Iniziatore” è ciò che i primi cristiani intendevano con la parola Kyrios (Dominus o “Signore”). L’esoterismo cristiano e l’ermetismo sono in totale accordo con questo – con assoluta sincerità, oggi come in passato – quando le parole del Credo sono recitate in chiesa:

Credo in un solo Signore, Gesù Cristo, unigenito Figlio di Dio, nato dal Padre prima di tutti i secoli, Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero, generato, non creato, della stessa sostanza del Padre; per mezzo di lui tutte le cose sono state create. Per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo, e per opera dello Spirito Santo si è incarnato nel seno della Vergine Maria e si è fatto uomo.

credo niceno-costantinopolitano

Ci inchiniamo con rispetto e gratitudine di fronte a tutte le grandi anime umane del passato e del presente – i saggi, i giusti, i profeti, i santi di tutti i continenti e di tutte le epoche che hanno attraversato l’intera storia umana – e siamo pronti a imparare da loro tutto ciò che desiderano e che sono in grado di insegnarci, ma abbiamo un unico iniziatore o Signore; siamo obbligati a ribadirlo per amor di certezza.


Ma torniamo al tema del paradiso.

Il “Paradiso” è quindi allo stesso tempo lo strato fondamentale della nostra anima e una sfera cosmica. Lo si trova altrettanto bene sia attraverso l’enstasi che con l’estasi. È il reame dell’inizio, e quindi dei principi. In precedenza, ci siamo imbattuti nel principio dei tre voti: obbedienza, carità e castità. Il paradiso, essendo il reame dell’inizio e dei principi, è allo stesso tempo quello dell’inizio della Caduta o principio della tentazione, cioè il principio della transizione dall’obbedienza alla disobbedienza, dalla povertà alla cupidigia, dalla castità alla non castità.

La tentazione in paradiso fu triplice, proprio come la tentazione di Gesù Cristo nel deserto. Quelli che seguono sono gli elementi essenziali della tripla tentazione in paradiso, come descritti nel resoconto della Caduta nel libro di Genesi:

  1. Eva ascoltò la voce del serpente;
  2. Ella “vide che il frutto dell’albero era buono a mangiarsi, ch’era bello a vedersi” (Genesi 3:6);
  3. Ella “prese del frutto, ne mangiò, e ne dette anche al suo marito che era con lei, ed egli ne mangiò” (Genesi 3:6).

La voce del serpente è quella dell’essere vivente (“animale”) la cui intelligenza è la più avanzata (“la più astuta”) tra quelle di tutti gli esseri viventi (“animali”) la cui coscienza è orientata verso l’orizzontalità (“animali dei campi”). Ora, l’intelligenza di Adamo-Eva era, prima della Caduta, verticale; i loro occhi non erano ancora “aperti”, ed essi “erano entrambi nudi e non ne avevano vergogna” (Genesi 2:25), ovvero erano consapevoli di ogni cosa verticalmente – da sopra a sotto o, in altre parole, in Dio, attraverso Dio e per Dio. Non erano consapevoli delle cose “nude”, cioè separate da Dio. La formula che esprime la loro percezione, la loro visione delle cose era: “Ciò che è in alto è come ciò che è in basso, e ciò che è in basso è come ciò che è in alto” (Tabula Smaragdina). Quindi, sebbene fossero “entrambi nudi”, essi “non ne avevano vergogna”. Perché essi videro la qualità ideale divina esprimersi attraverso la realtà fenomenica. Era con-sapevolezza verticale (conoscenza simultanea dell’ideale e del reale) i cui principi troviamo formulati nella Tavola di Smeraldo. La formula della consapevolezza orizzontale del serpente (nahash, ebr. נָחָשׁ) era quella del puro e semplice realismo: “Ciò che è in me è come ciò che è al di fuori di me, e ciò che è al di fuori di me è come ciò che è in me”. Questa è con-sapevolezza orizzontale (conoscenza simultanea del soggettivo e dell’oggettivo), che vede le cose non in Dio, ma separate da Lui o “nude” – in sé stesse, attraverso se stesse e per se stesse. E come qui il sé sostituisce Dio (essendo la consapevolezza orizzontale quella dell’opposizione tra soggetto e oggetto), il serpente dice che il giorno in cui Adamo-Eva (Adamo ed Eva) mangeranno il frutto dall’albero che è in mezzo al giardino, i loro occhi si apriranno ed essi saranno come dèi, cioè il sé rimpiazzerà la funzione precedentemente ricoperta da Dio e che essi conosceranno il bene e il male. Se prima vedevano le cose in una luce divina, ora vedranno ora con la loro luce, cioè la funzione della visione apparterrà a loro, come una volta apparteneva a Dio. La sorgente della luce sarà trasferita da Dio all’uomo.


2 Comments

  1. Come non inebriarsi dalla lettura di questi versi di Proverbi e del Cantico de’ Cantici! Davvero degna di nota questa interpretazione della carta 6

    1. Sì. Tomberg ha un suo modo peculiare di sposare il significato esoterico con l’etica cristiana, il che rende possibile approfondire e rendere vivente il senso degli Arcani anche per chi non segue una via ermetica.